Riflessioni famose di Cartesio. - Studentville

Riflessioni famose di Cartesio.

Riflessioni famose di Cartesio.

Io supporrò, dunque, che vi sia, non già  un vero Dio, che ò fonte sovrana di verità , ma un certo cattivo genio non meno astuto e ingannatore che possente, che abbia impiegato tutta la sua industria ad ingannarmi. Io penserò che il cielo, l’aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne che vediamo, non siano che illusioni e inganni, di cui egli si serve per sorprendere la mia credulità . Considererò aver tutte queste cose. Io resterò ostinatamente attaccato a questo pensiero; se, con questo mezzo, non ò in mio potere di pervenire alla conoscenza di verità  alcuna, almeno ò in mio potere di sospendere il mio giudizio. Ecco perchè baderò accuratamente a non accogliere alcuna falsità , e preparerò così bene il mio spirito a tutte le astuzie di questo grande ingannatore, che, per potente ed astuto ch’egli sia, non mi potrà  mai imporre nulla. (Discorso sul metodo) Così, poichè i nostri sensi a volte ci ingannano, volli supporre che non ci fosse cosa quale essi ce la fanno immaginare. E dal momento che ci sono uomini che sbagliano ragionando, anche quando considerano gli oggetti più semplici della geometria, e cadono in paralogismi, rifiutai come false, pensando di essere al pari di chiunque altro esposto all’errore, tutte le ragioni che un tempo avevo preso per dimostrazioni. Infine, considerando che tutti gli stessi pensieri che abbiamo da svegli possono venirci anche quando dormiamo senza che ce ne sia uno solo, allora, che sia vero, presi la decisione di fingere che tutte le cose che da sempre si erano introdotte nel mio animo non fossero più vere delle illusioni dei miei sogni. Ma subito dopo mi accorsi che mentre volevo pensare, così, che tutto ò falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità : penso, dunque sono, era così ferma e sicura, che tutte le supposizioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timore come il primo principio della filosofia che cercavo. Poi, esaminando esattamente quel che ero, e vedendo che potevo fingere di non avere nessun corpo, e che non ci fosse mondo nè luogo alcuno in cui mi trovassi, ma che non potevo fingere, perciò, di non esserci; e che al contrario, dal fatto stesso che pensavo di dubitare della verità  delle altre cose, seguiva con assoluta evidenza e certezza che esistevo; mentre, appena avessi cessato di pensare, ancorchè fosse stato vero tutto il resto di quel che avevo da sempre immaginato, non avrei avuto alcuna ragione di credere ch’io esistessi: da tutto ciò conobbi che ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nel pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo nè dipende da qualcosa di materiale. Di modo che questo io, e cioò la mente per cui sono quel che sono, ò interamente distinta dal corpo, del quale ò anche più facile a conoscersi; e non cesserebbe di essere tutto quello che ò anche se il corpo non esistesse. (Discorso sul metodo) Ma si presenta ancora un’altra via per ricercare se, tra le cose di cui ho in me le idee, ve ne siano alcune che esistano fuori di me. Cioò, se queste idee son considerate solamente in quanto sono certe maniere di pensare, io non riconosco tra loro alcuna differenza o ineguaglianza, e tutte sembrano procedere da me d’una stessa maniera; ma, considerandole come immagini, di cui le une rappresentano una cosa e le altre un’altra, ò evidente che esse sono differentissime le une dalle altre. Perchè, in effetti, quelle che mi rappresentano delle sostanze sono senza dubbio qualche cosa di più, e contengono in sè (per così dire) maggior realtà  oggettiva, cioò partecipano per rappresentazione ad un numero maggiore di gradi di essere o di perfezione, di quelle che mi rappresentano solamente dei modi o accidenti. Di più, quella per la quale io concepisco un Dio sovrano, eterno, infinito, immutabile, onnisciente, onnipotente e creatore universale di tutte le cose che sono fuori di lui, quell’idea, dico, ha certamente in sè più realtà  oggettiva di quelle, da cui mi sono rappresentate le sostanze finite. Ora, ò una cosa manifesta per luce naturale, che deve esserci per lo meno tanto di realtà  nella causa efficiente e totale, quanto nel suo effetto: perchè, donde l’effetto può trarre la sua realtà , se non dalla propria causa? e come questa causa potrebbe comunicargliela, se non l’avesse in se stessa? E da ciò segue non solamente che il niente non potrebbe produrre nessuna cosa, ma anche che ciò che ò più perfetto, cioò che contiene in sè maggior realtà , non può essere una conseguenza ed una dipendenza del meno perfetto. (Meditazioni metafisiche) Ed innanzi tutto, poichè so che tutte le cose, che concepisco chiaramente e distintamente, possono essere prodotte da Dio quali le concepisco, basta che io possa concepire chiaramente e distintamente una cosa senza un’altra, per essere certo che l’una ò distinta o differente dall’altra, perchè esse possono essere poste separatamente, almeno dall’onnipotenza di Dio; e non importa quale potenza operi tale separazione per obbligarmi a giudicarle differenti. E pertanto, dal fatto stesso che io conosco con certezza di esistere, e, tuttavia, osservo che nessun’altra cosa appartiene necessariamente alla mia natura o alla mia assenza, tranne l’essere una cosa pensante, concludo benissimo che la mia essenza consiste in ciò solo, ch’io sono una cosa pensante, o una sostanza, di cui tutta l’essenza o la natura ò soltanto di pensare. E sebbene, forse (o piuttosto certamente, come dirò subito), io abbia un corpo, al quale sono assai strettamente congiunto, tuttavia poichè da un lato ho una chiara e distinta idea di me stesso in quanto sono solamente una cosa pensante e inestesa, e da un altro lato ho un’idea distinta del corpo, in quanto esso ò solamente una cosa estesa e non pensante, ò certo che quest’io, cioò la mia anima, per la quale sono ciò che sono, ò interamente e veramente distinta dal mio corpo, e può essere o esistere senza di lui. (Meditazioni metafisiche) Ora io chiuderò gli occhi, mi turerò le orecchie, distrarrò tutti i miei sensi, cancellerò anche dal mio pensiero tutte le immagini delle cose corporee, o almeno, poichè ciò può farsi difficilmente, le riputerò vane e false; e così intrattenendo solamente me stesso e considerando il mio interno, cercherò di rendermi a poco a poco più noto e più familiare a me stesso. Io sono una cosa che pensa, cioò che dubita, che afferma, che nega, che conosce poche cose, che ne ignora molte, che ama, che odia, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente. Poichè, come ho notato prima, sebbene le cose che sento ed immagino non siano forse nulla fuori di me ed in se stesse, io sono tuttavia sicuro che quelle maniere di pensare, che chiamo sensazioni ed immaginazioni, per il solo fatto che sono modi di pensare, risiedono e si trovano certamente in me. Ed in quel poco che ho detto, io credo di aver riportato tutto ciò che so veramente, o, almeno, tutto ciò che fin qui ho notato di sapere. (Meditazioni metafisiche)

  • Filosofia del 1600

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