TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO. La costruzione delle istituzioni democratiche in Italia - Studentville

TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO. La costruzione delle istituzioni democratiche in Italia

La costruzione dello Stato democratico in Italia all'indomani della seconda guerra mondiale. Considerata anche l'esperienza dell'Italia pre-fascista, illustra le tappe del percorso di costruzione delle istituzioni democratiche, le scelte e i processi che ne hanno consentito il progressivo consolidamento.

Per descrivere il processo che portò alla formazione dello stato democratico post-fascista in Italia, è necessario partire dalla guerra. Non si può, infatti, parlare degli eventi che hanno caratterizzato la ricostruzione della democrazia nel nostro paese, senza fare un passo indietro, soprattutto per cercare di cogliere quali gruppi, quali personaggi, e con quali ideali e obiettivi, parteciparono alla resistenza al nazifascismo, e come già negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, questi abbiano contribuito alla creazione di uno spirito unitario, capace di agevolare poi il cammino dell’Italia attraverso una fase difficile, come la ricostruzione materiale, ma anche morale e politica del paese.
Gli albori del movimento di resistenza partigiana in Italia sono da rintracciare negli ultimi mesi del 1942. Il razionamento dei generi, i bombardamenti sempre più frequenti sulle città, la disastrosa ritirata dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia) e l’entrata dell’armata inglese a Tripoli, avevano reso la guerra sempre più impopolare nel paese. Già nel marzo del ’43 una serie di scioperi coinvolsero Torino e Milano, chiedendo la fine della guerra, e mettendo le basi per un primo coordinamento dei nascenti comitati antifascisti. Anche dopo lo scioglimento del partito fascista, però, a seguito dell’arresto di Mussolini e l’affidamento del governo a Badoglio, lo stato continuò a scoraggiare se non a impedire la ricostruzione dei partiti e le manifestazioni pubbliche di dissenso.
In quel difficile contesto, una serie di gruppi caratterizzati dalla trasversalità dei propri membri, cominciarono a costituirsi, coinvolgendo la cittadinanza prima in atti come il rifiuto della leva, e l’aiuto ai prigionieri e agli ebrei, e successivamente come il sabotaggio e la resistenza armata all’esercito tedesco. Più di duecentomila furono, in tutto il paese, gli uomini e le donne che parteciparono alla resistenza partigiana, provenienti da tutte le classi sociali. La maggioranza, era costituita da operai e da cittadini provenienti dal ceto medio, ma non mancavano esponenti di orientamento liberale e persino monarchico. Anche a livello politico, sebbene molto forte fosse la presenza di esponenti o simpatizzanti dei partiti comunisti e socialisti, vi erano altri gruppi partigiani che avevano come riferimento la linea del Partito d’azione e della nascente formazione cattolica, la Democrazia cristiana. L’eterogeneità dei partecipanti alla resistenza, in ogni caso, è un fattore che si rivelò fondamentale, non solo nei successi e nel contributo decisivo che i partigiani diedero alla liberazione del paese, ma anche, con la fine della guerra, nella consapevolezza della necessità di una comunione politica di intenti e di un senso di responsabilità capace di consentire al paese di voltare realmente e definitivamente pagina, senza correre nuovi e pericolosi rischi. Con la fine del conflitto, infatti, la situazione politica del paese era a dir poco fragile. In Sicilia, si andava costituendo un movimento indipendentista che provava a organizzare un proprio esercito; al nord, alcuni gruppi di partigiani sembravano riluttanti a deporre le armi, mentre gli operai occupavano le fabbriche e innalzavano la bandiera rossa; al sud, i contadini poveri invadevano i latifondi e le terre incolte; mentre gli alleati, la monarchia e il Comitato di Liberazione Nazionale (l’organo di coordinamento dei partiti antifascisti e delle formazioni partigiane) non intendevano fare passi indietro, in attesa delle decisioni che avrebbero assegnato il potere del paese, e messo le basi per la formazione di un nuovo stato unitario.
In questo contesto, la priorità era quella di mantenere un ordine e un equilibrio fino al giugno del ’46, quando un referendum (indetto a guerra ancora in corso dal governo Bonomi) avrebbe chiesto a tutti i cittadini di scegliere tra monarchia e repubblica, e un’elezione politica avrebbe eletto un’assemblea per elaborare la nuova costituzione. Operazione non facile, quella di trovare e mantenere quest’equilibrio, ma operazione che si rivelò alla fine di successo, grazie alla responsabilità con cui le forze politiche affrontarono questa prova. Nel giugno del ’45, infatti, con l’affidamento del governo a Ferruccio Parri (ex partigiano e leader del Partito d’azione), i partiti che avevano contribuito a tirar fuori il paese dalla guerra, riuscirono a compattarsi, e posizioni di rilievo all’interno del nuovo esecutivo furono affidate a membri socialisti (Nenni, vicepresidente), comunisti (Togliatti, alla giustizia), e democristiani (De Gasperi, agli esteri). Tutti ex partigiani. Proprio De Gasperi, capo del successivo governo di coalizione (dal dicembre del ’45), ebbe il delicato compito di guidare il paese nella tappa forse più difficile nell’ambito di ricostruzione dello stato democratico: le elezioni del giugno del ’46. Le consultazioni, probabilmente le più importanti della storia italiana, si conclusero con un risultato netto: la Democrazia cristiana era il primo partito, con il 35% dei voti, seguito da comunisti e socialisti appaiati al 19 e al 20%. Meno netto, l’esito del referendum, che tuttavia stabilì, grazie al 54% delle preferenze, che l’Italia sarebbe stata una repubblica. A questo punto, se il nuovo governo De Gasperi aveva il compito di portare definitivamente il paese fuori dalla buia fase storica dal quale veniva, l’assemblea costituente aveva quello di garantire un testo costituzionale equilibrato, che rompesse definitivamente con il fascismo, e soddisfacesse le esigenze delle varie forze politiche presenti. Ma la prova di grande responsabilità data dai partiti nel corso della guerra prima, e dell’immediato dopoguerra poi, non poteva che esplicitarsi anche in questa nuova fase. L’approvazione della nuova costituzione, nel dicembre del ’47, riuscì a coniugare le rivendicazioni liberali riguardo i diritti dell’uomo e del cittadino, con le priorità socialiste riguardo i problemi del lavoro e con il riconoscimento dei diritti della Chiesa sanciti dai patti lateranensi, chiesto dai democristiani. Con l’entrata in vigore del nuovo testo (considerato uno dei migliori in Europa),  l’Italia compiva il primo passo in avanti verso la ricostruzione e cominciava la propria rinascita post-fascista, superando in maniera equilibrata e responsabile le difficoltà e i rischi che un momento delicato, come quello dei tre anni dopo la fine del conflitto, aveva presentato.

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