Ulisse di James Joyce: riassunto e analisi - StudentVille

James Joyce

James Joyce: Leopold Bloom e Stephen Dedalus. Le peregrinazioni del moderno Ulisse nella città di Dublino.

Dal Dedalus all’Ulisse

La composizione dell’Ulisse assorbì Joyce a partire dal 1914 fino al 1922, anno della sua pubblicazione. Nel romanzo sviluppò un frammento autobiografico che avrebbe dovuto comparire nel Dedalus. L’opera avrebbe dovuto essere un’ideale continuazione del romanzo precedente, che racconta la ribellione di un giovane dublinese all’ambiente oppressivo della città e la scelta libertaria di cercare se stesso nell’attività letteraria. Stephen il protagonista non è l’eroe che vuol cambiare il mondo, ma piuttosto l’artista che trova la propria vocazione ed in essa traduce la propria concezione della vita. E’ quello del Dedalus un itinerario che porta dall’indistinzione dell’adolescenza – con una vaga mescolanza di sensazioni – alla conquista di una precisa identità sessuale. Inoltre Dedalus prelude con la sua tecnica del monologo interiore e l’accentuazione del flusso di coscienza, agli esiti sperimentali successivi dell’Ulisse.

L’Ulisse divenne ben presto un universo narrativo autonomo, ricco di richiami e di simmetrie con l’insieme della produzione dello scrittore. Indirettamente legato anche al dramma Esuli, dove si tratta il motivo della crisi di coppia, L’Ulisse presenta una storia che si svolge nell’arco temporale di una sola giornata e ripropone le gesta di tre personaggi posti in parallelo con le tre figure chiave dell’Odissea: Ulisse, Telemaco e Penelope (nel romanzo Leopold Bloom, Stephen Dedalus, Molly Bloom). Questa sorta di peregrinazione dell’uomo contemporaneo ha come sfondo una dublino grigia, squallida in cui gli uomini consumano la loro impotenza e le loro frustrazioni.

Leopold Bloom non è un viaggiatore solitario come Ulisse, ma vive in una grande città, ha una famiglia e delle relazioni sociali. L’analisi della sua giornata si intreccia automaticamente con quella delle numerose persone con cui viene a contatto, dai familiari (la moglie Molly e il figlio Stephen) al folto gruppo di amici, conoscenti e colleghi, incontrati durante il vagabondaggio attraverso Dublino, ossatura narrativa del libro. Il romanzo ha una dimensione corale e che la trama apparentemente lineare nasconde un’estrema densità di contenuti e una ricchissima pluralità di voci; ma il complesso intreccio del libro appare ancora più evidente se si considera che Joyce ha voluto rendere conto non solo delle azioni, ma anche dei processi mentali più intimi e riposti di ciascun personaggio, cercando di offrire un quadro esauriente dei meccanismi psicologici che orientano la vita di un’intera comunità, le sue abitudini, la sua scala di valori, i suoi gusti e i suoi comportamenti. Attraverso la tecnica dello “stream of consciousness” (“flusso di coscienza”), lo scrittore ci mette in diretto contatto con le manifestazioni elementari del pensiero allo stato nascente, prima ancora cioè che la ragione sia intervenuta con il filtro della sua azione ordinatrice e organizzatrice. Il risultato è sconvolgente per l’intensità dell’impatto emotivo e la forza rivelatrice dell’analisi

L’Ulisse di Joyce è un testo la cui struttura narrativa è particolarmente complessa e difficile da riassumere. Edmund Wilson ne ha fatto una sintesi di poche pagine, giudicata ormai un classico della letteratura moderna. L’opera di Joyce è comunque ritenuta molto simile sia per forma che per contenuto all’Odissea classica, come si evince dalla seguente tabella:

Personaggi:

Stephen Dedalus, in cerca di suo padre, è il Telemaco della situazione.

Buck Malligan è l’amico con il quale vive Stephen, in cui si riconosce il personaggio Antinoo dell’Odissea classica.

Leopold Bloom agente di commercio dublinese, ovvero Ulisse, ebreo, si sente ancora uno straniero tra gli irlandesi. Sposato da sedici anni con una donna infedele (Molly) è l’Ulisse senza Telemaco, separato dalla sua Penelope.

Infine c’è Molly Bloom che evoca il personaggio omerico di Penelope.

 

Corrispondenze tra l’Odissea omerica e l’Odissea” di Joyce:

ODISSEA  e ULISSE di JOYCE:  ORARI

 

1) TELEMACHIA

Telemaco

La Torre

8:00

 

Nestore

La Scuola

10:00

 

Proteo

La Spiaggia

11:00

 

2) ODISSEA

Isola di Ogigia (Calipso)

Isola dei Feaci

In analessi:

Lotofagi

La Colazione

8:00

 

Isola delle Capre

Il Bagno

10:00

 

Terra dei Ciclopi

Il Funerale

11:00

 

Isola Eolia

Il Giornale

12:00

 

Lestrigoni (antropofagi)

Il Pranzo

13:00

 

Circe

La Biblioteca

14:00

 

Terrre dei Cimmèri

Le Strade

15:00

 

Ade (Tiresia)

La Mescita

16:00

 

Isole delle Sirene

La Taverna

17:00

 

Scilla e Cariddi

Le Rocce

20:00

 

Isola di Ogigia (Calipso)

L’Ospedale

22:00

 

Isola dei Feaci

Il Bordello

24:00

 

3) IL RITORNO

Eumeo  Il Rifugio  1:00

Itaca  La Casa  2:00

Penelope  Il Letto

 

L’Odissea eroicomica ridimensiona tempo e spazio: le peregrinazioni di Ulisse in mari e terre lontani divengono i movimenti di Bloom per le strade e nei bar di Dublino dalle otto del mattino alle ore piccole di un’unica giornata. Al di là della folla dei personaggi minori, la struttura fondamentale del romanzo è riassunta nei tre protagonisti: Leopold Bloom-Ulisse, Stephen Dedalus-Telemaco, Molly Bloom-Penelope.

Bloom è l’uomo medio, sensuale, positivo e inefficiente, curioso di nuove esperienze ma timido e cauto, alla ricerca di concretezze scientifiche e di rapporti umani che, le une e gli altri, non gli riesce di trovare. Stephen è l’idealista alla ricerca di valori spirituali, che si ribella alla quotidianità dell’esistenza nel tentativo di trovare una sua coerenza intellettuale.

Mentre Bloom, ebreo per giunta non credente o praticante, nasce già nella condizione di esule, Stephen fa di tale condizione una scelta deliberata: egli ha in comune con Bloom la stessa inefficienza e incapacità di realizzare le aspirazioni più sentite. L’uno e l’altro rimangono nella condizione di ricerca, e sono, quindi, personaggi complementari. Sul piano narrativo questa complementarietà si manifesta nel fatto che Bloom ha perduto l’unico suo figlio naturale, morto nell’infanzia, e la sua aspirazione è quella di trovare un nuovo figlio; Stephen a sua volta ha rifiutato il suo padre naturale e la sua stessa aspirazione, la sua ricerca è quella di una figura paterna che prenda il suo posto.

Sia Leopold Bloom che Stephen Dedalus sono proiezioni di Joyce in due età diverse.

La terza protagonista, la moglie infedele di Leopold, è intesa a riassumere nel suo monologo finale tutte le donne che compaiono nel libro e le loro controparti mitiche: è non solo Penelope, ma anche la ninfa Calipso (4° episodio), e si riflette in Nausica-Gerty McDowell (13° episodio) e in Circe-Bella Cohen (15° episodio). Molly è l’essenza della natura femminile, espressione della fisicità più assoluta, e della accettazione incondizionata ma non passiva della condizione umana.
Nell’episodio riportato, si parla del disgustoso spettacolo dei voraci avventori del ristorante Burton. La narrazione si ricollega simbolicamente al libro decimo del poema omerico, in cui vengono descritti gli orridi pasti del popolo cannibale dei Lestrígoni.
Al ristorante Burton
Parte I

Con cuore agitato sospinse la porta del ristorante Burton. Il tanfo gli tolse il tremulo fiato: sugo di carne piccante, risciacquatura di verdure. Guarda il pasto delle belve.
Uomini, uomini, uomini.
Appollaiati sui seggiolini alti del bar, cappelli spostati all’indietro, ai tavoli chiedevano altro pane compreso nel prezzo, ingurgitando, ingollando sorsate di sbroda, gli occhi sporgenti, pulendosi i baffi umidi. Un giovanotto pallido dal viso color sugna forbiva bicchiere coltello forchetta e cucchiaio col tovagliolo. Un’altra infornata di microbi. Un uomo col tovagliolo da bambino macchiato di salsa rimboccato intorno al collo spalava minestra gorgogliante giù per la strozza. Un uomo risputava qualcosa nel piatto: cartilagini semimasticate: niente denti per masmasmasticarle. Biascia bistecca dalla griglia. S’ingozzano per farla finita. Occhi tristi di beone. S’è cacciato in bocca più di quel che può mandar giù. Anch’io son così? Vedersi come ci vedono gli altri. Uomo affamato uomo arrabbiato. Denti e mascelle al lavoro. No! Oh! Un osso! Quell’ultimo re pagano di Irlanda, Cormac, nella poesia in classe si soffocò a Slety a sud del Boyne. Chissà cosa stava mangiando. Qualcosa di leccornioso. San Patrizio lo convertí al cristianesimo. Però non riuscí a mandarlo giù tutto.
– Rosbif e cavolo.
– Uno stufatino.
Odori d’uomini. Gli si rivoltò lo stomaco. Segatura sputacchiata, fumo dolciastro tepidiccio di sigaretta, lezzo di tabacco da masticare, birra versata, piscio umano birroso, rancidume di fermentazione.

Qui non manderei giù un boccone. Quello che arrota forchetta e coltello, per mangiare tutto quello che ha davanti, il vecchio che si stuzzica i dentucci. Piccolo rigurgito, pieno, ruminamento. Prima e dopo. Benedicite dopo il pasto. Guardato questo ritratto e poi quest’altro. Assorbono il sugo dello stufato con pezzettini di pane spugnoso. Leccalo dal piatto, amico! Andiamocene.

Dette un’occhiata in giro ai mangiatori seduti a tavola e sui seggiolini stringendo le narici.
– Due scure qua.
– Uno di carne in conserva con cavoli.
Quel tale che si rimpinza di cavolo col coltello come se ne andasse della vita. Bel colpo. Fa venir la pelle d’oca a guardare. È meglio se mangia con tutte e tre le mani. Lacerarlo brano a brano. Una seconda natura in lui. Nato con un coltello d’argento in bocca. È spiritoso mi pare. Oppure no. Argento vuol dire che è nato ricco. Nato col coltello. Ma allora l’allusione va perduta.
Un cameriere mal succinto raccoglieva i piatti acciottolanti vischiosi. Rock, l’usciere, ritto al bar, soffiava via la corona di schiuma dal boccale. Bene in alto: gialla ricadde vicino alla scarpa. Un cliente, coltello e forchetta inalberati, gomiti sulla tavola, pronto per una seconda portata, fissava il montacarichi al di sopra del rettangolo macchiato del giornale. Quell’altro gli diceva qualcosa a bocca piena. Ascoltatore benevolo. Chiacchiere conviviali. L’ho vinstom nenlambanca Ulnstam lunendí. Ah sì? Davvero?
Mr Bloom dubbioso alzò due dita alle labbra. I suoi occhi dissero.
– Qui no. Non lo vedo.
Fuori. Non posso soffrire i porci a tavola.
Indietreggiò verso la porta. Uno spuntino leggero da Davy Byrne. Tappabuchi. Per tenersi in piedi. Fatto una buona colazione.
– Arrosto con puré.
– Una pinta di scura.
Ognuno per sé, coi denti e con le unghie. Am. Am Am. Pappatoria.
Uscì all’aria più pura e tornò verso Grafton street. Mangiare o esser mangiati. Ammazza! Ammazza

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