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Moritz Schlick

Pensiero e vita.

Moritz Schlick nasce a Berlino nel 1882. Studia fisica frequentando corsi a Losanna e a Heidelberg laureandosi in seguito a Berlino con M. Planck; coltiva interessi per i problemi morali ed estetici, sebbene la sua ricerca si sviluppi soprattutto verso l’analisi epistemologica delle nuove teorie scientifiche del tempo. Conduce studi sul tema della gnoseologia filosofica nel suo rapporto con la scienza e in particolare con la relatività  di Albert Einstein, studi che verranno apprezzati negli anni della prima guerra mondiale dallo stesso creatore della teoria relativista. Insegna fisica all’Università  di Kiel e dal 1922 filosofia delle scienze induttive a Vienna succedendo al grande fisico Ernst Mach. Proprio a Vienna sorgerà  quel gruppo di studiosi e ricercatori che darà  inizio al Circolo di Vienna. Per il Circolo pubblica saggi e articoli a sostegno delle tesi originarie dell’empirismo logico e del principio di verificazione. Muore nel 1936 sulla scalinata dell’Università  di Vienna ucciso da uno studente nazista esaltato dal regime come colui che aveva tolto di mezzo una “filosofia viziosa”. Tra le opere ricordiamo: ” Saggezza di vita. Ricerca di una dottrina di felicità  ” (1908); ” L’essenza della verità  nella logica moderna ” (1910); ” Spazio e tempo nella fisica “(1917); ” Teoria generale della conoscenza ” (1918). ” Esperire, conoscere, metafisica ” (1926); ” Discorsi di etica ” (1930); ” Legge e probabilità  ” (1935). Postumi sono stati pubblicati: ” Filosofia della natura “; ” Natura e cultura “; ” Aforismi “. Presso l’Università  di Vienna Moritz Schlick dà  vita nel 1922 al Circolo di Vienna, che per quasi vent’anni diffonde la proposta neopositivista. Nel 1929 viene pubblicato il manifesto del Circolo con il titolo ” La concezione scientifica del mondo ” che segna la data di nascita della filosofia neopositivista. Il Circolo di Vienna aggregò molti insigni intellettuali dell’epoca, diversi per formazione culturale, per interessi e per competenze (filosofi, sociologi, matematici, giuristi) per discutere sui temi enunciati da Wittgenstein nel suo ” Tractatus ” e per realizzare l’ ” Enciclopedia internazionale della scienza unificata “. Ai lavori di questo gruppo parteciparono Carnap, Neurath, Frank, Popper, Reichenbach, Gà¶del. Le elaborazioni vennero rese pubbliche attraverso la rivista ” Conoscenza ” (“Erkenntnis”), organo del Circolo. Con l’avvento del nazismo in Germania il gruppo si disciolse. Schlick fu assassinato, e un buon numero di partecipanti si trasferà­ a Chicago, negli Stati Uniti, dove diede avvio alla pubblicazione dell’ ” Enciclopedia “, nel 1938, avvalendosi anche della collaborazione di Bohr, di Russell e di Dewey. Sulla nascita del Circolo di Vienna che avrà , comunque, uno sviluppo autonomo, influisce profondamente il “Trattato logico- filosofico” di Wittgenstein. Nel suo insieme il movimento viene designato, oltre che come Neopositivismo, anche come “Empirismo logico” o “Positivismo logico”. Il Neopositivismo si sviluppa attraverso due fasi: 1) la fase europea dal 1923 al 1936, in quanto il Neopositivismo ha origine in Austria e Germania; 2) la fase americana in quanto soprattutto in America si rifugiano molti Neopositivisti dopo l’avvento del nazismo e l’avvio delle persecuzioni razziali. Il Neopositivismo trova le radici nel Positivismo ottocentesco. Entrambi sono caratterizzati dall’esaltazione della scienza, dal metodo scientifico e dalla critica della metafisica. Il Positivismo considera scientifico il modello offerto dalla scienza sperimentale. Il Neopositivismo, particolarmente interessato alla matematica e alla fisica teorica, soprattutto in rapporto alla concezione di Einstein, critica la metafisica attraverso l’analisi del linguaggio che dimostra l’insensatezza delle tesi metafisiche. Il Positivismo condanna la metafisica perchè opposta ai dati concreti dell’esperienza. Il Neopositivismo si preoccupa di distinguere tra scienza e non-scienza affrontando soprattutto le tematiche fondamentali relative alla critica della filosofia metafisica e alla verifica della sintassi logica del linguaggio della scienza precisando che le scienze naturali ed esatte sono scientificamente esprimibili mentre i valori etici, religiosi ed estetici sono trascendentali e quindi inesprimibili. I valori etici, religiosi ed estetici vanno testimoniati con la vita, non trattati teoricamente. I caratteri generali del Neopositivismo possono essere così sintetizzati: spiccato interesse nei confronti del linguaggio lotta alla metafisica con attività  critica del linguaggio convinzione che solo il linguaggio scientifico ò un linguaggio rigoroso e non equivoco principio di verificazione. Il principio di verificazione ò un principio fatto proprio dai Neopositivisti del Circolo di Vienna per separare gli asserti sensati delle scienze empiriche dagli asserti insensati delle varie metafisiche o anche delle fedi religiose. Schlick infatti considera dotate di significato solo quelle proposizioni che possono essere controllate attraverso l’esperienza sensibile, cioò attraverso la verificazione empirica. Una proposizione ò scientifica se ò verificabile. Solo le proposizioni scientifiche, basate sull’esperienza e quindi verificabili, sono dotate di senso. Le proposizioni della metafisica, essendo inverificabili, non hanno senso. Il principio ò, dunque, un principio di significanza tendente a demarcare il linguaggio sensato dal linguaggio insensato. Il senso di una proposizione ò il metodo della sua verifica. Ciò equivale a dire che hanno senso unicamente le proposizioni che possono essere verificate mentre quelle che non possono essere verificate sono prive di senso. E’ opportuno chiarire che dichiarare una proposizione priva di senso non significa affermare che essa ò falsa, ma esattamente che ò priva di senso. Le proposizioni metafisiche Dio esiste, l’anima ò immortale sono proposizioni insensate, perchè non verificabili. La Metafisica, l’Etica e la Religione, non potendo essere verificate empiricamente nei propri asserti, sono senza senso. La matematica e logica sono mute intorno al mondo, perchè le loro basi non sono empiricamente verificabili Il principio di verificazione non ebbe vita facile già  all’interno delle discussioni del Circolo di Vienna. Carnap, nel suo periodo americano, smise di parlare di verificabilità  proponendo i concetti di controllabilità  e confermabilità . Il “secondo” Wittgenstein andrà  oltre il principio di verificazione con il suo principio di uso e la teoria dei giochi di lingua. Popper, da parte sua, criticò sin dall’inizio il principio di verificazione; e, invece di demarcare linguaggio sensato e linguaggio insensato, ha proposto, con il suo criterio di falsificabilità , una demarcazione tra scienza e non scienza. Influenzato dalla lettura del “Tractatus” di Wittgenstein, Schlick prende in esame le relazioni fra linguaggio e realtà  e fa notare come ogni processo conoscitivo avvenga attraverso il linguaggio: non esiste conoscenza che non si presenti come un enunciato linguistico. Il linguaggio ò essenzialmente legato all’esperienza. Alla base della conoscenza ci sono le proposizioni protocollari o protocolli, ossia le singole registrazioni di un dato dell’esperienza personale, precedente ad ogni elaborazione concettuale. Le proposizioni protocollari perciò costituiscono il punto di partenza indubitabile di ogni conoscenza in quanto in tutta semplicità , senza alcuna aggiunta o trasformazione o manipolazione, esprimono i fatti. Esse hanno valore conoscitivo solo in quanto fondate su proposizioni di osservazione empirica. E nell’uso che se ne fa, hanno esclusivamente valore ipotetico; cioò, per essere valide, debbono esser verificate dall’ esperienza personale. Nella ” Dottrina generale della conoscenza “, pubblicata nel 1918, Schlick sostiene, in linea con Mach, che la conoscenza ò una necessità  biologica, il cui soddisfacimento comporta piacere: una tesi che, per molti aspetti, può rievocare alla mente quella aristotelica secondo cui tutti gli uomini tendono naturalmente alla conoscenza. Poichè ò impossibile raggiungere una conoscenza assolutamente certa, il compito di una teoria della conoscenza consiste non nel chiedersi in che consista la conoscenza certa, ma nell’analizzare le teorie per eliminare le proposizioni false. Ai dati e alle rappresentazioni meramente soggettive, la scienza sostituisce concetti, i quali sono segni di classi di oggetti caratterizzati da poche proprietà  significative e rigorosamente definibili. Il concetto, dunque, conferisce rigore al sapere scientifico, ma al tempo stesso rappresenta un impoverimento rispetto alla realtà : da ciò deriva il carattere ipotetico e mai definitivo di tale sapere. Poichè il linguaggio ò per sua essenza in rapporto con l’esperienza, il significato di una proposizione dipende dal suo esprimere o meno un dato di fatto. In seguito Schlick preciserà  che il significato di una proposizione ò il metodo della sua verifica, intendendo con ciò che la proposizione ha significato quando ò formulata in modo che i fatti espressi da essa siano verificabili, almeno in linea di principio, ossia quando, anche se mancano i mezzi tecnici per una verifica empirica, la verifica ò tuttavia pensabile. L’impossibilità  di principio di una verifica, ossia la sua impossibilità  logica, rende la proposizione priva di senso. Non esistono problemi filosofici insolubili. Secondo il principio della verificabilità  di principio, infatti, una risposta ò logicamente impossibile se la domanda che viene posta ò priva di senso. Compito della filosofia sarà  quindi quello di chiarire il senso delle asserzioni e delle questioni. La metafisica rimane al di fuori della sfera del verificabile: ò quindi priva di senso. Secondo Schlick, la metafisica ò l’espressione di atteggiamenti emotivi, di sentimenti; essa ha tuttavia il ruolo positivo di dar voce all’ispirazione e di arricchire l’orizzonte della vita umana. Compito fondamentale della filosofia ò quello di chiarire le proposizioni del linguaggio, in particolare del linguaggio scientifico, e di analizzare i problemi posti da esso per vedere se tali proposizioni abbiano senso oppure no. Nell’articolo ” La svolta della filosofia “, pubblicato sulla rivista “Erkenntnis” nel 1930, Schlick chiarisce apertamente quali sono le relazioni fra filosofia e scienza. La filosofia non ò scienza, ma ò l’attività  con cui si chiarisce il senso degli enunciati: essa non ò in grado di decidere se qualcosa sia reale o no, ma può solamente stabilire quale sia il significato dell’affermazione che tale cosa ò o no reale. Che essa sia o no reale può essere deciso solamente dall’esperienza, che ò il metodo consueto a cui si fa appello sia nella vita quotidiana sia nella scienza. Le circostanze empiriche, dice Schlick, sono rilevanti per sapere se una proposizione ò vera, e ciò interessa allo scienziato, mentre non sono rilevanti per il significato di tale proposizione, che invece interessa al filosofo. E’ la scienza, dunque, che ò in grado di verificare le proposizioni, ovvero di accertare la loro verità  o falsità  in base a dati di fatto: infatti, asserisce Schlick, ” la gioia di conoscere ò la gioia della verificazione, l’entusiasmo di aver colto nel segno “. Ma se non sappiamo come procedere alla verificazione di una proposizione, ciò ò segno del fatto che non sappiamo che cosa significhi tale proposizione. In alcuni saggi successivi, Schlick chiarisce che il criterio del significato ò da ravvisare nella “verificabilità “, la quale non va confusa con la “verificazione di fatto”, nè con una singola verificazione: essa consiste piuttosto nel rinvio ad esperienze possibili, in virtù delle quali la proposizione può risultare vera o falsa. Così, ad esempio, la proposizione “esistono montagne sull’altra faccia della luna” ò verificabile, anche se di fatto all’epoca di Schlick non ò verificata. Schlick respinge, pertanto, ogni concezione della verità  come semplice coerenza interna tra le proposizioni di una teoria scientifica, qual era sostenuta da Neurath, in quanto la scienza ò uno strumento per orientarsi tra i fatti. Nel saggio ” Significato e verificazione “, pubblicato nel 1936 sulla rivista statunitense “The Philosophical Review”, egli identifica l’esperienza con la possibilità  di verificazione e definisce oggetto di esperimentazione possibile qualsiasi cosa non contraddica le leggi di natura. Così, ad esempio, la proposizione “i fiumi scorrono verso l’alto” ha un senso, in quanto ò conforme alla grammatica ed ò logicamente possibile, ma ò falsa perchè ò fisicamente impossibile, cioò contrastata con le leggi di natura. Per “legge di natura”, Schlick intende ” una formula che ci consente di prevedere gli eventi “. La teoria dei quanti limita, a suo avviso, le possibilità  di previsione, nel senso che restringe l’ambito di applicazione del principio della causalità  e impone l’uso del calcolo della probabilità , ma la considerazione probabilistica non significa una rinuncia a conoscere: essa ò invece il metodo adeguato per descrivere tutto ciò che si può dire del mondo. Le leggi di natura non sono dunque oggetto di una conoscenza assolutamente certa, ma in linea di principio, secondo Schlick, nulla nel mondo ò inconoscibile. Certo esistono domande per le quali ò logicamente impossibile trovare una risposta, ma ciò ò segno che non si ò propriamente formulata una domanda e si sono soltanto combinate parole senza senso, che originano pseudo-problemi, mentre nessun problema che abbia significato ò in teoria insolubile.

  • Filosofia del 1900

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