Kierkegaard: Gli stadi del cammino della vita - Studentville

Kierkegaard: Gli stadi del cammino della vita

Descrizione dell'opera "Gli stadi del cammino della vita" di Kierkegaard.

Negli Stadi del cammino della vita, Kierkegaard distingue tre condizioni o possibilità  esistenziali fondamentali, alle quali egli dà  il nome di “stadi”, poichè possono essere considerati come momenti successivi dello sviluppo individuale. Contrariamente alle affermazioni hegeliane, nel passaggio dialettico tra l’uno e l’altro non vi ò nessuna forma di automatismo, bensì un “salto”che può essere colmato soltanto con la libera scelta del singolo. Queste determinazioni sono lo stadio estetico, lo stadio etico e lo stadio religioso. Nella prima opera pubblicata dopo la tesi di laurea, Aut-aut, Kierkegaard delinea la distinzione tra i primi due stadi. Lo stadio estetico ò incarnato dalla figura del seduttore, che dedica la sua intera esistenza alla conquista dell’animo femminile per il puro piacere della conquista stessa. La vita estetica, infatti, ò incentrata sul desiderio e sul godimento. L’esteta non esce dalla sfera della sensualità : per questo il personaggio che meglio lo rappresenta ò il Don Giovanni di Mozart. La musica ò infatti la più sensuale delle arti, poichè in essa l’espressione ò totalmente immediata, senza far ricorso alla parola, che invece comporta una dimensione concettuale e riflessiva. Analogamente il seduttore vive nell’elemento dell’immediatezza: egli non compie mai una scelta definitiva, non si impegna mai in nulla, la sua filosofia ò il motto graziano del “carpe diem”. La vita dell’esteta ò una successione ininterrotta di istanti indipendenti gli uni dagli altri: egli passa da un’esperienza all’altra senza che quella precedente lasci una traccia di sè su quella successiva, senza che la sua esistenza abbia una storia. L’unico elemento costante nella sua vita ò la ricerca del nuovo e del rifiuto della ripetizione, considerata come fatale principio di noia. Il suo unico compito ò la ricerca dell’eccezionalità , nell’ esasperata volontà  di diversificarsi da tutti gli altri individui, così come da tutte le proprie esperienza passate. Proprio a causa dell’assenza di un punto unificatore dell’esistenza, l’esito finale dello stadio estetico ò la disperazione, la presa di coscienza della assoluta vanità  di ogni cosa. Anche la disperazione, tuttavia, può essere vissuta in due maniere diverse. Essa può venire considerata una forma estremamente raffinata di divertimento, che consiste appunto nel non prendere mai sul serio nulla e godere anzi della mancanza di senso di ogni cosa: in questo caso non si esce dalla sfera estetica. Oppure l’esteta può pervenire alla disperazione vera che, mostrandogli la vanità  delle sue esperienze, lo induce a compiere il salto verso un genere di vita superiore, retto da principi completamente estranei alle regole dell’estetica. In questa situazione il singolo perviene allo stadio etico. Tra i due stadi, comunque, non c’ò alcuna forma di mediazione. Il passaggio dalla disperazione finita (estetica) alla disperazione infinita (etica) ò un salto che può essere compiuto solo in base alla libera scelta del singolo. Lo stadio etico trova la sua migliore rappresentazione nella figura del marito o, più in generale, nel personaggio del Consigliere di Stato Guglielmo, la cui esistenza ò circoscritta dalle sfere del matrimonio, della famiglia, della professione, della fedeltà  allo Stato. Se l’esteta trapassa di istante in istante senza impegnarsi mai in nulla, la vita dell’uomo etico ò invece contrassegnata dalla scelta. In primo luogo, egli compie la scelta fondamentale tra bene e male; in secondo luogo, una volta scelto un determinato bene, una certa sposa, una certa professione, ecc. egli conferma in ogni momento la sua scelta, tornando a scegliere in ogni istante ciò che ha già  scelto per sempre. L’uomo etico, a differenza dell’esteta, non teme dunque la ripetizione, anzi la ama, vedendo in essa una continua riconferma della sua decisione iniziale. Se la vita dell’esteta si frantuma in una miriade di istanti privi di storia, quella dell’etico si sviluppa nella continuità  del tempo. All’ esasperata ricerca dell’eccezionalità  da parte dell’esteta egli contrappone la tranquilla universalità  del dovere, di cui l’esistenza etica ò una continua realizzazione. Ma per l’uomo etico il dovere non ò un’imposizione esteriore (come sarebbe per l’esteta), bensì un concreto dovere coniugale, professionale o civile che egli spontaneamente riconosce come la propria condizione. Il dovere morale non ò altro che “il compito che si ò a se stessi”, ciò che ciascuno ha deciso di diventare in virtù della sua libera scelta. Anche la vita etica, tuttavia, appare limitata. Se sceglie se stesso fino in fondo, l’individuo raggiunge la propria origine, cioò Dio. Ma poichè di fronte alla maestà  di Dio l’unico sentimento che l’uomo può provare ò quello della propria inadeguatezza morale, cioò della propria colpevolezza, l’esito finale della vita etica ò il pentimento. L’uomo etico viene così messo di fronte al peccato, il quale però non ò più una categoria etica, bensì una determinazione religiosa. Con il pentimento, dunque, si esce dalla sfera dell’etica per entrare in quella della religione, sebbene, anche in questo caso, il passaggio non sia automatico, ma comporti un salto ancora più radicale di quello che divideva l’ambito etico da quello estetico. Lo stadio religioso ò descritto in Timore e tremore, opera che già  nel titolo esprime la natura dell’atteggiamento che l’uomo religioso deve avere nei confronti del divino. Nella sfera etica l’individuo vive nell’ambito dell’universale: ciò che ò bene e ciò che ò male, ciò che ò dovere e ciò che ò colpa, sono noti a tutti. Nella sfera della religione invece, il “cavaliere della fede” ò assolutamente solo: il suo unico rapporto ò quello con Dio. La dimensione religiosa comporta una sospensione dell’etica, poichè essa si impernia esclusivamente sulla volontà  di Dio, che può anche divergere dalle leggi dell’etica. La figura emblematica di questa condizione ò Abramo, che per obbedire a Dio non esita a sacrificare l’unico figlio Isacco. Dal punto di vista morale egli ha soltanto un dovere, quello di essere un buon padre: l’etica, dunque, lo condanna irrimediabilmente come un assassino. La giustificazione della sua intenzione di uccidere Isacco risiede tutta nella volontà  di Dio, la quale si esprime esclusivamente nel rapporto interiore tra il singolo Abramo e la divinità . Nessuno lo può capire in base alle regole dell’etica, ed egli stesso non può essere certo di non sbagliare: la fede ò rischio. Isolato da tutti gli altri, egli ò un’eccezione assoluta, come l’esteta, con la sola ma importante differenza che l’eccezionalità  dell’esteta ò tale perchè non si ò ancora elevata all’universalità  dell’etica, mentre quella religiosa ò tale perchè ha già  superato questa universalità . La fede consiste proprio nel paradosso per cui esiste un’interiorità  incommensurabile con l’esteriorità : in virtù della fede il singolo, che per l’etica ò subordinato all’universalità  della legge, afferma la propria superiorità  rispetto all’universale in nome del suo rapporto individuale con l’assoluto.

  • Filosofia del 1800

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti