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La metapsicologia

La dimensione teorica della psicanalisi.

La psicoanalisi, nata come terapia delle malattie nervose, aveva con Freud ampliato i suoi confini, arrivando a lambire interessi che prima ignorava: essa poteva ora presentarsi come una disciplina, in grado di accedere a nuove conoscenze pertinenti alle leggi che presiedono al funzionamento della psiche in generale, non solo quando si trova in condizioni patologiche; per definire la dimensione più propriamente teorica di questa nuova disciplina, Freud inventò il termine metapsicologia. Intanto, già  intorno al 1906, si stava formando intorno a lui una vera e propria scuola; nel 1908 in un congresso di Salisburgo veniva fondata la Società  psicoanalitica, che aveva il proprio giornale ufficiale, col titolo ‘ Jahrbuch fà¼r Psychoanalyse ‘. Nel 1909 Freud effettuava un viaggio negli Stati Uniti, dove cominciavano ad attecchire le sue scoperte. Tuttavia u pò di tempo dopo si verificarono le prime secessioni nella Società  psicoanalitica: nel 1911 da parte di A. Adler, nel 1913 di C. Gustav Jung, che Freud avrebbe voluto come suo successore, e poi di molti altri. Dal 1911 Freud sofferma la sua attenzione sulle indagini di metapsicologia, di cui distingue tre aspetti: dinamico, topico ed economico. Dinamica è la considerazione dei fenomeni psichici, che risultano dai conflitti e dalla composizione di forze di origine pulsionale; topica (dal greco topos = luogo) è la considerazione dell’apparato psichico come un insieme di sistemi dotati di funzioni differenti, connesse fra loro; infine, economica è la considerazione che si fonda sull’ipotesi che i processi psichici consistano nella circolazione e distribuzione dell’energia pulsionale, suscettibile di quantificazione, cioò di equivalenze, aumenti o diminuzioni. Alla base dei fenomeni psichici vi è un principio economico, che Freud definisce principio del piacere che ha la funzione di evitare il dispiacere e il dolore, legati all’aumento della quantità  di eccitazione e di provocare, invece, il piacere, connesso alla riduzione stessa dell’eccitazione. A questo scopo provvede il principio del piacere, scaricando la tensione e, quindi, ripristinando uno stato di equilibrio, mediante l’appagamento del desiderio, ma ciò avviene per via allucinatoria, grazie a soddisfazioni sostitutive rispetto a quelle reali. Questa situazione non può che generare disillusione, in modo che viene a costituirsi e ad operare, stando a Freud, un secondo principio, che tenta di assumere una funzione regolativa rispetto al principio del piacere: si tratta del principio di realtà , che non tenta più il soddisfacimento tramite scorciatoie e forme sostitutive, ma a seconda delle condizioni date dalla realtà , anche se questa si può presentare come sgradita. Il principio del piacere tende ad ottenere tutto immediatamente tramite una scarica motoria, mentre il principio di realtà  può differire quella scarica in vista di un’eventuale meta, più sicura e meno illusoria; instaurandosi, quest’ultimo provoca una serie di adattamenti dell’apparato psichico, conducendo allo sviluppo e al potenziamento di funzioni coscienti come l’attenzione, la memoria, il giudizio e il pensiero. Questo non vuol dire che il principio del piacere scompaia del tutto; esso prosegue nell’operare e nell’estrinsecarsi, specialmente nelle circostanze in cui diminuisce la dipendenza verso la realtà , come appunto nei sogni, nelle fantasie e, in una certa misura, nelle produzioni artistiche. Questo dualismo di princìpi, costruito in analogia alla fisica, come distribuzione e circolazione energetica, viene però in un secondo tempo modificato da Freud; nel 1920, infatti, egli pubblica Al di là  del principio del piacere, dove accanto alle pulsioni sessuali, riconosce l’esistenza di una pulsione antagonistica, la pulsione di morte, cioò una tendenza distruttiva inerente alla vita stessa. A questa conclusione Freud arriva tramite l’osservazione clinica dei comportamenti caratterizzati dalla coazione a ripetere, in cui il soggetto ripete ossessivamente operazioni spiacevoli e dolorose, che riflettono, in modo più o meno evidente, elementi di conflitti passati. A parere di Freud, questi comportamenti mettono in forse il primato del principio del piacere e rendono necessario introdurre l’ipotesi dell’esistenza di una tendenza originaria alla scarica totale delle pulsioni, cioò di un principio di morte. Quando le pulsioni di morte sono rivolte verso l’interno, esse tendono all’autodistruzione, ma poi possono essere dirette anche verso l’esterno, assumendo così la forma di pulsioni di aggressione e di distruzione. Nella realtà  psichica le pulsioni si presentano sempre come ambivalenti, caratterizzate cioò dalla compresenza di questi due princìpi di vita e di morte: anche la sessualità  presenterebbe dunque questa ambivalenza sotto forma di amore e di aggressività . Così Freud tornava ad introdurre alla base della vita psichica un dualismo di princìpi, ma distinti qualitativamente, non più quantitativamente come nel caso del principio di piacere contrapposto a quello di realtà . Freud chiamava tali principi con i nomi greci di Eros ( eros = amore ) e Thanatos ( qanatos = morte ). Per quel che concerne la topica, cioò la teoria dei luoghi dell’apparato psichico, ma senza riferimento alcuno ad una loro eventuale localizzazione anatomica, Freud elabora successivamente due schemi: in un primo tempo, egli distingue tre sistemi, ciascuno dei quali dotato di una pòropria funzione e separato dagli altri da censure che ostacolano e controllano il passaggio dall’uno all’altro. Essi sono: inconscio, preconscio (in cui le pulsioni vengono organizzate ed espresse sotto forma di rappresentazioni e desideri: ò questo l’ambito dei sogni) e conscio. A partire dal 1920, però, Freud cambia questo schema con un altro, la cosiddetta ‘seconda topica’, probabilmente spinto dalla necessità  di tener presente i vari processi di identificazione tramite i quali si viene costituendo la persona. La seconda topica è esposta organicamente da Freud nell’opera L’io e l’ Es (1923), in cui egli ravvisa tre istanze dell’apparato psichico, che egli chiama l’ Es, l’Io e il Super-io. Il termine Es è il pronome neutro singolare tedesco e corrisponde al latino id: Freud lo mutua da G. Groddeck, autore dell’opera Il libro dell’Es (1923), per indicare il serbatoio di energia psichica, l’insieme delle espressioni dinamiche inconsce delle pulsioni, le quali in parte sono ereditarie e innate, in parte rimosse e acquisite. L’Es è governato esclusivamente dal principio del piacere, mentre l’ Io dal principio della realtà : è l’ambito della personalità , che si costituisce tramite modificazioni successive dell’Es, prodotte dall’incontro con la realtà  esterna. Tramite l’osservazione del mondo esterno e la memorizzazione, l’ Io diventa capace di distinguere il carattere illusorio delle rappresentazioni generate dal principio del piacere e vi sostituisce il principio di realtà . L’ Io però si trova a dover mediare fra le richieste dell’ Es e quelle del Super-io, che è anche lui una formazione almeno in parte inconscia e svolge le mansioni di giudice e censore verso l’Io: la percezione inconscia delle sue critiche si esprime nell’ Io come senso di colpa e di rimorso. Sotto questo profilo, il Super-io è erede del complesso di Edipo, si forma tramite l’interiorizzazione della figura paterna e, dunque, dei comandi e dei divieti che essa impersona e dà  luogo ad un controllo interiorizzato delle pulsioni; così, il Super-io viene a rivestire la mansione di coscienza morale e presiede all’ autosservazione e alla formazione di ideali.

  • Filosofia del 1800

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