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Fra teologia e fenomenologia

La filosofia di Heidegger.

Nel 1907, come racconta Heidegger stesso, Konrad Grà¶ber, che sarebbe poi diventato arcivescovo di Friburgo, gli diede da leggere lo scritto di Franz brentano Sul molteplice significato dell’essere secondo Aristotele (1862). Tra gli insegnanti a Friburgo c’era il teologo Carl Braig, autore di un libro Sull’essere (1896), contenente ampie citazioni di Aristotele, san Tommaso e Suarez: Heidegger lesse anche questo scritto. Questi due testi lo misero di fronte alla domanda che per lui rimase sempre centrale: che cos’ò l’essere? In questo periodo egli studiò anche matematica, scienze naturali e logica e tra il 1909 e il 1910 lesse le Ricerche Logiche di Husserl, che influenzarono i suoi primi scritti. Di Husserl, Heidegger condivideva in primo luogo la lotta contro lo psicologismo, ossia contro la riduzione della logica alla formazione empirica dei concetti e delle proposizioni. Egli giudicava la fenomenologia il metodo essenziale per portare un chiarimento alla questione dell’essere e della vita. Ma la fenomenologia, qual’era concepita da Husserl come epochò o riduzione fenomenologica, tendeva a cogliere l’essenza delle cose attraverso uno sguardo totalmente scevro da presupposti legati all’esistenza storica del soggetto. Si poneva allora il problema di come fosse possibile rendere la fenomenologia compatibile con il fatto ineliminabile e irriducibile della storicità  della vita. Il corso d’insegnamento, tenuto da Heidegger nel semestre invernale 1919-20, verteva sui problemi della fenomenologia pura. Al centro egli poneva la vita intesa come realtà  autosufficiente, sempre collocata in situazioni storiche. Proprio nel 1919 egli aveva letto la Psicologia delle visioni del mondo di Jaspers e ne aveva scorto il nucleo portante nella dottrina delle situazioni- limite, in cui si decide della vita stessa, ma ne aveva criticato l’impostazione oggettivistica, affine all’atteggiamento disinteressato proprio della fenomenologia di Husserl. La vita, secondo Heidegger, non può essere colta nella sua realtà  e nei suoi significati per mezzo di un metodo scientifico oggettivo e distaccato; occorre invece superare l’opposizione fra teoria e prassi, tra descrizione psicologica e decisione esistenziale. La fenomenologia ritiene di poter pervenire alla comprensione originaria di sè mediante un atteggiamento puramente teoretico, modellato sulle scienze. Per Heidegger, invece, l’atteggiamento scientifico, irrigidendo la vita, non può coglierne l’elemento specifico, cosicchò la fenomenologa deve piuttosto configurarsi come ermeneutica della fatticità , cioò come interpretazione che la vita dà  di se stessa quale di fatto ò. Costitutivo della vita ò, tra l’altro, il fatto di appartenere a un mondo, ma ò proprio il mondo che la riduzione fenomenologica di Husserl, mirando a raggiungere l’io puro e le sue strutture, mette tra parentesi. In tal modo essa si priva, secondo Heidegger, della possibilità  di cogliere la vita. Dilthey, a sua volta, aveva avvertito, secondo Heidegger, che il problema ò di portare la vita a una comprensione filosofica, ma non si era reso conto che per questo occorreva riproporsi il problema dell’essere: a ciò deve invece condurre “l’ontologia o ermeneutica della fatticità “. Questo tema ò affrontato da Heidegger in un corso del 1923, dove riconosce che il problema dell’essere ò rimasto impigliato in una concezione inadeguata: sin dall’antichità  infatti, secondo Heidegger, l’essere ò stato concepito come essere semplicemente presente. La fenomenologia autentica deve, invece, fare in modo che le cose stesse e i concetti che dovrebbero esprimerle vengano resi manifesti, sottraendoli alle deformazioni o nascondimenti a cui sono andati soggetti nel corso della storia: ciò vale anche per l’essere. Contrariamente a quanto pensava Husserl, la fenomenologia, per afferrare il significato originario dei concetti, deve dunque assumere una dimensione storica. Nel 1925 Heidegger dedica un corso ai Prolegomeni sulla storia del concetto di tempo, nel quale chiarisce il senso dei due termini, che compongono la parola fenomenologia: fenomeno indica ciò che ò manifesto e logos il lasciar vedere qualcosa in se stesso. Il concetto opposto a “fenomeno” ò “essere scoperto” non soltanto nel senso di non ancora visto, ma piuttosto in quello di non compreso nella sua provenienza storica. Per tale comprensione ò insufficiente una fenomenologia intesa, alla maniera di Husserl, come un semplice vedere. A questa trasformazione della fenomenologia Heidegger arriva riflettendo, contemporaneamente, oltre che sulla Scolastica, sui mistici tedeschi e sui caratteri dell’ esperienza religiosa. Nel 1959 egli dirà : ‘ Senza questa origine teologica non sarei mai giunto sulla via del pensiero ‘. La teologia protestante di quegli anni andava riscoprendo la centralità  delle attese escatologiche dei primi cristiani, in opposizione alla riduzione del cristianesimo a semplice costruzione teologica. I nomi di Lutero e di Kierkegaard erano diventati emblematici di un nuovo modo di esperire la fede nel suo significato originario. Nel semestre invernale 1920-21 il corso di Heidegger ha per titolo Introduzione alla fenomenologia della religione. Il punto centrale del pensiero di San Paolo ò da lui ravvisato nella convinzione che la fede del cristiano si fonda sulla speranza nel ritorno di Cristo. Questo ò l’ evento, che non può essere determinato nè calcolato in anticipo, ò l’evento possibile che può irrompere improvvisamente nella vita del cristiano. L’esperienza di vita del primo cristianesimo ha dunque un carattere storico, in quanto ravvisa la struttura portante della vita nel compimento storico e temporale di questo evento: essa rappresenta per Heidegger il modello dell’esperienza della vita in generale. Nel corso della storia del cristianesimo, però, questa struttura, imperniata nell’attesa storica del ritorno di Cristo, era stata soffocata da un apparato concettuale metafisico e teologico inadeguato ad esprimerla: così era avvenuto, per esempio, in Agostino con il neoplatonismo, un tema su cui Heidegger si trattenne nel corso del semestre estivo del 1921. Attraverso il neoplatonismo si erano imposte, entro il cristianesimo, la distinzione tra cose visibili e cose invisibili e la concezione di Dio come sommo bene: ciò significava che Dio può essere compreso soltanto a partire da qualcos’altro e, precisamente, a partire dalle cose create. Contro ciò era insorto il giovane Lutero, secondo il quale l’essenza di Dio non può essere compresa partendo dalle sue opere, ma propriamente solo dal fatto che Dio si rende visibile sulla croce nel dolore, ossia a partire dall’esperienza reale della vita. In contrasto con questa esperienza storica di vita, la metafisica aveva assegnato un primato al vedere: in base ad esso l’essere ò concepito come ciò che ò davanti agli occhi nella sua costante presenza, non come un evento atteso sempre possibile. Questa identificazione dell’essere con la semplice presenza era stato, secondo Heidegger, il presupposto non più discusso nella storia del pensiero occidentale. Si trattava ora di riproporlo come problema, riformulando la domanda: che cos’ò l’essere? Da questa domanda parte l’opera più celebre di Heidegger, Essere e Tempo (1927), la quale, pur essendo dedicata a Husserl, segna di fatto il definitivo distacco dalla fenomenologia husserliana.

  • Filosofia del 1900

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