Il bene in Platone. - Studentville

Il bene in Platone.

L'idea del bene in Platone.

Il punto di arrivo della conoscenza ò il bene in sò, l’idea di bene, cui Platone allude qua e là  nei suoi dialoghi, sempre velatamente, chiamandola “misura”, “uno”, “bellezza”. . . Si tratta del più alto livello di argomentazione platonica: ce ne parla però in maniera molto indiretta e sfumata e doveva rientrare nelle dottrine non scritte; Platone stesso ci dice che lui non ne parlerà  usando una strana metafora, che si può definire “bancaria”: dice che parlerà  “del figlio e non del padre”, termini che in greco significano anche “interesse” e “capitale”: quindi si può intendere “vi parlerò dell’interesse e non del capitale”. Si serve poi di un’efficace metafora “solare”: il bene sta al mondo delle idee come il sole sta a quello sensibile. Con bene in sò, idea di bene si intende un bene assoluto e non relativo ad altre cose come le idee (l’idea di forza, ad esempio, ò un bene relativo perchò può essere un bene come un male: dipende dall’uso e dalle circostanze). Il bene in sò ò la conoscenza suprema e sublime a cui sono chiamati i filosofi-re, che devono seguire il lungo percorso di studi: esso ò il top del percorso educativo: quando si ottiene la conoscenza del bene in sò si ò chiamati a governare la città ; ciò che porta ad orientare ogni cosa verso il bene, a renderla buona ò proprio la conoscenza del bene in sò. Per molti aspetti esso coincide con l’idea del bello: la bellezza ò il modo in cui si esterna il bene interno: ò una concezione ampiamente diffusa in tutto il mondo greco. Secondo Platone il sole ò la “ratio essendi” (la ragione di essere)e la “ratio cognoscendi” (la ragione di conoscere)nel mondo sensibile: ò infatti grazie al sole che riusciamo a vedere il mondo sensibile; in sua assenza vediamo molto male ed ò grazie a lui che conosciamo la realtà  sensibile. Il sole consente poi la vita: dove non c’ò il sole non c’ò vita. Il bene riveste le stesse funzioni del sole, però nel mondo intellegibile delle idee, che in un certo senso sono anch’esse “ratio cognoscendi” e “ratio essendi”: l’idea fa sì che un cavallo sia tale e che lo si riconosca. Come detto, l’idea ha anche valenza assiologica (i cavalli mirano ad imitare l’idea di cavallo) ed ò bene aggiungere di “unità  della molteplicità “: i cavalli sono tantissimi, ma l’idea di cavallo ò unica e la si può definire “stampo” dei cavalli. Il bene in sò, oltre a quelle del sole, svolge le funzioni anche delle idee: risulta quindi inesatto definirlo idea: ò una idea delle idee, una super-idea che si trova ad un livello superiore delle idee e che riveste funzioni analoghe a quelle delle idee sul mondo sensibile, ma sulle idee a stesse. Le idee sono unità  della molteplicità , ma tuttavia sono tante: quindi si può fare lo stesso discorso che facevamo per le funzioni delle idee sul mondo sensibile; esse dovranno avere qualcosa in comune tra di loro. Esse rappresentano il bene per ciascuna categoria, il punto cui devono mirare i componenti di ogni “classe”: le idee tendono ad essere il bene per la loro categoria: l’idea di uomo ò il punto cui tutti miriamo: le idee fanno quindi riferimento al bene in sò, che ò quindi un principio supremo, una super-idea. Esso svolge le stesse funzioni che le idee svolgono nel mondo sensibile, ma sulle idee stesse: ce le renderà  conoscibili (conosco un’idea perchò ò il bene della sua categoria), le farà  esistere ( esistono nella misura in cui sono il bene della loro categoria, partecipano al bene). L’idea del bene sarà  anche l’unità  della molteplicità  delle idee, che sono innumerevoli, pur essendo il solo modello per ogni categoria. Abbiamo detto che a volte, al posto di bene in sò, troviamo “uno”, “misura”. . . Abbiamo anche già  parlato di quella volta che Platone tenne la conferenza sul bene parlando di matematica: dunque l'”uno” ben si riallaccia. Ma che cos’era il bene in sò?Per Platone esso ò unità , armonia, ordine, misura, unità . . . In altri dialoghi parla del bene in sò, del vertice della realtà , come coppia di principi, o meglio come principio bipolare: al vertice della realtà  ci sarebbero dunque l'”uno” e la “diade indefinita”. L'”uno” ò l’unità , la diade fa riferimento al 2, quasi all’idea di 2: Platone col 2 vuole chiaramente indicare la negazione dell’unità , suggerendo il principio della molteplicità  o almeno un primo passo verso di essa. Con il bene in sò (in greco “katà  auton”)sta pian piano rivelandoci l’esistenza di un 5° livello, principio supremo della realtà . La dottrina delle idee serve a spiegare perchò, in fin dei conti, le cose sono buone, o meglio le idee sono buone: il mondo sensibile cerca di imitare la bontà  delle idee, ma con scarsi risultati. Abbiamo fin’ora detto che le imitazioni risultano imperfette: ò un’ipotesi molto vaga. E’ il momento di spoiegare perchò le cose non sono perfettamente buone: bisogna o ammettere un altro principio o ammettere la bipolarità  del principio: accanto all'”uno” (il bene vero e proprio)c’ò la diade, la molteplicità  concettuale che crea disordine. E’ una gerarchia ontologica: più si sale e più cresce il tasso di essere perchò si ha esistenza sempre più forte: l’idea di cavallo non muore, il cavallo sì. Il punto di partenza, puramente teorico, addirittura sotto il livello delle immagini-imitazioni, ò il non essere, poi troviamo l’essere pieno delle idee; il bene in sò, però, per Platone ò per “dignità  e per potenza” superiore all’essere: se le idee sono l’essere ciò che le motiva (il bene in sò) non può essere essere. Di fronte a questa affermazione di Socrate (ricordiamoci che a parlare ò lui, con parole platoniche)l’interlocutore del dialogo esclama con stupore “Oddio!”. In realtà  esclama “per Apollo”. Un interprete ha avanzato un’ipotesi: dato che ò un pezzo di dialogo particolarmente allusivo egli ha ritenuto che sotto l’espressione “Apollo” (la divinità  del sole, già  qui ci può essere un collegamento alla proporzione precedente)si possa leggere “a” (alfa privativa) e “pollos”, che significherebbe non molteplice. Effettuando questa affermazione non ci dice tanto ciò che il principio supremo ò, quanto piuttosto ciò che non ò (molteplice). Il bene risulta quindi coglibile con qualcosa che sta oltre alla conoscenza: se i livelli della conoscenza corrispondono all’essere e il non essere non ò conoscibile, man mano che cresce il tasso di essere cresce il tasso di conoscibilità : ma il bene in sò ò sopra, al di là  dell’essere e quindi ha una conoscibilità  totalmente fuori dal normale. Platone stesso ci dice che ò una conoscenza extra-razionale. La conoscenza non ò nient’altro che un tentativo del soggetto di arrivare all’oggetto o dell’oggetto di arrivare al soggetto: limitiamoci a dire che ò un tentativo di unione tra soggetto ed oggetto. Se si sale dalla parte del soggetto, di pari passo si sale da quella dell’oggetto: crescono di pari passo. Paradossalmente, però, l’identificazione tra soggetto e oggetto implica l’inconoscibilità : per conoscere ci deve essere un soggetto che compie l’azione ed un oggetto che viene conosciuto: se vengono a mancare, manca di conseguenza anche la conoscibilità . Il bene in sò si trova esattamente nel punto di incontro tra soggetto ed oggetto: Platone afferma che la conoscenza del bene in sò sia un’esperienza mistica dove però ò indispensabile la ragione; la si potrebbe tranquillamente definire una mistica di superamento della ragione.

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