Foscolo profeta, profilo critico - Studentville

Foscolo profeta, profilo critico

Tema svolto sul profilo critico e personale di Foscolo.

Foscolo è il primo poeta che abbia inteso e sia riuscito a precisare la propria fisionomia poetica in senso lirico, tale che non potesse essere annoverata in nessun altro genere poetico, anzi li riassunse tutti e li superò nel primato dell’esperienza personale.
Le vicende personali del poeta e la sua attività pubblica, soprattutto letteraria, sono assolutamente collegate, e dalla sua opera traspare una personalità divisa tra la poesia della passione e la prosa dell’ironia e della critica. La vena autobiografica delle Ultime lettere di Jacopo Ortis ci dà delle indicazioni sul personaggio Foscolo. Ortis non si presenta come poeta, anche se ha tradotto Saffo ed è autore di versi, ma ai fini della definizione del personaggio Foscolo è più che un poeta, è un poeta lirico. Nella finzione romanzesca, l’idea dell’infinita distanza dei moderni dalle fonti della poesia produce più evidentemente i suoi effetti: la poesia coincide con lo stato d’animo corrispondente, propizio al vagheggiamento e all’attesa. Ma quando si rende conto che anche l’illusione lo abbandona, e che è impossibile continuare a nutrire i suoi sogni di libertà e amore, Ortis reagisce con il suicidio. Ortis non è più disgraziato o meno razionale di Foscolo, che, non avendo più scelta, sceglie l’esilio e si ritira naturalmente nella creazione letteraria. Foscolo rinuncia alla diretta descrizione letteraria del proprio Io, come potrebbe permettere una propria autobiografia, perché, a differenza di Ortis, non esaurisce la propria funzione in una testimonianza, ma ha un’opera vera da fondare sull’esaltazione delle risorse della letteratura e del potere consolatorio della bellezza.
Foscolo, come poeta, si presenta, al pubblico contemporaneo e ai posteri, con un’opera ridotta al minimo indispensabile: le Poesie, Dei Sepolcri, e l’incompiuto poema Le Grazie. Attraverso l’evidente sproporzione tra i pochi versi ai quali il poeta affida la propria fama e la grande mole di altri scritti che gli fa da corona, Foscolo riproduce nella sua opera e trasforma in una sorta di grande tema riassuntivo il vagheggiamento di tutta una cultura e quello suo professionale di studioso e insegnante.
I dodici sonetti, memori di quelli alfieriani, ma più classicamente composti, contengono disseminato un autoritratto che risulta più lusinghiero di quello presentato come tale. Il poeta si mostra all’altezza di questa investitura, elevando al rango dell’ufficialità e di una vita tutta vissuta in pubblico la propria vicenda intima. Il trapasso della risentita affermazione della propria vocazione poetica al destino disgraziato in essa implicito si realizza con la massima naturalezza: “Tu non altro che il canto avrai del figlio, / o materna mia terra; a noi prescrisse / il fato illacrimata sepoltura”(A Zacinto, vv. 12-14). Il poeta, che non riesce neppure ad avvalersi del proprio dono per lenire il dolore con cui lo deve scontare, si caratterizza per la propria nobilitante disponibilità amorosa. Vive come una malattia la propria condizione, è ridotto alla disperazione, ma quella stessa irrequietudine che lo ha esposto al pericolo non gli consente di rassegnarsi. Al contrario, lo trasforma in un campione della causa di un’umanità sventurata, alla quale restano la fierezza delle proprie sventure e la speranza.
L’autoritratto vero e proprio di Foscolo si trova nel sonetto VII. Rispetto al sonetto alfieriano al quale si rifà, quello di Foscolo ha la particolarità di anticipare nell’aggettivazione relativa all’aspetto fisico il giudizio morale positivo esplicitamente pronunciato. Il poeta indulge volentieri ai forti chiaroscuri, utilizzati persino per la parte fisica dell’autoritratto, e arriva a confessare un proprio privatissimo strazio, riportandolo da un celebre componimento catulliano (Carmina CI) nel sonetto X.
Mentre i sonetti illustrano l’ incontenibile personalità foscoliana e accennano continuamente ai dati sostanziali ed rappresentativi della realtà vissuta, le due odi colgono in atto l’ideale letterario. Il poeta esiste come tale in un momento storico che non prevede altra grandezza, e persegue un idoleggiamento neoclassicistico della bellezza, riconsiderato sulla base di un’esperienza diretta dei capolavori della grecità. Foscolo riprende l’ode settecentesca nella sua estrema e notevole incarnazione, quella del Parini neoclassico. Infatti, anche Foscolo attribuisce uno specifico prestigio
morale e intellettuale alle occorrenze quotidiane, trasfigurandole in un gioco raffinato con la poesia e la cultura. Traspare inoltre da queste odi foscoliane una sorta di riconoscimento devoto della bellezza antica anche nelle sue manifestazioni moderne. La bellezza femminile celebrata porge l’occasione per un atto di culto nel quale al mito si chiede di evocare e rappresentare tutta la poesia che l’ha tramandato.
Un altro aspetto di Foscolo è la sua erudizione, evidente dai lunghi esercizi di traduzione e dal carme Dei sepolcri. Il poeta si produce, in un’articolata argomentazione, a favore del culto dei morti e della tomba sulla quale quel culto viene osservato. Benché inutile per il morto, la tomba, ora negata dall’editto napoleonico di Saint-Cloud, è all’origine della religione e dei riti annessi, e non ha mai cessato di impartire un perenne insegnamento. Di questo insegnamento il poeta vuol farsi testimone, non solo per una scelta personale, ma per assecondare l’intima vocazione della lirica a riassumere e a sintetizzare la tradizione letteraria e i valori da essa espressi, meditando sulle tombe dei grandi nella chiesa fiorentina di Santa Croce. Il poeta si attribuisce la stessa forza degli antichi Greci contro i Persiani, e invoca le Muse che sono custodi dei sepolcri. Foscolo reperisce nella tradizione letteraria, amorevolmente rivissuta, il desiderio della fama. Con il carme Dei sepolcri, la poesia si propone come assoluto valore di un’umanità disincantata dall’ ambizione del tutto e liberalmente protesa alla pietosa perpetuazione degli affetti e di quanto altro può sottrarsi al fato luttuoso cui soggiace.
Le Grazie è un poema incompiuto in endecasillabi sciolti, composto da tre inni: Venere, Vesta, Pallade. Il primo inno ha come tema la nascita di Venere e delle Grazie dall’”onda Ionia primiera” e le conseguenze della loro comparsa sugli uomini. Nel secondo, in cui la scena, seguendo lo spostamento delle Grazie si trasferisce nell’Italia contemporanea, si racconta di un rito celebrato in onore delle Grazie da tre donne, Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti e Maddalena Bignami, entrate nella vita del poeta e nel poema simboleggiano rispettivamente la musica, la poesia e la danza. Il terzo contiene la celebre descrizione del velo delle Grazie, e parla del potere delle arti sulle passioni umane, con ambientazione in un paese ideale, Atlantide. Le Grazie costituiscono anche la traduzione poetica della teoria estetica di Foscolo. L’apparato esplicativo che accompagna questa storia ideale della civilizzazione del genere umano attraverso le arti svolge una funzione essenziale, solo in parte anticipata nelle opere precedenti: quella di mettere in scena la condizione moderna del poeta, lo slancio passionale e la purezza dell’ispirazione lirica.
Nonostante la precoce sensibilità al nuovo quadro problematico della poesia ottocentesca, a Foscolo si può attribuire l’incapacità di compiere fino in fondo il passaggio da un secolo all’altro. Il passato di cui non si riesce a liberare è rappresentato da Monti, suo amico, protettore e maestro, e dal codice neoclassico che il poeta più anziano era stato capace di costruire e che il più giovane è riuscito genialmente a quintessenziare.

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