Platone: L'autocritica delle idee. - Studentville

Platone: L'autocritica delle idee.

Autoanalisi del pensiero: Platone.

Secondo alcuni studiosi nella fase della vecchiaia ò come se Platone effettuasse un’autocritica della dottrina delle idee: essa, infatti, risolve alcuni problemi per crearne altri; non si ò totalmente certi che sia realmente un’autocritica e c’ò chi sostiene semplicemente che Platone si faccia portatore di discussioni che si tenevano nell’Accademia, un luogo aperto dal punto di vista intellettuale: forse vi fu chi non approvò la teoria delle idee e la contestò. Vi sono anche indizi che ci inducono a pensare che sia così: il “Parmenide” rientra in questi dialoghi e vede al centro la figura di Parmenide perchò si affronta il problema del rapporto tra l’uno ed i molti, molto caro a Parmenide appunto, e quello del rapporto idee-superidea del bene; i temi centrali sono quelli dei tempi di Parmenide (il dialogo ò ambientato in quel periodo): ò come se Platone riprendesse ciò che era stato lasciato in sospeso anni addietro. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Parmenide e Zenone, discepolo di Parmenide; questo dialogo può per diversi aspetti essere accostato al “Sofista”, dove il protagonista ò “lo straniero di Elea”, la città  di Parmenide e di Zenone. Il vero tema centrale del “Parmenide” ò quello riguardante le idee e le cose, a cui Platone aveva finora solo accennato senza mai sbilanciarsi troppo: che cosa intendesse per “compartecipazione”, per esempio, non l’aveva ancora detto: arriva a dire che le idee sono ciò in virtù di cui le cose empiriche possiedono certe caratteristiche. Nel Parmenide sono attestate l’una accanto all’altra e con pari legittimità  una versione concreta e materiale e una versione astratta e metaforica della compartecipazione: nella sua versione concreta, la partecipazione delle cose empiriche ad un’idea implica che l’idea sia effettivamente presente nelle cose partecipanti: ad esempio, tutte le cose empiriche molteplici si rivelano molteplici in quanto l’idea della molteplicità  ò presente in esse. Nella sua versione astratta e metaforica, invece, la partecipazione consiste nella somiglianza delle cose empiriche ad un’idea. Affronta questo problema partendo proprio dall’uno ed i molti. Tuttavia, se Platone si distacca dal maestro Socrate, egli ò e gli resta fedele; ò e resta fedele cioò all’ideale, che questi incarna, della filosofia come continua ricerca. Pure nel “Sofista” c’ò il problema uno-molti, ma non ò riferito al rapporto tra idee e cose, bensì tra idee e basta: ò una questione tutta interna alle idee. Va subito rilevato che nel “Parmenide” ed in generale in tutti questi dialoghi della vecchiaia vi ò un’attenuazione dell’aspetto dinamico, forse dovuto all’età : la fantasia giovanile tende a venir meno, così come la figura di Socrate tende a sfumare; mentre il “Simposio” ò un esempio della letteratura greca, il “Parmenide” non lo ò: testimonia la volontà  di addentrarsi in discussioni tecniche e di conseguenza lo stile si fa più arido. Anche la figura di Socrate tende a diventare marginale ed a sparire: ciò significa che i temi di Platone sono davvero estranei e distanti da Socrate e non se la sente di metterglieli in bocca; ò evidente che quando si parla di virtù e di giustizia ci si può riallacciare a Socrate, ma i problemi metafisici e ontologici non erano materie che rientravano negli interessi del maestro di Platone. Nel “Parmenide” la figura di Socrate ò addirittura quella di un ragazzino: volendo introdurre Parmenide per questioni cronologiche ò costretto a mettere in gioco un Socrate giovane ed un Parmenide vecchio ( Zenone ò un uomo maturo); fatto sta che Platone deve comunque aver forzato leggermente la cronologia per immaginare l’incontro. Parmenide nel dialogo ò sempre accompagnato dagli aggettivi “venerando” (sia perchò ò anziano sia perchò Platone lo ritiene il fondatore della filosofia astratta) e “terribile” (ragionava in modo così logico e razionale da mettere in crisi). In tutti i dialoghi che abbiamo esaminato Socrate ò sempre stato il protagonista indiscusso in cui Platone si identificava; ma nel “Parmenide” in chi dei tre si identifica ? Da un certo punto di vista si identifica in Parmenide, da un altro in Socrate; compare come Socrate nella forma giovanile, come Parmenide in quella senile. Il nucleo del dialogo ruota intorno a Socrate che fa delle affermazioni e a Parmenide che le corregge, dicendogli che da grande capirà . Vi ò una interpretazione ingenua e giovanile delle idee ed una più senile e completa: Parmenide non ò che dica cose opposte, si limita a correggere ed a rendere più complesse e complete le affermazioni di Socrate. E’ Platone anziano che si confronta con Platone giovane, ma può anche essere Platone che si confronta con chi nell’ Accademia contestava la dottrina delle idee. Come detto il “Parmenide” affronta due tematiche: l’uno-molti, che viene discusso a livello astratto, e idee-cose. Cosa significa in concreto che molte cose partecipano a un’idea sola ? Platone avanza diverse ipotesi e le respinge un pò tutte: per esempio ipotizza che il rapporto di partecipazione sia di presenza: un’unica idea sarebbe quindi presente in più cose, ma sarebbe molteplice e non più unità  del molteplice: infatti ce ne sarebbero tantissime. Vi ò poi la famosa argomentazione del “terzo uomo”, nella quale si evidenzia la difficoltà  nel rapporto idee-cose: Parmenide, dopo che Socrate ha esposto la dottrina delle idee, afferma che l’idea ò quindi ciò che unifica molte cose, che il ragionamento ò che tante cose insieme presentano una cosa in comune: gli uomini hanno una cosa in comune: l’idea di uomo. Ma l’idea di uomo, che rappresenta l’unità , dovrà  per forza avere qualcosa in comune con gli uomini: gli uomini sensibili si assomigliano perchò imitano l’idea di uomo; ma un rapporto di somiglianza non c’ò solo tra gli uomini sensibili, ma anche con l’idea di uomo: se ci sono gli uomini e l’idea di uomo e sono tra loro simili, ci deve essere per forza essere qualcosa di comune all’idea di uomo e agli uomini che li rende simili, che li accomuna: ci deve essere un terzo uomo; questa argomentazione può andare avanti all’infinito perchò ci dovrà  sempre essere qualcosa in comune. Vi ò chiaramente una contraddizione nella dottrina delle idee, che era servita per semplificare la realtà  ma che la complica ammettendo la molteplicità : gli enti invece di ridursi si moltiplicano all’infinito. Vi ò poi una terza argomentazione: Parmenide chiede a Socrate di che cosa ammette che ci siano le idee e lui risponde citando le cose astratte quali la giustizia, la bellezza, gli enti matematici… Dice di non essere certo che esistano idee degli oggetti sensibili veri e propri: l’idea di albero, di cavallo, di cane… Platone era ricorso a queste idee: per spiegare l’attività  di un artigiano aveva perfino ammesso che le idee potessero essere create dall’uomo: Platone si era occupato del problema delle tecniche e aveva ammesso che ci fossero delle tecniche di produzione e delle tecniche di uso; chi costruisce le briglie per i cavalli mette in atto la tecnica di produzione, il cavaliere che cavalca quella di uso. Il cavaliere deve sapere come le briglie devono essere usate, come funzionano, come devono essere: dà  le indicazioni all’artigiano che le fa come vuole il cavaliere. Chi applica la tecnica di uso crea un’idea che l’artigiano deve imitare: egli guarda ad un’idea creata da chi mette in pratica la tecnica d’uso. Platone sembra ipotizzare la produzione delle idee: l’idea di tavolo, per esempio, ò una sorta di idea che gli uomini si fanno. Chiaramente in una ipotetica scala gerarchica chi usa ò più in alto di chi produce. Socrate dice che certamente non esistono le idee delle cose spregevoli ed insignificanti: ad esempio, il fango ed il capello che corrispettivo possono avere nel mondo delle idee, dice Socrate. Ma Parmenide gli dice di pensarci bene e forse un giorno capirà . Socrate stava evidentemente pensando alla valenza assiologica: l’idea ò il punto cui le cose sensibili devono mirare, ò il meglio verso cui tendere. Come si può tendere all’idea di fango ? Però Parmenide, ontologo per eccellenza, dice che se l’idea deve essere l’essenza di ogni cosa, anche il fango dovrà  avere una sua idea. Parmenide fa qui notare che nel concetto di idea la valenza ontologica contrasta con quella assiologica, cosa che peraltro Platone sapeva benissimo: proprio per questo possiamo leggere il dibattito Parmenide – Socrate come uno scontro tra il Platone ontologico e quello assiologico. In effetti se pensiamo al piano assiologico pare impossibile che esistano idee di cose spregevoli: se però consideriamo quello ontologico, così come un cavallo esiste nella misura in cui compartecipa all’idea di cavallo, anche il fango o la sporcizia esistono nella misura in cui imitano l’idea di fango e di sporcizia. Parmenide poi mette definitivamente a tacere Socrate con un’ultima obiezione: comunque venga concepita, l’ipotesi della compartecipazione pare in contrasto con l’assunto della separazione delle idee; in effetti se le idee rimangono davvero separate dal mondo sensibile, esse saranno in relazione tra loro soltanto ma non con il mondo sensibile degli uomini, come d’altronde anche le cose empiriche si porranno le une in rapporto alle altre senza alcun genere di contatto con le idee. Pertanto se vi ò questa separazione nettissima che Platone (qui Socrate ) aveva sempre predicato tra mondo sensibile e mondo intellegibile, nessuna partecipazione tra idee e mondo sensibile sarà  ammessa e così neppure nessuna conoscenza delle idee per noi uomini sarà  possibile. Questa difficoltà  ò indicata da Parmenide come “la più grande di tutte” (“megiston dò tòde”): le idee devono per forza rimanere in sò e per sò, radicalmente separate dal mondo sensibile, perchò la separazione ne preserva l’assoluta superiorità  ontologica, stabilendo un’incolmabile discontinuità  rispetto alle cose empiriche. Va notato che Platone, in ogni suo dialogo, prende spunto un pò da tutti gli altri filosofi e Parmenide non fa eccezione: l’idea platonica ò unità  e stabilità  proprio come l’essere parmenideo. L’istanza etica di Socrate vuole idee solo positive e guarda alla assiologia, mentre Parmenide ò interessato all’essere, al piano ontologico: d’altronde ò risaputo che Socrate fosse un antropologo, una persona che si interessava ai valori. Platone si rende conto che ò Parmenide ad avere ragione e non Socrate. Nel dialogo Parmenide discute sul rapporto tra l’uno ed i molti: ò una discussione a tal punto tecnica e complessa che si ò arrivati a pensare che si tratti di una parodia, una presa in giro da parte di Platone di alcune scuole. Nel “Parmenide” comincia a trasparire una nuova accezione della parola “dialettica”, tipica di Socrate e di Platone: originariamente designava il dialogo socratico, poi ò passata a designare la tecnica argomentativa di Platone ed ò anche divenuta sinonimo di “filosofia”; nel “Parmenide” il significato si sposta da un certo modo di affrontare la conoscenza al rapporto tra le idee: non esiste solo un dialogo-scontro tra gli uomini (quello che dava vita alla fiamma) che aumenta la conoscenza, ma anche tra le idee: lo “scontro” si sposta dal soggetto della conoscenza all’oggetto. Il concetto dell’uno ed i molti si richiamano a vicenda: non si può conoscere pienamente il concetto di uno se non si conosce il concetto di molti e viceversa. Un modo per sintetizzare la filosofia di Parmenide può essere l’affermazione “l’uno ò”, la negazione della molteplicità ; Platone dice che quando si predica il concetta di uno lo si moltiplica: se non si predicasse affatto sarebbe davvero uno, ma se ne parlo non ò già  più uno, ò già  due: gli si aggiunge il concetto di essere. “L’uno ò l’essere”: affermo il molteplice perchò lo predico: nego e affermo nello stesso tempo. Le idee non sono una accanto all’altra, ma se le accosto dialogano e si scontrano. Questo ò il nuovo significato di dialettica, che non designa più solo un metodo di indagine: diventa anche la struttura della realtà .

  • Filosofia

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti