Purgatorio: XXV Canto - Studentville

Purgatorio: XXV Canto

Riassunto e critica.

Riassunto

Sono circa le due pomeridiane mentre Dante, Virgilio e Stazio continuano

l’ascesa dal sesto girone, quello dei golosi, all’ultimo, dove subiscono la loro pena i lussuriosi. Il Poeta, tuttavia, è

tormentato da un dubbio, che il timore di riuscire fastidioso ai suoi due maestri gli vieta di esprimere. Ma, in seguito a una

paterna esortazione di Virgilio, egli chiede come avviene il dimagrimento delle anime dei golosi, se esse non hanno bisogno di

cibo. Virgilio, dopo un primo tentativo di chiarire questo problema attraverso due esempi, prega Stazio di fornire una

dimostrazione più completa e convincente del fenomeno. Questi accosta il problema in modo ampio e generale, iniziando una

sistematica dissertazione che possiamo dividere in quattro parti. 1) Teoria della generazione umana: formazione dell’embrione

dall’unione dell’uomo e della donna e, nell’embrione, formazione dell’anima vegetativa e sensitiva (versi 37-60). 2)

Infusione dell’anima razionale nel corpo: quando nel feto la struttura del cervello è completa, Dio, con un atto creativo

diretto, vi infonde l’anima razionale, che assimila le altre due, formando una sola anima (versi 61-78). 3) Modo

dell’esistenza dell’anima dopo la morte: l’anima, uscendo dal corpo dopo la morte di questo, porta con sé le tre facoltà –

vegetativa, sensitiva, razionale – e si dirige alle rive dell’Acheronte, se è dannata, o alla foce del Tevere, se è destinata

alla salvezza (versi 79-87). 4) Genesi e condizione delle ombre: l’anima, giunta nel luogo assegnatole, opera nell’aria che

la circonda e si costruisce con questa aria una specie di forma corporea, che è dotata degli organi dei sensi e può esprimere

tutta la gamma dei sentimenti. Questa è la ragione per cui può avvenire nei golosi il dimagrimento. Appaiono poi, in mezzo a un

grande fuoco, le anime dei lussuriosi, che cantano « Summae Deus clementiae » e gridano alcuni esempi di castità.

Introduzione critica

Non fu in primo luogo una esigenza artistica quella che indusse Dante a trattare, nel canto

XXV del Purgatorio, il difficile problema della consistenza fisica delle anime nell’al di là, problema nel quale l’elemento

attinto alla nostra esperienza richiede di essere interpretato al lume di un dato della fede, per cui l’embriologia appare

sottoposta ad una giurisdizione la quale, pur non essendo contenuta nell’insieme delle leggi naturali, su di esse opera,

modificandole ed imprimendovi il soffio di una superiore volontà. Scrive in proposito acutamente il Mattalia che l’intera

spiegazione di Stazio ascende, come verso il proprio culmine, verso la commozione solenne delle espressioni che ci mostrano lo

motor primo nell’atto in cui, lieto, volge la sua attenzione alla complessa organizzazione che la natura, attraverso

l’operare della virtù ch’è dal cor del generante ha mirabilmente predisposto ad accogliere un principio – l’anima razionale

– che sfugge ad ogni qualificazione in termini naturalistici: per questo “il processo naturale-formativo dell’essere umano ha

la sua suprema risoluzione e integrazione nel sempre rinnovantesi prodigio della creazione del primo uomo, mediante il diretto

intervento di Dio”. Per quel che riguarda in particolare la motivazione che ha indotto Dante ad inserire nel suo poema una

spiegazione intorno alla possibilità della sofferenza o della gioia fisica nelle anime, cioè intorno al fondamento oggettivo e

scientifico dell’invenzione che è alla base della Commedia, il critico così si esprime: “L’esigenza da cui muove Dante, del

quale Stazio assume qui la rappresentanza, è la massima conciliazione tra razionalità scientifica e dato teologico o di fede,

che significa poi, se mal non intendiamo, la maggior possibile riduzione del secondo alla prima. Dante, infatti, non è pago

della semplice spiegazione analogica ed extra-razionale offertagli da Virgilio… Né la dottrina ufficiale della Chiesa, pur

affermando che le anime nell’oltretomba possano patire o godere fisicamente, impegnava poi il cristiano a credere de fide che

la cosa avvenisse in un certo modo e per una ragione particolare piuttosto che per l’altra. Né era necessario limitarsi a una

spiegazione trascendentale; che si trattava di «corpi» cosi disposti da Dio e che le vie di Dio sono razionalmente

imperscrutabili: se c’era una spiegazione scientifica della generazione dell’uomo, non era detto che da questa non si potesse

e dovesse dedurre, entro i limiti delle possibilità dell’intelletto umano, una ragionata spiegazione del fenomeno. Poiché

l’anima dell’uomo, ad esempio, è infusa da Dio nel corpo a vivere simbioticamente con esso, come suo principio attivante ed

organizzatore, e le anime patiscono fisicamente, è logico e necessario inferirne che il separarsi dell’anima dal corpo, al

momento della morte, non è un suo ridursi a sostanza « separata dalla materia » come gli angeli; e che l’originario nesso

anima-corpo, posto e voluto da Dio, deve in un modo o nell’altro continuare a sussistere, ed essere concepito in termini tali

da poter razionalmente spiegare tanto la momentanea separazione dell’anima dal corpo, quanto il loro ricongiungersi il giorno

del Giudizio Universale “. Non quindi essenzialmente da “ovvie esigenze di rappresentazione e di racconto” (Sapegno) deriva in

Dante la necessità di render conto della condizione che, dotandole di un’apparenza corporea, assoggetta le anime nell’al di

là ai tormenti della dannazione e dell’espiazione non meno che alle gioie della beatitudine (per quanto riguarda lo stato

delle anime del paradiso, tuttavia, il Poeta insisterà sul fatto che la loro consistenza di ombre è mero riflesso, nei nove

cieli ancora sottoposti agli imperativi della natura, della loro spiritualità raggiunta nel pensabile, ma non rappresentabile

Empireo): in tale necessità si trova in quanto autore, a causa dell’approssimarsi ai domini della verità rivelata, che a lui,

come personaggio, si mostrerà in tutta la sua severa luce sulla sommità del monte della penitenza nella persona di Beatrice.

Questo aspetto del problema è fondamentale ai fini di cogliere la tonalità di queste pagine severe, in cui il ritmo della vita

umana è abbracciato con vigore di scorci e lucidità di espressioni dal suo primo originarsi negli antecedenti biologici (i

generatori) al suo destino finale, caratterizzato da un deciso prevalere delle facoltà spirituali su quelle meramente fisiche

(terzina 82) ed espresso in versi che accentuano il lato miracoloso dell’esistenza individuale, messo in pieno risalto dalla

separazione dell’anima dal corpo (terzina 85). Il Nardi rileva tale aspetto con una penetrante osservazione, volta a cogliere

in tutta la sua estensione il divario che separa una poesia concepita in termini di mera finzione – quale fu quella che

caratterizzò la produzione letteraria dell’antichità pagana – da una poesia che ha le sue basi nella più assoluta oggettività,

come in Dante: “E qui si noti anche un’altra cosa: un problema come quello che qui Dante si è posto, Virgilio nell’Eneide non

avrebbe potuto porselo; perché tutto quello che l’eroe troiano vede sotto la guida della Sibilla, del tracio Orfeo e dello

stesso padre Anchise, è pura rappresentazione poetica, per il poeta romano, finzione immaginaria, anzi « falsa insomnia » che i

Mani ci mandano dall’oltretomba per la porta d’avorio dei sogni. Per Dante invece quello che gli appare è realtà e non

finzione. La sua non è visione di cose favolose, ma di cose che egli ritiene vere. Si che il dubbio che egli si pone, e il

tentativo di trovarne una soluzione che lo appaghi, non sono vana disquisizione intorno a un problema inesistente, ma vero

dubbio suscitato nella sua mente di filosofo da quel che ha veduto, e sforzo di appagare il suo desiderio di conoscere la

verità sulla vita nell’oltretomba, alla quale non solo egli crede al pari di ogni vero credente, ma che Dio gli ha concesso di

vedere coi propri occhi mortali prima della morte “.

  • La Divina Commedia

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