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Edmund Husserl

Pensiero e vita.

Biografia 1859 Edmund Husserl nasce a Prossnitz, Moravia, l’8 aprile del 1859. 1878 Dopo aver studiato due anni prima astronomia all’Università  di Leipzig, si trasferisce a Berlino per studiare matematica. Egli segue i corsi di algebra di Weirstrass. 1883 Conclude gli studi di matematica con una tesi sul calcolo delle variazioni. 1884 Il 24 aprile muore il padre. Si trasferisce lo stesso anno a Vienna, dove segue le lezioni di Brentano. 1887 Sposa il 6 agosto Malvine Steinschneider. 1891 Pubblica la Filosofia dell’aritmetica. E nel settembre dello stesso anno si trasferisce a Gà¶ttingen dove viene nominato professore nell’Università  dell’omonima cittadina. 1906 Dopo aver pubblicato nel 1901 le Ricerche logiche, diviene professore a tutti gli effetti, ricopre la cattedra di filosofia. 1913 Husserl mantiene uno stretto rapporto con Jaspers. Sono di quest’anno le Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. 1916 Il 5 gennaio si trasferisce a Friburgo per ricoprire la cattedra di filosofia. Lì avrà  come allievo Heidegger. 1918 Inizia un’assidua corrispondenza con i fisici di Gottinga. 1926 Heidegger presenta al maestro, Husserl, una copia di Essere e tempo. 1927 Lavora all’Enciclopedia Britannica. 1928 Venne obbligato dal regime nazista a lasciare l’insegnamento in quanto ebreo. Egli si ritira così a vita privata. Pubblicherà  nel 1929 la Logica formale e trascendentale. 1938 Muore il 27 aprile del 1938. Vita, opere e contesto storico Edmund Husserl nacque nel 1859 a Prossnitz, in Moravia, da famiglia ebrea, studiò matematica e fisica, prima presso l’università  di Lipsia e poi, dal 1878, in quella di Berlino, dove seguì i corsi dei matematici Kronecker e Weierstrass, laureandosi con quest’ultimo nel 1833. Nel 1884 ritornò a Vienna, dove si avvicinò a Brentano e, nel 1887, sostenne l’esame per la libera docenza ad Halle. In questo stesso anno, dopo essersi convertito alla confessione evangelica, sposò Malvine Charlotte Steinscheider, anch’ella ebrea convertita. Nel 1891 pubblicò la sua prima opera Filosofia dell’aritmetica, poi nel 1900 e 1901 i due volumi di Ricerche logiche. Nominato nel 1901 professore straordinario all’università  di Gottinga, vi rimase fino al 1916, quando divenne professore a Friburgo. In questo periodo fondò la rivista che poi divenne l’organo del movimento fenomenologico, lo ‘Jahrbuch fà¼r Philosophie und phanomenologische Forschung’ (Annuario di filosofia e di ricerca fenomenologica), in cui compariranno anche scritti importanti dei suoi primi discepoli, quali Scheler e Heidegger, e pubblicò alcuni dei suoi scritti più significativi, quali Filosofia come scienza rigorosa (1911) e il primo tomo delle Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (1913). Nel dopoguerra, la filosofia di Husserl cominciò ad essere conosciuta anche fuori dalla Germania: nel 1922 tenne una conferenza a Londra sulla fenomenologia e, nel 1929, altre conferenze alla Sorbona di Parigi, poi ripetute a Strasburgo, il cui testo fu trascritto in francese, sotto la guida di A. Koyrè, da G. Pfeiffer ed E. Lèvinas, comparendo nel 1931 con il titolo Meditazioni cartesiane. Intanto, nel 1928, sulla cattedra di Friburgo gli era successo l’allievo Heidegger, mentre egli si dedicava alla composizione di altre opere, come Logica formale e trascendentale (1929) e una Postilla alle Idee, da apporre come premessa alla traduzione inglese di quest’opera, uscita nel 1931: in essa, egli prendeva posizione tra l’altro contro la filosofia dell’allievo Heidegger. Con l’avvento del nazismo nel 1933 arrivarono tempi duri per Husserl: fu radiato dall’università  di Friburgo in quanto ebreo, proprio nel periodo in cui Heidegger ne era rettore; stessa sorte toccò al figlio, professore di Diritto, che nel 1936 emigrò negli USA. In alcune conferenze, tenute a Vienna e a Praga nel 1935, Husserl rilanciò il programma fenomenologico come via di salvezza dai pericoli di disumanizzazione e irrazionalismo che incombevano sulla cultura europea: esse costituiscono l’abbozzo della sua ultima opera, incompiuta, che sarà  pubblicata postuma col titolo La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1954). Nel 1938 Husserl morì a Friburgo; i suoi numerosi manoscritti, grazie a H. L. van Breda, poterono essere salvati dalla distruzione ed essere trasferiti all’università  di Lovanio, dove costituiscono il fondo degli ‘Archivi Husserl’. A partire dal 1950 ha preso avvio, sotto il titolo di ‘Husserliana’, la pubblicazione di questi inediti: tra essi vanno ricordati i volumi secondo e terzo delle Idee (1952), Filosofia prima (1956) e Sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo (1966). Altri scritti sono stati pubblicati dal suo allievo L. Landgrebe ( Esperienza e giudizio del 1939) e da G. Brand ( Mondo, io e tempo del 1955). Aritmetica e logica La prima opera di Husserl, Filosofia dell’aritmetica (1891), è dedicato a Brentano, dal quale Husserl riprende il concetto di intenzionalità  come carattere costitutivo degli atti psichici che ‘tendono’ sempre necessariamente verso il loro oggetto. Su questa base, Husserl considera la genesi del concetto di numero: esso a suo avviso deriva da un atto unitario della mente, che dirige intenzionalmente la sua attenzione su molteplicità  di oggetti riuniti in ‘aggregato’ specifico (ad esempio un insieme di mele). A partire da questo, esso procede a ricavare per astrazione il concetto generale di aggregato, concepito come collegamento collettivo delle unità  costitutive di una molteplicità ; procedendo a contare tali unità , si arriva al concetto di numero. Husserl riconosce l’ esistenza autonoma dei numeri come forme generali, cioò come strutture rappresentative costanti del soggetto, le quali condizionano l’attività  conoscitiva, ma nella misura in cui descrive tali strutture nella loro genesi e organizzazione mentale, resta ancora vincolato allo psicologismo. In seguito ad una recensione critica di Frege, apparsa nel 1894, che Husserl rimprovera di confondere ancora il piano logico con quello psicologico, e alla lettura di Bolzano, Husserl si allontano a poco a poco dallo psicologismo. Riconosce che la logica per compiere ragionamenti o deduzioni corrette, ma ha a che fare anche con il significato dei concetti e, quindi, con il loro contenuto oggettivo. Si pone dunque la necessità  di affrontare il problema delle relazioni tra logica e psicologia e Husserl lo fa con lo scritto Ricerche logiche. Le leggi che descrivono i processi psicologici sono generalizzazioni che partono dall’esperienza e pertanto non hanno validità  necessaria, ma sono modificabili o correggibili in base all’accertamento di fatti empirici. I princìpi logici e matematici, invece, sono necessariamente veri e la verità  stessa è atemporale, cosicchò il rapporto fra premesse e conclusione nei ragionamenti non è riducibile all’accertamento empirico di relazioni di coesistenza o di successione di atti psichici. Una logica pura non è quindi fondabile su basi empirico-psicologiche, ma non può nemanco avere un carattere meramente formale; essa invece deve essere la teoria di ogni possibile tipo di ragionamento, in grado di determinare le condizioni ideali di possibilità  della scienza in generale. Su questa base, Husserl analizza il concetto di significato; egli è del parere che l’unità  minima di significato sia non il termine linguistico singolarmente preso, ma la proposizione, la quale in generale enuncia che qualcosa o è o non è. La logica studia la proposizione a prescindere dal fatto che essa sia vera o falsa oppure che sia formulata verbalmente o pensata da qualcuno; sotto questo profilo, dunque, essa è pienamente indipendente dalla psicologia e non si configura come scienza del pensiero. Per proposizione però Husserl intende non i singoli enunciati, ma l’unità  o l’ essenza di tutti gli enunciati con lo stesso significato. Questa essenza ha esistenza autonoma rispetto ai singoli enunciati, allo stesso modo degli universali (ad esempio la bianchezza), i quali non sono entità  singole, ma l’insieme o l’essenza di una molteplicità  di cose singole (in questo caso le singole cose bianche). Di queste essenze, secondo Husserl, abbiamo un’esperienza autoevidente, caratterizzata da una certezza superiore a ogni certezza data dalle scienze empiriche: egli chiama questa esperienza intuizione categoriale, per distinguerla dalla semplice intuizione empirica, che carpisce solamente oggetti individuali. La logica pura consiste nella descrizione di queste essenze, che sono alla base di ogni tipo di indagine e scienza: si tratta di un’analisi fenomenologica, che mostra come le leggi logiche appaiono ed operano nel vissuto (in tedesco Erlebnis ) concreto della conoscenza. Partendo dalla considerazione dell’oggetto intenzionale dei vari atti psichici, essa descrive come tali leggi, indipendenti dall’esperienza, si realizzano soggettivamente in riferimento agli oggetti, che sono intenzionali negli atti conoscitivi. La fenomenologia Per Husserl l’ideale della vera filosofia consiste nel realizzare l’idea della conoscenza assoluta, basandosi su un fondamento certo, e la fenomenologia è il metodo che permette di raggiungere questo obiettivo. Questo programma Husserl lo delinea e lo svolge negli scritti successivi alle Ricerche logiche, nella Filosofia come scienza rigorosa e, specialmente, nelle Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. Per costituirsi come scienza rigorosa, la filosofia non deve assumere nulla come ovvio e indiscutibile, ma deve raggiungere criticamente un fondamento dotato di evidenza assoluta. A questo scopo, essa non può partire dall’ atteggiamento naturale, che assume il mondo come un insieme di fatti ovvi: le stesse scienze empiriche si fondano su questo presupposto e identificano la conoscenza con l’accertamento dei fatti ritenuti oggettivi e indiscutibili. Ma l’esperienza delle cose è variabile e cangevole e, dunque, non può garantire l’ oggettività  e la validità  della conoscenza, cosicchò le scienze della natura non possono propriamente risolvere i problemi di una teoria della conoscenza. Dunque Husserl può affermare, nella Filosofia come scienza rigorosa, che ‘ ogni scienza della natura è ingenua nei suoi punti di partenza: la natura che essa vuole prendere in esame, per essa esiste semplicemente ‘. Bisogna invece liberarsi da ogni presupposto, sia dalle credenze comuni, sia da quelle proprie di tali scienze, così come dai contenuti dottrinali di tutte le filosofie precedenti. A questo provvede quella che Husserl definisce, con un termine mutuato dallo scetticismo antico, epochò, che letteralmente vuol dire ‘sospensione del giudizio’. L’ epochò consiste nel mettere tra parentesi l’atteggiamento naturale e tutto quel ch’esso comporta: ad esempio, l’assunzione dell’esistenza del mondo o la distinzione di soggetto e oggetto quali dati ovvi. Essa però non ha un compito meramente distruttivo nei confronti delle credenze o dei pregiudizi diffusi e, in questo senso, non coincide con il dubbio scettico. La sua finalità  è invece costruttiva ed è correlata all’assunzione di un atteggiamento fenomenologico che raggiunge la consapevolezza che la conoscenza di questi dati, che appaiono ovvi all’ atteggiamento naturale, è possibile solamente in riferimento alla soggettività . ‘ Io non nego questo mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico, ma esercito in senso proprio l’epochò fenomenologica, cioò: io non assumo il mondo che mi è costantemente già  dato in quanto essente, come faccio, direttamente, nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienze positive, come un mondo preliminarmente assente e, in definitiva, come un mondo che non è un terreno universale d’essere per una conoscenza che procede attraverso l’esperienza e il pensiero. Io non attuo più alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto ‘ ( Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica libro I, sez. II, cap. I, § 32). Sospendendo l’affermazione della realtà  del mondo, il mondo stesso diviene un insieme di fenomeni che si danno alla coscienza e ai quali la coscienza si rapporta come ad oggetti che essa intenziona nei propri atti. Si tratta di apprendere a guardare le cose nel loro costituirsi come fenomeni in relazione agli atti di rappresentazione, di percezione, di ricordo e così via, cioò in relazione alle esperienze vissute (Erlebnisse), in cui esse si danno. Si capisce allora il significato del programma di Husserl di tornare alle ‘cose stesse’: messa tra parentesi l’esistenza del mondo come un dato ovvio, verso il quale si prova interesse, l’atteggiamento fenomenologico diviene l’atteggiamento meramente teoretico di uno spettatore disinteressato. Lo sguardo di questo spettatore però è diretto non già  verso le cose empiriche nella loro accidentalità , bensì verso le essenze. L’atteggiamento fenomenologico assume come criterio di validità  l’ evidenza, con la quale i contenuti intenzionali dalla coscienza si danno nella loro essenza in specifici atti intenzionali. Questo vuol dire che l’analisi fenomenologica mette tra parentesi l’oggetto naturale nella sua singolarità  e opera quella che Husserl definisce riduzione eidetica (dal greco eide, ‘forme’, ‘idee’ o ‘essenze’), che porta appunto alle essenze quali si danno nell’intuizione della coscienza. Il programma di Husserl di fondazione della conoscenza non può però arretrarsi qui: le essenze infatti sono i correlati intenzionali degli atti della coscienza, i quali possono, a loro volta, essere fatti oggetti di riflessione. La riflessione è una proprietà  fondamentale del vissuto: grazie ad essa ogni Erlebnis (vissuto) è coglibile e analizzabile. In altre parole si può dirigere uno sguardo riflessivo sugli atti stessi della coscienza e del pensiero: in questo modo, essi diventano oggetti di quella che Husserl definisce percezione immanente, la quale è fornita di evidenza assoluta. Si può infatti sospendere il giudizio sull’esistenza del mondo, ma è evidente che esso appare alla coscienza: non posso sospendere il giudizio sul fatto che io sto pensando. Questo vuol dire che, mentre il mondo naturale e le cose che gli appartengono possono essere o non essere, la percezione immanente garantisce necessariamente l’esistenza del suo oggetto, cioò del vissuto intenzionale della coscienza. La coscienza è dunque il risultato ultimo e indubitabile della riduzione, non ulteriormente riducibile ad altro: Husserl la chiama residuo fenomenologico. Non si tratta però della coscienza empirica dei singoli individui: anche questa, infatti, è sottoponibile ad una riduzione, che la liberi dai suoi caratteri meramente empirici. Il residuo fenomenologico è invece la coscienza pura o trascendentale, che non necessita di altre condizioni antecedenti per esistere: tutto è neutralizzabile e riducibile a riduzione, il mondo e Dio, le scienze e la teologia, ad eccezione dell’io puro, che però non è una sostanza ma è la funzione originaria e universale della coscienza che costituisce il mondo. Rispetto ad essa, il mondo naturale è trascendente, ma esiste e ha senso solo tramite gli atti della coscienza: quest’ultima infatti è intenzionalità , cioò è sempre coscienza di qualcosa. La nozione di intenzionalità  della coscienza consente dunque a Husserl di tenersi alla larga dalle forme di naturalismo e positivismo, per le quali la scienza basata su dati oggettivi, indipendenti dalla coscienza, rappresenta il modello della conoscenza, sia dalle forme di spiritualismo, che, ravvisando nella pura introspezione la via di accesso privilegiata agli atti della coscienza, smarriscono appunto il carattere intenzionale della coscienza, garante dell’oggettività  della conoscenza stessa. Husserl definisce la fenomenologia come eidetica, cioò ‘scienza di essenze’: a differenza dei fatti empirici, esistenti nello spazio e nel tempo, che possono essere diversi da come sono, le essenze sono necessarie ed universali. Ed è per questo motivo che spesso gli interpreti hanno di vero e proprio ‘platonismo di Husserl’. Ogni scienza empirica racchiude anche conoscenze eidetiche, ma solo la fenomenologia, al pari della logica e della matematica pura, è esente da dati di fatto e riguarda anche essenze. Esse rappresentano le strutture a priori, costanti e generali, dell’esperienza, le quali hanno per correlato il mondo come insieme degli oggetti di un’esperienza possibile. Il mondo e la realtà  hanno senso solo se riferiti alla coscienza, la quale ha appunto la proprietà  di conferire senso ad essi. Ogni vissuto intenzionale è costituito da un aspetto soggettivo, chiamato noesi (che letteralmente vuol dire ‘l’operazione del pensare’), cioò dall’atto intenzionale che conferisce senso (il percepire, il ricordare, il desiderare, ecc. ) e da un aspetto oggettivo, chiamato noema (che letteralmente vuol dire ‘ciò che è pensato’), cioò il percepito, il ricordato, il desiderato, ecc. Nel noema è dato il mondo intenzionato dalla coscienza nelle sue differenziazioni regionali, cioò nei diversi modi di essere in cui le cose si danno alla coscienza. In base a queste differenziazioni si costituiscono le cosiddette ontologie regionali, dove per regione si intende ‘ la complessiva e superiore unità  di generi pertinenti a un concreto ‘. A ciascuna ontologia regionale appartengono dunque specifiche essenze regionali: in virtù di esse si può ricavare la costituzione fondamentale di ogni conoscenza possibile e il fondamento ontologico di tutte le scienze empiriche. La fenomenologia però è diversa dall’ontologia classica, la quale assume le unità , di cui essa si occupa, nella loro identità , come se si trattasse di qualcosa di fisso e definito; la fenomenologia invece assume le varie unità , cioò le essenze, nel flusso che le correla al vissuto della coscienza ed è finalizzata a stabilire non una dottrina delle varie realtà , ma della costituzione delle realtà  oggettive a partire dalla coscienza dell’io puro. Husserl dedica alla trattazione di queste tematiche la terza parte delle Idee, pubblicata postuma. Nella seconda parte, anch’essa pubblicata dopo la morte del pensatore ebreo, Husserl fornisce un’analisi fenomenologica dei modi in cui si costituiscono i tre strati della realtà  mondana. Il primo è quello delle cose materiali, cioò il campo delle realtà  trascendenti spaziotemporali, oggetto della percezione e delle scienze naturali e rette dalla pura causalità . Il secondo strato è quello del corpo proprio, cioò della totalità  liberamente mobile degli organi di senso, e delle nature animali, soggette a condizionamenti e oggetto della somatologia, alla quale scorrettamente è collegata la psicologia, dal momento che non ha senso per Husserl parlare di parallelismo psico-fisico. Il mondo che sta di fronte al soggetto dipende per Husserl dal corpo proprio e dalle peculiarità  della psiche. E proprio il terzo strato è costituito dalla psiche, uno strato caratterizzato dalla storicità , in quanto flusso di Erlebnisse collegati tra loro e copn il corpo proprio: a partire dalla psiche, si costituisce il vero, che non trasuda negli Erlebnisse. L’io però per Husserl richiede il tu, il noi, l’altro, il mondo: su questa base poggia il mondo spirituale, in cui la persona, nell’associazione con le altre persone, ò centro di un mondo circostante che si configura come orizzonte aperto ai dati oggettivi naturali e sociali che possono offrirsi. La vita spirituale ha la sua legge fondamentale nella motivazione, cosicchò in tale mondo l’io si configura come io libero: questo conferisce al mondo spirituale un primato ontologico su quello meramente naturale. L’io e il mondo della vita Husserl sapeva bene che la sua esigenza di un nuovo, radicale inizio e di una nuova, radicale fondazione della conoscenza presentava analogie con il programma perseguito tre secoli addietro da Cartesio. Proprio su questo punto Husserl ritorna nelle Meditazioni cartesiane: Cartesio ha inaugurato una filosofia di specie nuova, il passaggio dall’oggettività  ovvia e spontanea al soggettivismo trascendentale, e su questa linea si colloca pure la fenomenologia. Anche oggi infatti è andato perduto, a parere di Husserl, il senso dell’unità  della scienza a causa della carenza di chiarezza sui princìpi di essa e i filosofi non collaborano più in vista di questo fine, cosicchò bisogna rievocare in vita il radicalismo di Cartesio. La scienza è in cerca di verità  valide per tutti, ma non può pretendere ad alcuna validità  definitiva se manca l’ evidenza assolutamente certa, scevra di ogni dubbio, del suo fondamento. Questa non è ricercabile nel mondo quale appare all’esperienza comune e alle stesse scienze naturali, perchò, come aveva dimostrato Cartesio, quel mondo potrebbe essere solo un sogno o una serie di immagini virtuali inviate al nostro cervello da un genio maligno. Mettendo il mondo tra parentesi, però, io raggiungo non un puro nulla, ma me stesso come io puro o coscienza pura, in cui e per cui l’intero mondo oggettivo è per me. Infatti io possiedo, in quanto io, un mondo continuativo che è ‘per me’ ed io stesso sono dato a me stesso in un’esperienza evidente. Il tempo, come coesistenza e successione dei momenti di vita, è la forma universale che sta alla base di ogni genesi dell’io. Affiora qui l’evidenza apodittica dell’io sono, erroneamente trasformato da Cartesio in una sostanza pensante: si tratta invece dell’ io o ego trascendentale, che è indisgiungibile dalle sue esperienze vissute, è il polo identico dei momenti di vita della coscienza e l’universo delle possibili forme che essi possono assumere. Questa è l’evidenza originaria: e Husserl dice che ‘ non ha senso voler cogliere l’universo dell’essere vero come qualcosa che stia al di fuori dell’universo della cosa possibile ‘. Il mondo e le cose assumono un significato e un senso solo attraverso l’io, cosicchò si può affermare che la soggettività  trascendentale è ‘ l’universo della possibilità  di senso ‘. La fenomenologia, avendo il suo fondamento nell’evidenza dell’io trascendentale, è definita da Husserl come idealismo trascendentale, differente dall’idealismo psicologico alla Berkeley, ma anche da quello kantiano, il quale persevera nel mantenere un mondo di cose in sò come concetto limite. A differenza dell’idealismo tradizionale, quello trascendentale non nega l’esistenza del mondo, ma ha come unico fine il chiarimento del senso di questo mondo. Su questa base, Husserl può asserire che la filosofia può solo rivelare il senso del mondo, non mutarlo. Il rischio del primato accordato all’io può consistere in una forma di solipsismo, che rinchiuda il soggetto in se stesso e lo renda irraggiungibile agli altri e incapace di accedere lui ad essi. Sempre nelle Meditazioni cartesiane Husserl si prende la briga di mostrare che l’ intersoggettività  è costitutiva della soggettività  trascendentale; per il pensatore ebreo, infatti, io originariamente ho esperienza del mondo come intersoggettivo, cioò come ‘ un mondo che è per tutti ed i cui oggetti sono disponibili a tutti ‘. Entro questa sfera comune io tento di delimitare la sfera specifica di quel che è ‘mio proprio’, ma questo presuppone il concetto di ‘altro’. In questo modo, si dirada l’apparenza di solipsismo, pur continuando a valere il principoio secondo cui tutto quel che è per me, compresi gli altri soggetti, possono attingere il loro senso esclusivamente dalla mia sfera di coscienza. Le filosofie della vita, e anche filosofi che facevano proprio il metodo fenomenologico (Scheler ed Heidegger), biasimavano Husserl per un eccesso di intellettualismo, per un’insistenza unilaterale sul problema della conoscenza e, quindi, per l’incapacità  di pervenire alla soggettività  pratica e attiva e di affrontare i problemi dell’esistenza. Contro queste critiche Husserl rivendic, nella Postilla alle Idee (1930), il carattere universale della fenomenologia, avente un metodo in grado di far fronte a tutti i problemi della filosofia e, per questa strada, anche a ‘ tutte le domande che l’uomo concreto può porre ‘. Forse proprio in risposta a queste accuse di distrattezza e alla nozione di essere-nel-mondo di Heidegger, Husserl pone al centro della propria riflessione, negli ultimi anni di vita, il concetto di mondo-della-vita, che svolge una mansione di primo piano nell’opera intitolata La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (pubblicata postuma). Le scienze contemporanee, nonostante i loro evidenti successi, sono tormentate da paradossi e da problemi di fondazioni e attraversano una crisi profonda, espressione della crisi radicale della vita dell’umanità  europea. In discussione è non tanto il valore delle conoscenze specifiche conseguite dalle singole scienze, quanto il significato che la scienza nel suo complesso ha e può avere per l’umanità . Alla base della crisi c’è la riduzione dell’idea della scienza a scienza di fatti, la quale prescinde da qualunque riferimento al soggetto che effettua l’indagine scientifica. Questo vale anche per le cosiddette scienze dello spirito, in cui l’avalutatività , in quanto salvaguardia da giudizi arbitrari meramente soggettivi, diviene l’ideale da perseguire. Escludendo in linea di principio i problemi del senso dell’esistenza e del mondo in generale, la scienza finisce con l’estraniarsi dagli uomini; ne consegue per Husserl che ‘ le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto ‘. L’origine della crisi di oggigiorno delle scienze va scorta per Husserl nella crisi dell’idea di filosofia, come scienza onnicomprensiva della totalità  dell’essere, di cui le singole scienze costituiscono ramificazioni specifiche. L’umanità  europea si era costituita come autonoma grazie a questa concezione della filosofia, affiorata nel Rinascimento, la quale tendeva a dare alla vita regole basate sulla ragione, al fine di rendere liberi. A partire da Settecento, la possibilità  di una metafisica era divenuta problematica ed era franata la fede in una filosofia universale in grado di guidare l’uomo e, quindi, la fede in una ragione che fosse capace di dare un senso alla totalità  della natura e della storia. Per capire la crisi che investe il presente, per Husserl, si deve riconsiderare la storia dell’umanità , rendendosi conto che le battaglie spirituali dell’umanità  europea sono lotte tra filosofie: ‘ le uniche battaglie davvero significative del nostro tempo sono battaglie tra un’umanità  che è già  franata in se stessa e un’umanità  che è ancora radicata su un terreno, e che lotta proprio per questo inserimento o per uno nuovo. Le vere battaglie spirituali dell’umanità  europea sono lotte tra filosofie, cioò tra le filosofie scettiche- o meglio tra le non filosofie, che hanno mantenuto il nome ma che hanno smarrito la coscienza dei loro compiti- e le vere filosofie, quelle ancora vive ‘ ( La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale parte I, § § 6-7). Grazie a questa riconsiderazione storica ci si può rendere conto che ‘il senso dell’umanità ‘ autentica consiste in una umanità  ‘ fondata sulla ragione filosofica e sulla coscienza di non poterlo essere che così ‘. Questa nuova nozione di umanità  fa la sua comparsa, stando a Husserl, in Grecia con la nascita della filosofia come attività  teoretica puramente disinteressata e condotta dalla ragione, volta ad un sapere universale dotato di fondamento assoluto. Si è originato in questo modo un §telos, un fine, consistente nella realizzazione di un’umanità  pienamente razionale: questo fine, al tempo stesso, è un compito infinito, che ha i suoi funzionari e garanti nei filosofi, responsabili per il vero essere dell’umanità . Per uscire dalla crisi imperante nel presente bisogna dunque recuperare il senso originario di questo ‘fine’, proseguendo l’eredità  trasmessa dai primi filosofi greci, la quale è scivolata nei meandri dell’oblìo, originando la crisi delle scienze stesse: questo è possibile solo tramite la filosofia fenomenologica, in grado di volgere uno sguardo pienamente disinteressato verso le cose stesse e, quindi, di ravvisare nella soggettività  trascendentale il fondamento di ogni sapere possibile; il liberare l’umanità  dalla crisi è compito dei filosofi: ‘ L’umanità  in generale è per essenza un essere uomini entro organismi umani generativamente e socialmente connessi, e se l’uomo è un essere razionale, lo è solo se tutta la sua umanità  è un’umanità  razionale [… ] Noi siamo riusciti a comprendere, anche se solo nelle linee più generali, come il filosofare umano e i suoi risultati non abbia affatto il significato puramente privato o comunque limitato di uno scopo culturale. Noi siamo dunque- e come potremmo dimenticarlo? -, nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità  [… ] E’ chiaro (e che cosa altrimenti ci potrebbe aiutare? ) che occorrono esaurienti considerazioni storiche e critiche per giungere, prima di qualsiasi decisione, a un’autocomprensione radicale, che occorre indagare su ciò che originariamente si perseguiva con la filosofia, ciò che tutte le filosofie e tutti i filosofi, storicamente intercomunicanti, hanno perseguito; e tutto questo attraverso una considerazione critica di ciò che nella propria finalità  e nel proprio metodo rivela quell’aderenza ultima e autentica alla propria origine che, penetrata, lega a sò apoditticamente la volontà  ‘. Per Husserl, la crisi delle scienze incomincia già  con Galileo e con la sua idea della matematizzazione della natura, che ha portato a considerare la natura stessa come un mondo di corpi realmente circoscritto in sò e, quindi, a far proprio l’atteggiamento naturale, che assume il mondo come un dato ovvio, distinto e non dipendente dal soggetto che lo conosce e grazie al quale riceve un significato. In questo modo, si prepara il dualismo cartesiano tra natura e mondo psichico, che è la premessa per la specializzazione delle varie scienze e per la costruzione di una psicologia oggettivistica. Sotto questa prospettiva, la stessa soggettività , l’anima o la mente, diviene un’entità  analoga alle cose naturali, indagabile con i metodi presi a prestito dalle scienze della natura. Questo ha portato a dimenticare il fondamento che conferisce senso alle stesse operazioni delle scienze naturali, cioò quello che Husserl definisce il mondo-della-vita (in tedesco Labenswelt ), cioò la vita che ha esperienza del mondo prima di qualsiasi formazione di categorie e giudizi. In questo senso, essa è prescientifica e precategoriale, ma è al tempo stesso il fondamento e la fonte delle conoscenze stesse delle scienze. Questo non vuol dire che essa fornisca i dati della sensibilità  come dati ovvi a partire dai quali esse si costruiscono. Il mondo della vita è piuttosto definito da Husserl come ‘ un regno di evidenze originarie ‘, esperite nella loro immediatezza e comuni a tutti gli uomini in quanto soggetti conoscenti. Ad esso si perviene tramite la riduzione fenomenologica, che permette di vederne il centro nella soggettività  che, sia nei modi prescientifici, sia in quelli scientifici, tende a raggiungere il senso ultimo del mondo. Il primo in sò non ò, dunque, l’essere del mondo nella sua ovvietà , come presumono le scienze naturali, ma la soggettività , che nelle sue forme prescientifiche pone ingenuamente l’essere del mondo e poi, nelle varie scienze, l’obiettivizza. La fenomenologia invece, in quanto riflessione da parte del soggetto conoscente su se stesso e sulla propria vita conoscitiva, può ritornare a questa fonte ultima di tutte le informazioni conoscitive e, su questa base, costruire una filosofia universale fondata in maniera pura e definitiva. Tramite la fenomenologia, la filosofia può dunque recuperare il ‘telos’, il fine, già  insito nella sua origine greca, della ricerca e realizzazione di un’umanità  interamente e liberamente fondata sulla ragione. Indicando nella fenomenologia la prosecuzione più adeguata dell’ideale di una libera indagine razionale, scevra di presupposti e tendente ad una validità  universale, Husserl intendeva opporsi all’irrazionalismo, che ormai egli vedeva minacciare la visione spirituale e materiale dell’Europa e soprattutto della Germania e al quale le scienze, a suo parere, non erano più in grado di opporre alcun attacco. Sotto questa prospettiva, la filosofia riacquisiva il compito etico di salvaguardare il significato autentico dell’idea di umanità .

  • Filosofia del 1900

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