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Linguaggio quotidiano e significato come uso

Analisi del linguaggio quotidiano.

All’origine della “seconda filosofia” di Wittgenstein vi ò la revisione di alcune tesi basilari del Tractatus, a cominciare dalle pretese della logica di presentarsi come l’unica garante del significato delle proposizioni. Il pensatore austriaco sposta inoltre l’attenzione dalla nozione di significato (come riferimento delle proposizioni elementari ai fatti) al nesso tra il significato medesimo e il concreto problema del comprendere le regole del linguaggio nella varietà  dei suoi usi e delle sue finalità . Alla base di ciò sta la riabilitazione del cosiddetto linguaggio ordinario o quotidiano, il quale era stato in qualche modo messo da parte dagli indirizzi del pensiero (l’atomismo logico, il neopositivismo) orientati a privilegiare il linguaggio ideale delle scienze formali. Per il “nuovo Wittgenstein”, invece, all’interno della ” grammatica filosofica ” del linguaggio (questo ò il titolo di un suo manoscritto risalente al 1932) devono trovare posto non già  i canoni di un linguaggio ideale, bensì le regole per la comprensione del linguaggio quotidiano. ” Come sarebbe strano se la logica si dovesse occupare di un linguaggio ideale e non del nostro. Che cosa dovrebbe esprimere infatti quel linguaggio ideale? Di certo quello che esprimiamo nel nostro linguaggio abituale; ma allora la logica non può che occuparsi di questo. Oppure di qualcos’altro, ma come posso semplicemente sapere di cosa può trattarsi? L’analisi logica ò l’analisi di qualcosa che abbiamo, non di qualcosa che non abbiamo. Sarà  dunque l’analisi delle proposizioni come sono “. (Osservazioni filosofiche, 2) E’ proprio l’assunzione del linguaggio ordinario a terreno dell’analisi logica a dare origine all’importante teoria del significato come uso, che costituisce il nucleo delle Ricerche filosofiche. In esse, Wittgenstein scrive che ” per una grande classe di casi anche se non per tutti i casi in cui ce ne serviamo, la parola significato si può definire così: il significato di una parola ò il suo uso nel linguaggio “. L’importanza di questa teoria ò assai notevole, ed ò legata ai princìpi rivelatisi estremamente stimolanti e fecondi. Anzitutto Wittgenstein ridimensiona nettamente il primato della struttura o della sostanza logica del linguaggio e del correlativo approccio logistico ad esso. Non già  ch’egli intenda affermare la “illogicità ” delle espressioni linguistiche, e neppure che contesti l’esistenza di linguaggi formali riconducibili a strutture (formali) rigorose. La sua tesi ò che vi sono tipi di comunicazione linguistica i quali, ben lungi dal poter o dal dover essere valutati primariamente alla luce di criteri logico-formali (oggettivi e invarianti), rispondono a bisogni, esigenze e scopi da analizzare alla luce di criteri pratici (non univoci nè universali). In secondo luogo, Wittgenstein riabilita un approccio in qualche modo pragmatico alla realtà  linguistica: il linguaggio ò, per lui, prima di ogni altra cosa, un’attività  interagente con le più disparate componenti teoriche e pratico-esistenziali del vivere e del fare umano (con quello che Wittgenstein chiama anche lo ” stile di vita “). Comprendere un’espressione linguistica implica quindi non tanto il riferimento di essa a determinate essenze o strutture logiche pre-costituite, quanto la comprensione dei molteplici fattori (linguistici ed extra-linguistici) cooperanti nella determinazione del senso di tale espressione. Sotto questo profilo, la riconduzione del significato all’uso esprime appunto la reinserzione del fenomeno linguistico entro un contesto antropologico e socio-culturale più ampio.

  • Filosofia del 1900

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