Coleridge - La ballata del vecchio marinaio - Studentville

Coleridge - La ballata del vecchio marinaio

Testo e commento de La ballata del vecchio marinaio di Coleridge.

“La Ballata del vecchio marinaio” pubblicata nel 1798 viene universalmente riconosciuta come un capolavoro della poesia romantica. In questa “Ballata Lirica” un vecchio marinaio racconta la sua terribile avventura ad un passante occasionale, il quale resta impietrito dallo sguardo del vecchio ed è costretto ad ascoltare il suo racconto. Il vecchio si è reso colpevole dell’uccisione di un albatro, azione considerata da tutti i marinai come foriera di sventure. Le rime di Coleridge ci conducono in un’ambientazione spettrale, tra mari sconosciuti e ghiacci polari popolati da esseri misteriosi, demoniaci, angelici, sconosciute forze della natura, e dove il sopranaturale diventa l’elemento dominante. Il racconto si dipana tra visioni e allucinazioni, tra incantesimi e malìe. Una vicenda scandita da eventi dalle tinte forti che conducono lo spettatore fino ai limiti dell’irrazionale.

Un vecchio marinaio incontra tre giovani, invitati

ad una festa di nozze, e ne trattiene uno.

È un vecchio marinaio

e ferma uno dei tre.

“Per il barbone grigio, per l’occhio scintillante,

perché mi vuoi fermare?

Si aprono le porte in casa dello sposo,

sono un parente stretti.

Già gli ospiti son qui, la festa già comincia:

non senti l’allegria e il baccano?”

Lui lo trattiene con la scarna mano:

“C’era una nave” dice.

“E smettila, va’ via con la tua barba grigia, lazzarone!”

La mano cade subito.

 

Lo trattiene con l’occhio scintillante:

si ferma il convitato

ascolta come un bimbo di tre anni;

il marinaio ottiene ciò che vuole.

Il convitato siede su una pietra:

e ascolta, non ha scelta;

così parla quel vecchio marinaio

dagli occhi luccicanti.

“Abbandonato il porto tra i saluti

allegramente scivolammo via

sotto la chiesa, sotto la collina

e la cima del faro.

Sorgeva il sole a manca,

veniva su dal mare!

Splendeva luminoso e sulla destra

nel mare sprofondava.

Ogni giorno più alto, più alto, e a mezzogiorno

perfino sopra l’albero”

Il convitato ascolta, ed è impaziente:

sente giungere il suono del fagotto.

 

È apparsa la sposa nella sala,

rossa come una rosa;

l’accompagnano muovendo la testa

gli allegri musicanti, e le fan strada.

Il convitato ascolta ed è impaziente,

ma non ha scelta, no, deve ascoltare;

così parla quel vecchio marinaio

dagli occhi luccicanti

“Esplose allora la tempesta, ed era

forte, violentissima.

Ci raggiunse e colpì con le sue ali,

ci spinse verso sud.

Con gli alberi inclinati e con la prua sommersa,

rapida la nave procedeva

come chi inseguito con furia e urla

prosegue ancora all’ombra del nemico

e avanti piega il capo.

Ruggiva forte la tempesta, e intanto

noi fuggivamo sempre verso sud.

Allora insieme vennero

neve e bruma, e un freddo straordinario,

e ci veniva incontro galleggiando

ad alti blocchi ghiaccio verde come smeraldo

Rupi innevate, attraverso il turbine,

rilucevano cupe:

non scorgevamo forme di uomini, né bestie.

Soltanto ghiaccio intorno.

Ghiaccio, ghiaccio, dappertutto, qua e là,

e intorno sempre ghiaccio:

si spaccava e gemeva, e gridava e ululava,

come giungono i suoni a chi è svenuto.

 

E finalmente incrociammo un albatro

venuto nella nebbia;

come se fosse un’anima cristiana

nel nome del Signore lo accogliemmo.

Conobbe un nuovo cibo,

a lungo volò attorno.

Il ghiaccio si spaccò con un boato;

nel varco ci condusse il timoniere!

E un vento favorevole, da sud, ci spinse rapido;

l’albatro ci seguiva,

e per mangiare o giocare, ogni giorno

veniva al richiamo dei marinai.

Con la bruma o la nuvola, sulla sartia o sull’albero

nove sere venne ad appollaiarsi

mentre tutte le notti biancheggiava

la luce della luna nella nebbia.”

Il vecchio marinaio, inospitale, uccide l’uccello

sacro del buon augurio.

“Che Dio ti salvi, vecchio marinaio,

dai demoni che tanto ti tormentano!…

Perché guardi così?” – “Con la balestra

uccisi…uccisi l’ALBATRO.

 

Parte seconda

Ora il sole sorgeva sulla destra

e usciva il mare

velato ancora di foschia. A sinistra poi ripiombava in mare.

E soffiava favorevole ancora

da sud il vento, e più non ci seguiva il dolce uccello, e non veniva più a mangiare o giocare,

dai marinai chiamato.

I compagni se la prendono col vecchio marinaio,

perché ha ucciso l’uccello del buon augurio

Una cosa infernale avevo fatto,

una sventura adesso li attendeva:

secondo tutti avevo ucciso l’Albatro

che portava la brezza.

“Empio” dissero “abbattere l’uccello che portava la brezza!”
Ma quando la nebbia si dirada, lo giustificano,

e così si fanno complici del crimine

Ma non opaco, non rosso: glorioso

il sole si levò, come il capo di Dio.

Avevo ucciso -dissero-

l’uccello che portava la nebbia e la foschia.

“E’ giusto abbattere gli uccelli” dissero “che portano nebbia e foschia.”

Spirava lieve la brezza, la spuma

si sollevava bianca, la scia ci seguiva;

noi fummo i primi a irrompere

nel silenzioso mare.

La brezza cadde, caddero le vele:

fu triste, triste quanto poteva essere triste;

noi parlavamo solo per infrangere il silenzio del mare!

In un cielo di rame

arso, un sole di sangue

stava a picco a mezzogiorno sull’albero

e non era più grande della luna.

Per lunghi giorni, un giorno dopo l’altro,

restammo senza vento, lì, immobili

fermi come una nave

dipinta su un oceano dipinto.

E l’Albatro comincia ad essere vendicato

Soltanto acqua intorno,

si torceva ogni tavola.

Soltanto acqua intorno,

per la nostra sete neanche un goccio.

L’abisso stesso imputridiva.

Che dovesse accaderci una tal cosa!

Su zampe esseri viscidi strisciavano

per il viscido mare.

Intorno, intorno, in ridda indiavolata

fuochi fatui danzavano la notte;

come un olio di streghe s’infiammava

– verde, blu, bianca – l’acqua.
Uno Spirito li aveva seguiti; uno

degli invisibili abitanti di questo pianeta,

né anime defunte né angeli. Riguardo

a essi, si potrebbero consultare

il dotto ebreo Giuseppe e il platonico

costantinopolitiano Michele Psello.

Sono molto numerosi, e non c’è clima o

elemento che non ne abbia almeno uno.

E qualcuno sognando ebbe certezza

dello Spirito che ci tormentava;

la nostra nave aveva accompagnato,

a nove braccia di profondità,

fin dalla terra di bruma e di neve.

E ogni lingua nell’arsura estrema

seccava alla radice.

Non potevamo più parlare, come

se nella gola avessimo fuliggine.

Ah, che giornata! Quali occhiate orribili

giovani e anziani mi lanciavano!

Invece della croce,

attorno al collo mi fu appeso l’Albatro.

 

Parte terza

Ci logorava il tempo trascorrendo.

Ogni gola era secca,

gli occhi di tutti vitrei.

Fu un tempo logorante! Fu un tempo logorante!

Com’era vitreo ogni occhio stanco!

Quando scorsi qualcosa nel cielo a occidente.

Prima sembrava una piccola macchia

poi sembrava una nebbia,

e si muoveva, si muoveva, e infine

prese forma certa, lo giuro.

Una macchia, una nebbia, una forma – lo giuro –

e ci si avvicinava, e ci si avvicinava:

come a sfuggire un fantasma marino,

s’immergeva, bordeggiava, virava.

Con gola assetata, le labbra nere secche,

non potevamo né ridere né gemere;

per la completa arsura fummo muti.

Così mi morsi il braccio e succhiai sangue

e gridai: “Una vela!C’è una vela!”

Con la gola assetata, le labbra nere secche,

stupefatti mi udirono gridare.

“Sia ringraziato Dio!” gioirono eccitati.

Profondamente, all’improvviso, tutti

come stessero bevendo respirarono.

“Guardate, non bordeggia più” gridai.

“E’ qui per darci aiuto;

senza un soffio di vento né corrente

con la chiglia diritta si avvicina!”

Il mare a occidente fiammeggiava.

Il giorno era al tramonto.

quasi a picco sul mare a occidente

un grande sole stava, luminoso;

quando improvvisamente quella forma

strana si pose tra noi e il sole.

Il sole presto si rigò di sbarre

(Madre del cielo aiutaci!)

come se da una grata di prigione

scrutasse con la grande faccia ardente.

Ahimè (pensavo e avevo il batticuore)

com’è vicina e come avanza rapida!

Sono sue quelle vele che nel sole

occhieggiano – vibranti ragnatele?

Sono sue le fiancate da cui il sole

scrutava come attraverso una grata?

E quella donna è tutto il suo equipaggio?

E quella, l’altra, è MORTE, e sono in due?

E’ MORTE che fa coppia con la donna?

Le labbra aveva rosse e gli occhi impavidi,

e la chioma era bionda come l’oro:

ma aveva la pelle bianca di lebbrosa;

lei, lei era l’incubo VITA-IN-MORTE

che fa gelare il sangue nelle vene.

Morte e Vita-in-morte si son giocati l’equipaggio ai dadi,

e lei (la seconda) vince il vecchio marinaio

Mentre la nuda carcassa avanzava

le due figure gettavano i dadi:

“Il gioco è fatto! Ho vinto, ho vinto io!”

la donna disse, e tre volte fischiò.

Scomparve il sole e uscirono le stelle

fu buio all’improvviso;

sul mare con un mormorio lontano

si dileguava la nave spettrale.

Ascoltavamo e scrutavamo intorno!

La paura sembrava sorseggiarmi

dal cuore il sangue come da una coppa.

Le stelle erano opache, e densa era la notte.

Il volto del nocchiero biancheggiava

illuminato dalla sua lanterna.

Dalle vele rugiada gocciolava:

d’un tratto ad est la falce della luna

si levò, con una stella splendente

presso la punta in basso.

A uno a uno sotto luna e stella,

senza il tempo di sospirare o gemere,

con orribile spasimo volgevano

il viso, e con lo sguardo

ah, tutti quanti mi maledicevano.

Quattro volte cinquanta uomini vivi

(e non udii un gemito o un sospiro)

con grave tonfo- massi senza vita –

a uno a uno caddero per terra.

Le anime fuggirono dai corpi:

volavano alla pena o alla gioia.

Ciascuna mi sfiorava con un sibilo

simile a quello della mia balestra!

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