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Herbert Marcuse

Il pensiero del filosofo tedesco.

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Herbert Marcuse Tra i pensatori legati alla scuola di Francoforte, chi più utilizzò le riflessioni di Freud sulla civiltà fu Herbert Marcuse (1898-1979). Nato a Berlino da ricca famiglia ebrea, si laureò nel 1921 a Friburgo, dove tornò nel 1929 per studiare con Husserl e Heidegger, il risultato di questo periodo è L’ontologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicità , pubblicato nel 1932. Nello stesso anno, per tensioni con Heidegger, che si stava sempre più avvicinando al movimento nazionalsocialista, Marcuse lasciò Friburgo e divenne membro dell’Istituto di Francoforte ma poco dopo, con l’avvento del regime nazista, dovette abbandonare la Germania ed emigrare negli Stati Uniti. Qui per vari anni, sino al 1950, fu impegnato a lavorare per il Dipartimento di Stato americano, dal 1951 al 1954 fu anche incaricato di svolgere una ricerca sull’Unione Sovietica conclusa con la pubblicazione di Marxismo sovietico (1958). Nel frattempo, Marcuse aveva già pubblicato in inglese un nuovo studio su Hegel, Ragione e Rivoluzione (1941), e ne 1951 era diventato professore alla Brandeis University. Inizia allora la pubblicazione delle sue opere più note, Eros e civiltà. Un’indagine filosofica in Freud (1955), e L’uomo a una dimensione. Studi sull’ideologia della società industriale avanzata (1964), che diventeranno testi canonici durante gli anni della contestazione studentesca negli Stati Uniti e in Europa. Nominato professore all’università di San Diego, in California, nel 1965, contribuì alle lotte e alle discussioni nate nel movimento degli studenti con altri scritti, quali la Critica della pura tolleranza (1965), un’intervista dal titolo La fine dell’utopia (1967), e il Saggio sulla liberazione (1969). La prima fase dell’attività di Marcuse è caratterizzata dall’influenza congiunta sul suo pensiero da Heidegger e Marx. Ai suoi occhi Essere e tempo aveva mostrato la radicale storicità dell’esistenza umana e posto il problema della sua autenticità in termini di decisione, ossia di prassi. Tale progetto, tuttavia, era fallito perché non aveva identificato la decisione con la rivoluzione, in quanto atto mirante a rendere universale l’autenticità, e quindi non aveva riconosciuto il vero agente di questo processo storico nel proletariato. Qui diventava allora necessario rifarsi al marxismo, che tuttavia (e in questo Marcuse si mostrava in sintonia con Lukacs) doveva abbandonare la tesi della priorità della struttura e la pretesa di applicare la dialettica anche alla natura, e non soltanto alla storia. I materiali per la costruzione di una nuova antropologia storica erano forniti a Marcuse sopratto dai Manoscritti del 1844 di Marx, nei quali il lavoro non alienato era presentato come il mezzo con cui l’uomo realizza la propria essenza. Il lavoro era per Marcuse, in questa fase, diversamente da quanto pensavano i francofortesi, lo specifico modo di essere dell’esistenza umana nel mondo. Nel saggio pubblicato sulla rivista dell’Istituto, intitolata Sul carattere affermativo della cultura (1937), egli sosteneva che il tratto specifico della cultura borghese consiste nel fare dello spirito del mondo autonomo di valori, superiore e separato dai bisogni e dai piaceri materiali, realizzabile senza dover intaccare in alcun modo la realtà esistente. In tal modo la felicità è tenuta lontano dalla realtà quotidiana e riposta nell’ascetismo e nella liberazione dal piano sensibile, inclusa la sessualità, dipende dal fatto che la società deve disciplinare e tenere a freno masse insoddisfatte, potenzialmente eversive. La mancanza di felicità, è dunque, soltanto il risultato di un’organizzazione sociale irrazionale. In un altro saggio, pubblicato sulla stessa rivista nel 1938, intitolato Per la critica dell’edonismo , Marcuse insiste sul tema della felicità personale e ne sottolinea l’incompatibilità con il lavoro, come testimonia l’esistenza stessa del proletariato: nella condizione storica attuale la felicità è irraggiungibile, ma quest (segue nel file da scaricare)

  • Filosofia

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