Tomismo e neo-tomismo - Studentville

Tomismo e neo-tomismo

Il tomismo nel 1800 e 1900.

La ricchezza del pensiero di Tommaso e la grande varietà  dei temi affrontati hanno fatto di lui un autore molto letto e citato, talora da studiosi che si sono addentrati in profondità  nello spirito e nei contenuti del suo pensiero, talora da interpreti più frettolosi che hanno contribuito a diffondere una visione distorta del tomismo. àˆ bene, in ogni caso, accennare anche solo di sfuggita al fatto che quando si parla di “tomismo” non ci si riferisce – ovviamente – al solo S. Tommaso, ma all’insieme di tutti coloro che – nel corso dei secoli – a qualche titolo ne hanno esplicitamente ripreso l’insegnamento, a partire dai grandi commentatori della “tarda scolastica”, di cui ci limitiamo – in questa sede – citare i principali: Giovanni Capreolo (1380-1444), Francesco Silvestri da Ferrara, più noto come “Ferrarese” (1468-1528), Tommaso de Vio, più noto come “Gaetano” (1469-1534), Domenico Baà±ez (1528-1604), Giovanni di San Tommaso (1589-1644) che hanno prodotto studi monumentali, sia come commento alle opere di Tommaso, sia come veri e propri strumenti per lo studio. Alla linea tomista “domenicana” a cui si ò appena fatto riferimento, si affianca la linea “gesuitica”, visto che fin dalla “Ratio studiorum” del 1599 (ma anche prima, nella Ratio del Collegio Romano) l’ordinamento degli studi dei Gesuiti prescrive esplicitamente di attenersi alla dottrina di S. Tommaso; ma tale riferimento comporterà  un certo grado di libertà  interpretativa, per cui possiamo di fatto distinguere una linea ermeneutica distinta, che si esprime attraverso alcuni grandi autori, tra cui citiamo: Pedro Da Fonseca (1528-1599), Gabriel Và zquez (1549-1604), Luis de Molina (1536-1600) ed il “doctor eximius” Francisco Suà rez (1548-1627). La filosofia tomista nell’Italia del XIX secolo Tra i centri che hanno favorito la rinascita e la diffusione degli studi tomistici nel XIX secolo va ricordato, innanzitutto, il Collegio Alberoni di Piacenza, attivo dal 1751, caratterizzato fin dal suo sorgere da una particolare sensibilità  per la filosofia aristotelico-tomista. Nel 1879, qualche mese prima della pubblicazione della stessa enciclica Aeterni Patris, Alberto Barberis fondò – presso il Collegio piacentino – la rivista “Divus Thomas”, la prima al mondo interamente dedicata interamente a san Tommaso, che fu subito bene accolta in molti paesi d’Europa (Belgio, Francia, Spagna, Ungheria, Germania), da dove studiosi insigni mandarono i loro scritti e dove il periodico ebbe notevole diffusione (fatto, peraltro, non comune per la stampa del nostro Paese). Altri centri di diffusione degli studi tomistici in Italia furono strettamente legati all’azione dell’Ordine dei Gesuiti, soprattutto dopo la sua ricostituzione nel 1814. Quando per esempio il Collegio Romano venne nuovamente loro affidato, nel 1824, il rettore (Luigi Taparelli d’Azeglio) si rese conto che le scienze ecclesiali potevano essere risollevate dalle misere condizioni in cui versavano attraverso la riproposizione dell’antica Ratio Studiorum del 1599, che concretamente comportava la ripresa dell’insegnamento della filosofia di Tommaso d’Aquino. Trasferito a Napoli dai suoi superiori, il Taparelli operò per rilanciare gli studi tomistici anche in quella città , finchè nel 1846 un altro studioso (Gaetano Sanseverino) fonda l’Accademia di Filosofia Tomista di Napoli. Nel 1850, sempre a Napoli, appare per la prima volta la rivista “La Civiltà  Cattolica”, non dedicata specificamente agli studi tomistici, ma che ebbe di fatto una notevole importanza per il loro rilancio contribuendo alla diffusione del pensiero dei filosofi neoscolastici. Altri centri di studi tomistici, legati in particolare all’ordine domenicano, si trovavano a Bologna (1) e a Roma (presso il convento di Santa Maria sopra Minerva). Non va dimenticato nemmeno il centro di Perugia. Nel 1880 fu fondata l’Accademia Romana di S. Tommaso d’Aquino, inaugurata dallo stesso Leone XIII e caratterizzata per il fatto di essere una istituzione pontificia a carattere internazionale. La filosofia tomista nell’area tedesca nel XIX secolo Nell’area culturale di lingua tedesca il fenomeno della riscoperta di Tommaso d’Aquino nella seconda metà  del XIX secolo si lega da un lato alle divisioni interne all’hegelismo dopo la morte di Hegel e – dall’altro lato – al rafforzarsi della coscienza cattolica dopo il 1848. Di particolare interesse ò l’opera di alcuni autori, come Franz Jakob Clemens e Joseph Kleutgen. I principali centri di elaborazione culturale furono il liceo di Eichstà¤tt, l’Accademia di Mà¼nster e i licei reali di Baviera, oltre alle istituzioni di alcuni ordini religiosi. I centri culturali cattolici ebbero un ruolo particolare durante gli anni del Kulturkampf, quando molte istituzioni cattoliche furono soppresse e gli studenti di teologia confluivano in quelle che erano state risparmiate. Dopo il fallimento del progetto di istituire un’università  cattolica in Germania, nel 1876 – proprio nel cuore del Kulturkampf – i cattolici crearono un organismo di cultura a cui appoggiarsi, vista l’emarginazione che pativano nelle università  statali, la Gà¶rres-Gesellshaft, la cui sezione filosofica fu largamente influenzata dal pensiero di autori neoscolastici. L’enciclica Aeterni Patris Una sottolineatura a parte merita l’enciclica Aeterni Patris (4 agosto 1879) di Leone XIII, al secolo Gioacchino Pecci, che era stato uno degli animatori del Centro di studi tomistici di Perugia. L’enciclica parte dalla considerazione che molti errori del tempo presente derivano dall’adesione a visioni filosofiche false e fuorvianti e rilancia la “mirabile armonia” ed il “misurato rigore” della sintesi di Tommaso d’Aquino come modello di filosofia in grado di garantire quell’armonia tra fede e ragione che il razionalismo laico contemporaneo metteva fortemente in discussione. Il pontefice invita i vescovi a ripristinare pienamente l’insegnamento della filosofia tomista nei seminari e nelle università  cattoliche, con l’esortazione ad andare direttamente ai testi di Tommaso e dei suoi immediati commentatori. La linea di Leone XIII fu proseguita ed accentuata dal suo successore – Pio X – che era particolarmente preoccupato per gli esiti infausti della crisi modernista e, nell’enciclica Pascendi (1907), rende più rigorosamente prescrittive le indicazioni dell’Aeterni Patris, probabilmente spingendosi con questo ben oltre le intenzioni del suo predecessore. Il contributo più duraturo dell’enciclica di Leone XIII non va tanto cercato nei riflessi che ha generato negli studi ecclesiastici perchè – come si ò detto – questi furono ben presto condizionati dalle chiusure che derivarono dalla reazione alla crisi modernista (2), ma piuttosto nell’impulso che fu dato al sorgere di nuovi centri di studi e dal lavoro svolto dalla “Commissione leonina”, costituita nel 1880 con l’incarico di curare l’edizione critica di tutte le opere di Tommaso. La filosofia tomista in Francia Tra Ottocento e Novecento Il contributo fondamentale dell’area culturale di lingua francese al neotomismo contemporaneo si lega indubbiamente alla fondazione dell’Istituto Superiore di Filosofia a Lovanio (in Belgio), ad opera del Card. Mercier nel 1882, che di fatto pose le basi per un positivo incontro tra il pensiero di ispirazione tomista ed il pensiero filosofico moderno. Dopo la pubblicazione dell’enciclica Aeterni patris, fu lo stesso pontefice – nel 1880 – a prendere l’iniziativa, incaricando il Card. Dechamps, arcivescovo di Malines, di creare una cattedra speciale di filosofia tomista presso l’Università  cattolica di Lovanio che era, all’epoca, l’unica università  cattolica completa, che comprendeva – oltre alla facoltà  di teologia – la facoltà  di diritto, di lettere e filosofia, di medicina e scienze naturali. Nel 1882 i vescovi belgi designarono Dèsirè Mercier, allora professore di filosofia al seminario di Malines, di istituire a Lovanio un corso “di alta filosofia secondo san Tommaso”. Per il Mercier la filosofia non ò tanto una “dottrina” da insegnare, ma ò soprattutto ricerca della verità , aperta e libera, accogliendo ogni pensiero saggio ed ogni scoperta utile, da qualunque parte provengano, come faceva ed invitava a fare lo stesso Tommaso. Verso la fine del secolo l’Istituto di Lovanio ò già  pienamente avviato e i primi discepoli e poi successori del Mercier vi operano con lo zelo dei pionieri, estendendo progressivamente il suo raggio d’azione ed il suo prestigio in tutta Europa. Interprete acuto del pensiero di Tommaso nella prima metà  del XX secolo fu Antonin–Dalmace Sertillanges (1863-1948) che pubblicò nel 1910 la sua opera in due volumi dal titolo Thomas d’Aquin, in cui affronta con originalità  sul piano speculativo alcune tematiche che saranno oggetto di acceso dibattito. Ci limitiamo qui ad accennare all’ultimo capitolo di questo testo che – significativamente – si intitola Il futuro del tomismo, in cui l’autore si domande in quale direzione il tomismo debba rivolgere le proprie ricerche, a partire da quella che il Sertillanges individua come la sua caratteristica peculiare, ossia “lo sforzo scrupoloso di soddisfare tutte le condizioni dell’esperienza, di accogliere tutte le idee reali, di raccoglierle in una struttura e limitarle di volta in volta secondo la necessità , ottenendo così il massimo equilibrio e una giusta comprensione per ogni momento di una scienza in continua evoluzione” (3). Caratteristica peculiare del pensiero di Tommaso ò la ricerca di una visione d’insieme, in modo vivo e sotto l’influsso di alcune “idee guida”. Tale ò, per Sertillanges, la prerogativa che rende il pensiero tomista particolarmente adatto ad affrontare positivamente i problemi del nostro tempo: si offrono principi di unità  per un mondo che va alla deriva per i troppi contrasti, lealtà  e correttezza come metodo per le relazioni umane in un universo sempre più individualista, capacità  di analisi per studiare chi ha opinioni differenti, al fine di cogliere ciò che può esservi di vero nel pensiero di chiunque. Di grande importanza sono anche le ricerche storiche sulla filosofia medievale che attraggono l’interesse di molti studiosi che estendono alle opere dei grandi autori il metodo storico-critico, che veniva applicato – non senza un dibattito ancora piuttosto vivace – alla stessa interpretazione delle Scritture. Di particolare interesse sono i contributi della scuola francese di Victor Cousin, che si interessò in prima persona del pensiero di Abelardo e stimolò le ricerche di Jean-Barthèlèmy Haurèau sulla filosofia scolastica (nel 1850 e poi con la grande Histoire de la philosophie scolastique, in 3 volumi, usciti tra il 1872 e il 1880) e di Ernest Renan su Averroè e l’averroismo (del 1852). Sulla stessa linea si collocano le ponderose ricerche di alcuni autori tedeschi, tra i quali possiamo citare la Storia della filosofia del Medioevo di Albert Stà¶kl (1864- 1867), i cinque volumi de La scolastica del Tardo Medioevo di Carl Werner (1881-1887) e la sua opera su Tommaso d’Aquino in tre volumi (1889). Le opere di carattere storico-critico che segnarono una vera svolta nella ricostruzione del pensiero filosofico scolastico in genere e tomista in particolare furono quelle di Clemens Beaumker (1853-1924), Pierre Mandonnet (1858 -1936) e Maurice De Wulf (1867-1947). Beaumker fondò, nel 1891, la collana di pubblicazioni chiamata Contributi alla storia della filosofia del Medioevo, che diresse fino alla morte, quando gli successe Martin Grabman (1875-1949), che pubblicò lavori ancora oggi importanti sulla Storia del metodo scolastico (2 voll., 1909-1911), su Tommaso d’Aquino e la scuola tomista. Ancora più illuminanti sono i contributi del domenicano francese Pierre Mandonnet, che coglie – da storico – il significato della reazione conservatrice contro Tommaso d’Aquino: la tradizione agostinista, che costituiva la dottrina tradizionale dei pensatori pre-tomisti fino a Bonaventura, si caratterizza per il fatto di conoscere senza rendere del tutto effettiva la distinzione tra filosofia e teologia tanto cara ad Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. àˆ Mandonnet il primo autore a cogliere la specificità  del contesto storico-culturale dell’opera di Tommaso, simultaneamente impegnato su due fronti: nell’attacco contro l’averroismo latino e nella difesa contro l’agostinismo reazionario. Mandonnet inizia nel 1921 la serie di pubblicazioni della Bibliotòque thomiste, con lavori prevalentemente di carattere storico ed avvia, dal 1924, la rivista critica Bulletin thomiste, che si caratterizza sempre per la straordinaria attenzione alla ricostruzione storica del pensiero di Tommaso. I frutti di tale paziente lavoro di indagine storico-critica confluiscono nella Storia della filosofia medievale di De Wulf (professore a Lovanio), pubblicata in prima edizione nel 1900 e costantemente rieditata, tenendo conto degli sviluppi progressivi della ricerca storica. à‰tienne Gilson Nel periodo fra le due guerre la ricerca storica sull’età  medievale riceve un grandissimo impulso dalla fondazione di numerosi istituti di ricerca con questa specifica finalità : si avvia l’edizione critica dell’opera di molti autori (da Alessandro di Hales ad Alberto Magno, per citarne solo due), a Parigi inizia ad operare un altro grandissimo studioso, à‰tienne Gilson, che avvia nel 1926 la pubblicazione degli Archives d’Histoire Doctrinale et Littèraire du Moyen-Age e, dal 1930, della serie degli à‰tudes de Philosophie Mèdièvale, raccogliendo attorno a tali organi un cospicuo numero di collaboratori di grande valore. Gli orizzonti degli studi storici specialistici si aprono oltre oceano, con la fondazione della Medieval Academy of America, a Cambridge (Massachussetts) nel 1925 e l’Institute of Medieval Studies, fondato a Toronto nel 1929, con la collaborazione dello stesso Gilson. Egli si muove ancora come storico della filosofia, ma opera ad un livello diverso rispetto ai suoi colleghi e predecessori: non si ò mai occupato personalmente di ricerca di manoscritti, ma ha sempre favorito il lavoro erudito e ne ha fatto la base delle sue ricerche, spostando solo l’asse della domanda storica non tanto sulla constatazione di “quello che ò stato detto”, quanto sulla ricerca “di che cosa si stesse veramente parlando”, sempre su un piano di ricostruzione storicamente accurata. Il suo testo sul tomismo (Le Thomisme) appare per la prima volta nel 1919, riceve la forma attuale nella IV edizione, del 1941, ma la quinta e la sesta apportarono ulteriori cambiamenti. Lo stesso si dica del suo celebre compendio, La philosophie au moyen-à¢ge (apparso nel 1922 e ripubblicato in diverse edizioni, sempre aggiornate alla luce dei progressi della ricerca storica). Un discorso a parte merita la sua opera, più filosofica che storica, L’àªtre et l’essence, del 1948, mentre nel 1932 era stata pubblicata un’altra opera fondamentale, L’Esprit de la philosophie mèdièvale. Forse in tale opera – dal titolo particolarmente evocativo – risiede la cifra dell’importanza dell’opera di Gilson e della sua lettura della scolastica in genere e di Tommaso in particolare: la filosofia medievale si caratterizza in quanto filosofia cristiana, non nel senso che la ricerca filosofica sia “condizionata” dalla fede cristiana, ma nel senso che le verità  della fede cristiana hanno offerto all’indagine filosofica gli “spunti euristici” (4) per porsi in modo nuovo alcune domande eterne dell’uomo. àˆ attraverso la ricerca storica che ò possibile ricostruire il vero volto di Tommaso e dunque essere, autenticamente, “tomisti”. Nella sua opera esplicitamente dedicata al profilo speculativo di Tommaso (Le thomisme. Introduction au systòme de saint Thomas d’Aquin) in cui si sottolinea come i temi filosofici ed i temi teologici – nelle opere dell’Aquinate – siano materialmente congiunti e formalmente distinti: quando Tommaso si occupa di filosofia ò sempre anche “teologo”, nel senso che non trascura di mettere in luce i riflessi teologici delle proprie riflessioni, mentre nei passaggi del proprio ragionamento che non si basano su premesse desunte dal patrimonio della rivelazione egli non solo argomenta in termini strettamente filosofici, ma si premura di attivare un “dialogo a distanza” con i filosofi di varie impostazioni e correnti, proprio su quelle tematiche. In altre parole Gilson osserva come la teologia di Tommaso sia quella di un filosofo e la sua filosofia sia quella di un santo. Sl libro sul sistema filosofico di Tommaso in generale seguì, nel 1925, un testo sulle dottrine morali dell’Aquinate (il testo fu pubblicato con il titolo Saint Thomas d’Aquin nella collana dedicata ai moralisti cristiani), in cui Gilson sottolinea come la morale di Tommaso non sia separabile dalla sua metafisica, discutendo in particolare la dottrina del Sommo Bene come chiave di volta dell’edificio etico tomista. Oltre alla controversia sulla filosofia cristiana, di cui si ò già  fatto cenno, Gilson fu coinvolto – negli anni Trenta – in un altro dibattito molto vivace, circa la validità  del realismo critico sostenuto da molti neoscolastici. Due sono le opere da lui pubblicate in tale contesto, Le rèalisme mèthodique (1936) e Rèalism Thomiste et critique de la connaissance (1939), in cui prende in esame anche le idee di quanti sostenevano che per portare la riflessione scolastica al livello della discussione filosofica moderna fosse necessario assumere la prospettiva gnoseologica del dubbio cartesiano e del criticismo kantiano. Gilson afferma che se si parte dal cogito cartesiano o dal criticismo kantiano non si potrà  mai giungere all’affermazione “le cose esistono in sè”: il realismo scolastico ò tutt’altro che “ingenuo” (come asseriscono alcuni suoi detrattori), ma si tratta di “un realismo consapevole, meditato e voluto, che tuttavia non muove dal problema posto dall’idealismo, poichè i presupposti di questo problema implicano necessariamente l’idealismo stesso come sua soluzione. In altre parole: anche se questa tesi di primo acchito può sorprendere, il realismo scolastico non ò al servizio del problema gnoseologico – piuttosto sarà  vero il contrario -–bensì la realtà  viene vista in esso come indipendente dal pensiero, l”esse’ viene posto come distinto dal ‘percipi’, e questo sulla base di una certa rappresentazione di che cosa sia la filosofia e come condizione della sua stessa possibilità . Questo ò un realismo metodico” (5). Le ricerche di Gilson porteranno ad una complessiva revisione della maggior parte dei manuali di filosofia scolastica circolanti nelle università  cattoliche e nei seminari, anche per eliminare le numerose ingenuità  sul piano della ricostruzione storica che non potevano sfuggire a studiosi che andavano progressivamente maturando una forte sensibilità  di tipo storico-critico, pur mantenendo una costante tensione verso la acquisizione degli elementi teoretici di quella philosophia perennis, di cui Tommaso veniva – comunque – considerato maestro (anche da studiosi storicamente attrezzati come Gilson). In tale impostazione emerge una logica per cui da un lato vi sono dei motivi storici per cui ò in un’epoca piuttosto che in un’altra e in un ambiente culturale piuttosto che in un altro che i filosofi maturano la convinzione della necessità  di appellarsi a determinati principi e giungono – di conseguenza – a determinate conclusioni; dall’altro lato però il valore teoretico di tali principi e la coerenza logica dei ragionamenti che ad essi si appellano, non devono necessariamente venire relegati nel tempo in cui i principi ed i percorsi logici vennero – di fatto – pensati. Fernand Van Steenberghen Su posizioni distinte, rispetto a quelle di Gilson, si collocano altri notevolissimi interpreti del pensiero di Tommaso, con particolare riferimento a Fernand Van Steenberghen, successore di De Wulf alla cattedra di Lovanio. Egli, evidentemente, non nega l’ispirazione cristiana della filosofia medievale, ma critica il concetto di “filosofia cristiana” nella forma indicata da Gilson che sarebbe estraneo alla cultura del periodo: autori come Bonaventura – per esempio – sono in primo luogo teologi, che non elaborano una filosofia autonoma, ma ne usano semplicemente alcuni concetti in funzione della trattazione teologica (in tali autori si può cogliere in senso più proprio una visione “ancillare” della filosofia nei confronti della teologia), mentre ò prerogativa peculiare di Alberto di Colonia e più ancora di Tommaso d’Aquino l’avere organizzato in modo sistematico questa filosofia autonoma ed averne sottolineato l’importanza in rapporto alla teologia. Per questo motivo – afferma Van Steenberghen, che ha scritto un’opera in due volumi su Sigieri di Brabante attraverso le sue opere inedite – Tommaso ò in grado di incontrare sul suo stesso piano (quello di una riflessione filosofica autonoma) sia l’aristotelismo “radicale” di Sigieri, sia i presupposti filosofici utilizzati dai teologi agostiniani, sia una rilettura più attenta della filosofia di Aristotele che passa attraverso l’analisi attenta delle sue opere. àˆ interessante notare come Van Steenberghen da un lato prenda le distanze da alcuni elementi dell’interpretazione storica del pensiero medievale operata da Gilson, ma dall’altro affermi con forza la necessità  di un “neotomismo” che sappia “riscrivere” la filosofia di Tommaso nello stile del nostro tempo e tenendo conto delle istanze proprie del nostro tempo. La filosofia tomista in Italia nella prima metà  del Novecento In Italia un punto di riferimento importante ò costituito, nella prima metà  del XX secolo, dalla nascita della “Rivista di Filosofia Neoscolastica” (1909) e dalla fondazione dell’Università  Cattolica del Sacro Cuore (nel 1921, riconosciuta dallo Stato italiano nel 1924); ricordiamo anche la rivista “Vita e Pensiero” (fondata nel 1914), che si rivolgeva ad un pubblico più ampio, con un largo ventaglio di interessi culturali. Campeggia in questa fioritura di iniziative la figura di Agostino Gemelli (1878-1959) che animò il centro milanese per circa mezzo secolo, muovendo dalla convinzione che una robusta base filosofica fosse il fondamento ineludibile di tutta l’impresa culturale che fioriva attorno al centro milanese. Nel periodo che va dalla fondazione dell’Università  al secondo conflitto mondiale la scena filosofica italiana ò dominata dal neoidealismo di Croce e Gentile, con cui i docenti della Cattolica intrecciano un fitto dibattito. Di particolare rilievo in questo senso ò l’opera di Amato Masnovo (1880-1955) che volse i propri sforzi nella direzione di una ricostruzione rigorosa ed essenziale della metafisica classica, insistendo in modo particolare sul problema del “fondamento” della metafisica stessa, a partire dalla domanda sul fondamento del possibile (il possibile ò pensabile da un’intelligenza finita solo conseguentemente alla conoscenza di ciò che ò attualmente reale). Interessanti sono le conseguenze di tale posizione nel campo della critica della conoscenza: “nell’ordine ideale, cioò dei principi, non vi può essere certezza riflessa senza la coscienza della possibilità  dell’ente. Ora la coscienza della possibilità  dell’ente – nozione semplicissima – non può essere conquistata per analisi: deve essere conquistata attraverso l’esperienza esterna o interna, secondo l’effato ‘ab esse ad posse datur illatio’: dalla realtà  di una cosa si ò autorizzati ad affermare la sua possibilità ” (6). Francesco Olgiati (1886-1962), fondatore della Cattolica assieme a Gemelli, difese la purezza della metafisica classica saldamente ancorata al principio dell’immediatezza e trascendentalità  del suo principio, l’ente. La tesi di fondo su cui si basa la sua difesa del tomismo parte dall’idea che la negazione del valore della prospettiva realista non era – in realtà  â€“ il cuore delle più autentiche acquisizioni del pensiero moderno, ma una conclusione indebita rispetto a premesse di cui era possibile recuperare il valore. I campi in cui la modernità  ha portato i frutti migliori sono – secondo Olgiati – quelli della scienza e della storia, che possono trovare una loro fondazione sintetica ad un livello più profondo proprio nella prospettiva realista, attraverso un recupero della dottrina dell’astrazione, in una visione della riflessione filosofica che pone al centro e al culmine la speculazione metafisica. Panorama complessivo della seconda metà  del Novecento Nella seconda metà  del XX secolo, dopo la guerra, la situazione degli studi tomisti presenta un panorama decisamente interessante: sul piano dell’indagine storica la ricerca ò proseguita in modo non del tutto uniforme, ma continuativo; giungono a conclusione alcune iniziative a lungo termine che erano state intraprese nel periodo tra le due guerre; le grandi edizioni critiche delle opere si arricchiscono di volumi completi, con ritmo lento, ma con una elevatissima qualità  critica. Intorno agli anni ’60 ha inizio un’ondata di ristampe anastatiche di libri ormai rari (soprattutto edizioni della prima età  moderna), tra cui numerosi testi di fonti scolastiche che non costituiscono un vero e proprio progresso nel campo della ricerca, ma consentono una maggiore disponibilità  di testi utili a quegli studi a cui viene così dato un notevolissimo impulso. Sorgono nuovi centri di studi come il “Thomas Institut” (fondato da Josef Koch presso l’Università  di Colonia nel 1950). Sempre nel 1950 iniziano i “congressi medievistici” interdisciplinari, i cui contributi iniziano ad apparire dal 1962 nella collana Miscellanea mediaevalia. Nel 1954 Michael Schmaus fonda – a Monaco – il “Martin Grabmann Institut” e nel 1956 sorge il “Centre De Wulf Mansion” a Lovanio, per la storia della filosofia antica e medievale, dove – nel 1958 – si tiene il primo Congresso Internazionale per la Filosofia Medievale, con la fondazione della SIEPM (Sociètè Internationale pour l’à‰tude de la Philosophie Mèdieèvale) che, a partire dall’anno successivo, inizia a pubblicare un Bulletin, diffuso a livello mondiale. Centri analoghi, con compiti specifici che spaziano per tutto l’arco e le correnti della filosofia medievale, nascono in tutto il mondo, ma volendoci concentrare solo sui centri con un particolare interesse per lo studio di Tommaso d’Aquino sorti nella seconda metà  del XX secolo, dobbiamo ancora citare perlomeno il “Thomas Institut” di Kyoto (Giappone), sorto nel 1955. Di particolare rilievo anche il fatto che Centri di studi operanti nel Medio Oriente (come quelli del Cairo, Beirut e Gerusalemme), particolarmente attivi nell’area delle ricerche sul pensiero arabo del Medioevo, siano ormai stabilmente entrati “in rete” con i centri operanti in Occidente, partecipando abitualmente ai congressi della SIEPM. Lo stesso Istituto di Lovanio si rinnova e si rafforza: nel 1946 la rivista dell’Istituto fu ribattezzata “Revue Philosophique de Louvain”, a sottolineare la fisionomia specifica assunta dalla “scuola di Lovanio” nel corso degli anni; e nel 1951 il re del Belgio organizza celebrazioni “giubilari” in occasione del centenario della nascita del Card. Mercier, istituendo anche una Cattedra a lui intitolata, nel 1956 nasce presso l’Istituto una nuova sezione, ossia il “Centre De Wulf-Mansion, Recherches de philosophie anciènne et mèdièvale – De Wulf-Mansion Centrum. Navorsing over antieke en middeleeuwse filosofie”. Sul piano della ricerca teoretica il panorama muta notevolmente – soprattutto a partire dagli anni del Concilio Vaticano II – rispetto alla prospettiva dell’enciclica Aeterni patris: si registra una generale apertura del pensiero scolastico alla filosofia e più ancora alle scienze moderne e contemporanee, con un progressivo affievolirsi di una prospettiva prevalentemente apologetica che aveva caratterizzato il tomismo del XIX e della prima metà  del XX secolo. Il pensiero moderno viene preso sul serio nei suoi intenti più profondi, accettato come qualcosa di positivo (del resto Tommaso stesso affermava che “omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est”), utile per ripensare ed approfondire la riflessione scolastica che non si limita più a “tramandare” una nobile tradizione (nella logica dell’Aeterni patris), ma si pone il problema di portare un proprio contributo per accrescere il patrimonio comune della riflessione umana, interrogandosi sulle grandi questioni del tempo presente. Erich Przywara Erich Przywara (1889-1972) può essere considerato – in questo senso – un autore che segna una linea di spartiacque: la sua apertura a problemi e pensatori in certo modo “nuovi” dal punto di vista della tradizione neoscolastica, contribuì a creare un clima culturale diverso, all’interno della cultura cattolica di area tedesca. Emblematiche le parole con cui annunciò il proprio programma teoretico in occasione del congresso della Società  Accademica Cattolica a Ulma nel 1923: “Ciò di cui abbiamo bisogno e che quindi oggi ci proponiamo come programma, ò una filosofia dell’equlibrio, un equlibrio non ‘oggi per sempre’, ma piuttosto ‘che procede all’infinito’: la filosofia della polarità , equidistante da una filosofia di inquieti capovolgimenti come da una filosofia della statica medietà , la filosofia della polarità  dinamica” (7). La polarità , come “unità  di tensione”, richiama il senso del mistero, con un’apertura che va oltre una prospettiva riduttivamente immanentistica, senza configurarsi come una fuga immediata in un trascendentalismo ingenuo, ma si caratterizza come ricerca di risposte alle domande che provengono dall’abisso degli opposti. Tra le riflessioni di Przywara che più hanno fatto discutere vi ò indubbiamente la sua lettura del tema – tipicamente tomista – dell’analogia entis, a partire dalle due parti che compongono la parola ana-logia. Il termine logia dice riferimento al nesso tra “Logos” e “leghein” e viene interpretato da Przywara come il “raccogliersi a formare un senso nella parola”; il suffisso ana può a sua volta designare un duplice significato. Da un lato può avere il senso di “conforme a”, dall’altro si confonde in tutte le parole composte con anà´, nel senso di “sopra, su, di nuovo”. Il mondo può in tal modo manifestarsi secondo un duplice ritmo, sul piano dell’ana (dimensione orizzontale) e sul piano dell’ anà´ (dimensione verticale) che si incontrano in quello che sarebbe il “proprium” dell’analogia intesa come “incrocio di coordinate” in una lettura dinamica di una realtà  che si colloca su una pluralità  di piani. Edith Stein Interessantissima in questo senso ò anche Edith Stein (1891-1942) (8), di famiglia ebrea, prima allieva e assistente di Edmund Husserl, poi avvicinatasi al tomismo dopo la conversione al cattolicesimo, ha operato profondi tentativi di sintesi tra la fenomenologia husserliana e la filosofia di Tommaso. Nel 1933 entra nell’Ordine Carmelitano di Colonia, continua i propri studi filosofici, ma non può pubblicare in quanto ebrea. Viene arrestata dalla Gestapo nel 1942 e condotta ad Auschwitz- Birkenau, dove troverà  la morte nella camera a gas. Nel 1950 inizia l’edizione delle sue opere a Bruxelles; nel 1962 viene istruita la causa di beatificazione, il 1° maggio 1987, a Colonia, Giovanni Paolo II ha dichiarato beata la martire Edith Stein. La Stein abbracciò l’impostazione filosofica husserliana in un contesto culturale in cui il dibattito ruotava attorno alla fondazione delle scienze dello spirito di contro alle scienze della natura, ed ella si sentì “corresponsabile” di questa impresa scorgendo il metodo di tali scienze non nella spiegazione causale, ma nella “comprensione che si immedesima” per cui ogni soggetto spirituale afferra “per immedesimazione” gli altri soggetti e si rende presente come “datità ” il loro agire. L’incontro con il pensiero scolastico le fece maturare la convinzione che il suo ruolo culturale dovesse proprio collocarsi in questa area di mediazione tra antico e moderno, attraverso la lettura di Tommaso con le chiavi interpretative della fenomenologia husserliana. Jacques Maritain Una figura del tutto particolare nel panorama del XX secolo ò rappresentata da Jacques Maritain (1882-1973), di cui ò davvero interessante seguire le vicende biografiche (9), e il cui pensiero campeggia nel panorama culturale della rinascita del tomismo per tutta la parte centrale del XX secolo. Dopo la “conversione” dalla prospettiva bergsoniana (che pure aveva avuto un ruolo importantissimo nella formazione della sua personalità  intellettuale e spirituale) Maritain si proclama “un fedele seguace di S. Tommaso d’Aquino” e non propriamente un “tomista”: la sua attenzione principale non ò centrata sull’analisi ed il commento della dottrina di Tommaso, ma si preoccupa di riprendere e ri-esprimere secondo il proprio linguaggio e la propria sensibilità  alcuni temi filosofici (talora centrali in Tommaso, talora più marginali) aventi come principale caratteristica la particolare “attualità ” nel tempo in cui si svolge l’avventura intellettuale di Maritain. I più significativi punti di incontro tra Tommaso e Maritain riguardano il primato dell’esistente (prendendo le distanze dall’intellettualismo razionalistico che pervadeva anche gli studi tomistici del tempo), il ruolo decisivo dell’intuizione intellettuale, la pluralità  dei gradi del sapere in funzione metodologica e per un incontro sapienziale tra le diverse discipline, il rapporto tra individuo e persona, l’elaborazione di un “umanesimo integrale” che possa fungere da modello, da “ideale storico-concreto” per una nuova umanità  ed una nuova cristianità . Se leggiamo tali tematiche sullo sfondo delle vicende storiche con cui si ò intrecciata la vita di Maritain (le due guerre mondiali, i totalitarismi, l’incontro con il pragmatismo edonistico americano, la speranza per una giustizia internazionale fondata sui Diritti Umani, il Concilio Vaticano II), possiamo capire quanto la sua rilettura di Tommaso fosse effettivamente orientata alla ricerca di risposte profonde alle questioni “epocali” dell’umanità . Volendo cogliere – a titolo puramente esemplificativo – alcune suggestioni dai numerosi temi affrontati da Maritain, ci soffermiamo sulla sua idea di un Umanesimo integrale (opera pubblicata nel 1936), in cui – di fronte al volto drammatico dei diversi totalitarismi – si propone una visione della società  che ha al centro un ideale con due punti di riferimento, espressi dalle parole del titolo: un “umanesimo”, perchè l’uomo – la persona umana – deve essre posta al centro dell’organizzazione etico-politica della vita singola e associata; “integrale”, perchè integrato (nel senso di completato) da un’apertura alla trascendenza di Dio, contro le varie forme di “umanesimo riduzionistico” che di fatto costituivano il fondamento teorico dei totalitarismi del tempo. Nel testo, pubblicato nel 1932, Distinguer pour unir: ou Les degrès du savoir, Maritain offre in qualche modo i fondamenti della sua rilettura di Tommaso nella cultura del proprio tempo, in dialogo con il sapere scientifico che – a sua volta – si colloca entro un orizzonte sapienziale più ampio: “Il filo conduttore ci ò fornito dalla dottrina dei tre gradi di astrazione, o dei tre gradi secondo cui le cose offrono allo spirito la possibilità  di cogliere in esse un oggetto più o meno astratto e immateriale, quanto all’intelligibilità  stessa che discende dalle premesse alle conclusioni e, in ultima analisi, quanto al modo di definire. Lo spirito può considerare oggetti astratti e purificati solamente dalla materia, in quanto ò fondamento della diversità  degli individui in seno alla specie, in quanto, cioò, ò principio di individuazione; l’oggetto resta, così, e anche in quanto presentato all’intelligenza, impregnato di tutte le note derivanti dalla materia, eccettuate solamente le particolarità  contingenti e strettamente individuali che la scienza trascura. (… ) Oppure lo spirito può considerare degli oggetti astratti e purificati dalla materia in quanto essa, in generale, fonda le proprietà  sensibili, attive e passive, dei corpi. Allora lo spirito considera soltanto una proprietà  che isola dai corpi – quella che resta quando tutto il sensibile ò caduto – la quantità , numero ed estensione considerati in sè: oggetto di pensiero che non può esistere senza la materia sensibile, ma che può essere concepito senza di essa (… ). Infine lo spirito può considerare oggetti astratti e purificati da ogni materia, non conservando nelle cose altro che l’essere stesso di cui sono penetrate, l’essere in quanto tale e le sue leggi: oggetti di pensiero che non soltanto possono essere concepiti senza materia, ma che anche possono esistere senza di essa, sia che non abbiano mai l’esistenza nella materia, come Dio e i puri spiriti, sia che la loro esistenza si dia nelle cose tanto materiali quanto immateriali, come la sostanza, la qualità , l’atto e la potenza, la bellezza, la bontà , ecc. (… ) Per precisare, notiamo che, poichè tutti i nostri concetti si risolvono nell’essere, che ò il primo oggetto raggiunto (in confuso) dall’apprensione intellettuale, i concetti della METAFISICA si risolvono nell’essere come tale, ens ut sic, quelli della MATEMATICA in quella sorta d’essere (isolato dal reale) che ò la quantità  ideale, quelli della FISICA nell’essere mobile o sensibile, ens sensibile. Ma per la filosofia della natura, bisognerà , in questa espressione ens sensibile, mettere l’accento su ens: scienza esplicativa, essa rivela la natura e le ragion d’essere del suo oggetto. (… ) Per la scienza empirica della natura, invece, quando diciamo ens sensibile, essere sensibile, non sarà  su ens, bensì su sensibile che bisognerà  porre l’accento” (10). Tra gli altri temi centrali del pensiero di Maritain segnaliamo ancora la distinzione tra individuo e persona, che rappresenta un’originale rielaborazione di temi tomisti e viene espressa con chiarezza nell’opera del 1925 Trois rèformateurs: Luther, Descartes, Rousseau, in un percorso che tende a rinvenire le radici dell’individualismo moderno, in cui si assiste ad un’esaltazione dell’individualità  “camuffata da persona” e – conseguentemente – ad un impoverimento della nozione autentica di persona (che, come dice Tommaso, ò “nome che esprime una dignità “, porta l’impronta del divino, un mondo di valori spirituali e morali, si configura come una singolarità  ineffabile e inviolabile). Il tema forse più caro alla speculazione maritainiana ò la proposta di un Umanesimo integrale, capace di reagire alla “tragedia dell’umanesimo contemporaneo” che si configura come un “umanesimo inumano”, avendo perso il riferimento alla dimensione metafisica della persona umana, che la colloca all’interno di un quadro di valori che ha Dio al vertice. Un cenno meritano anche le opere educative di Maritain (11), in cui egli riprende la concezione educativa di Tommaso, sia per quanto esplicitamente scriveva l’Aquinate nel De Magistro, sia rintracciando nell’antropologia tomista i fondamenti di una filosofia dell’educazione capace di resistere alle opposte tentazioni del totalitarismo e del pragmatismo: “Il compito principale dell’ educazione ò soprattutto quello di formare l’uomo, o piuttosto di guidare lo sviluppo dinamico per mezzo del quale l’uomo forma se stesso ad essere un uomo. Questa ò la ragione per cui avrei potuto adottare come titolo: l’educazione dell’uomo. (… ) L’educazione ò un’arte, un’arte particolarmente difficile. Tuttavia essa appartiene per la sua natura stessa alla sfera della morale e della sapienza pratica. L’educazione ò un’arte morale (o piuttosto una sapienza pratica in cui ò incorporata una determinata arte). Ora ogni arte ò una spinta dinamica verso un oggetto da realizzare che ò lo scopo dell’arte stessa. Non c’ò arte senza finalità ; la vitalità  stessa dell’arte consiste nell’energia con cui tende al suo fine, senza fermarsi a nessuno stadio intermedio” (12). L’Università  Cattolica di Milano L’opera dei grandi maestri dell’Università  Cattolica di Milano che hanno operato nella prima metà  del secolo ò stata ereditata da Gustavo Bontadini (1903-1990) e Sofia Vanni Rovighi (1908-1990). Bontadini amava definirsi come “un metafisico radicato nel cuore del pensiero moderno” ed ò proprio l’attenta lettura di molte opere di impostazione idealistica che lo porta ad affermare quella che egli considera la “verità  metodologica” dell’idealismo: il primato metodologico della coscienza quale orizzonte per poter parlare dell’essere costituisce il guadagno speculativo dell’età  cartesiana, ma proprio all’interno di tale guadagno si insinua l’affermazione aporetica che considera l’essere come “altro” dalla coscienza, ciò di cui si dovrebbe “provare” la corrispondenza con quanto ò dato nella conoscenza sensibile o intellettiva; l’idealismo sopprime questa aporia (il dilemma del “ponte” per passare dalla coscienza all’essere), rimanendo però nell’orizzonte del “cogito”, riaffermando l’originaria identità  del pensiero con l’essere (in una sorta di ritorno a Parmenide). La prospettiva di Bontadini cerca a sua volta di cogliere – come si ò detto – la “verità  profonda” del superamento idealistico dell’aporia cartesiana, recuperando una prospettiva metafisica che egli chiama “neoclassica”: “la metafisica neoclassica conserva la verità  dell’idealismo (l’intrascendibilità  del pensiero come organo dell’interno, come orizzonte assoluto… ) e la perfezione inserendovi l’impianto problematico, la struttura della mediazione dell’esperienza: in una parola l’esatta – rigorosa! – metodica e non generica posizione dell’antinomia di trascendenza e immanenza, per cui si parlerà  di trascendere – se mai sia possibile – l’esperienza nell’orbita del pensiero!” (13). Il principio o “cominciamento” della filosofia ò, secondo quanto affermava lo stesso Tommaso, l’ente (ciò che per primo l’intelletto concepisce) a cui Bontadini applica quello che egli stesso chiama “Principio di Parmenide”, riformulato in termini non-monisti: “la constatazione del divenire, da un lato, e la denuncia della sua contraddittorietà , dall’altro. Due protocolli che fanno capo rispettivamente, ai due piloni del fondamento: l’esperienza e il principio di non contraddizione (primo principio). I due protocolli sono tra loro in contraddizione, e tuttavia godono entrambi del titolo di verità … sono verità , però, che in quanto prese nell’antinomia (antinomia dell’esperienza e del logo) si trovano a dover lottare contro un’imputazione di falsità . Giacchè l’esperienza oppugna la verità  del logo e il logo quella dell’esperienza” (14). Cornelio Fabro Da istanze simili muove l’opera di Cornelio Fabro (1911- 1995) che ha dedicato gran parte della propria attività  al tentativo di riscoprire un tomismo autentico, liberandolo dall’essenzialismo sistematico della tradizione greco-scolastica e dal soggettivismo immanentistico del pensiero moderno, per farne emergere i tratti caratteristici di filosofia dell’essere e della libertà . Principio o “cominciamento” del pensiero ò proprio l’ens, l’ente, inteso come “trascendentale fondante” ogni possibile conoscenza concettuale. Oltre ai suoi contributi fondamentali nel campo dei fondamenti della metafisica, ci preme segnalare di Fabro le sue riflessioni sull’uomo e la libertà : all’umanesimo senza fondamento del pensiero moderno, la speculazione tomistica oppone l’idea che l’esse ò implicato nella stessa struttura costitutiva della persona ed ò questo il modo più alto di celebrare la dignità  dell’uomo. Ogni uomo, in quanto essere spirituale, ò un soggetto libero e intelligente e lo spirito umano risulta come costituito – nell’ordine etico- esistenziale – da una “libertà  assoluta per partecipazione”, la quale, ben lungi dal disperdersi in una cieca indifferenza rispetto agli oggetti da scegliere, si configura come facoltà  autenticamente umana proprio in quanto capace di tendere a Dio come Sommo Bene. Josef Pieper Il contributo di Josef Pieper (1904 – 1997) muove a partire dalle aspre critiche che gli ambienti esistenzialisti (con particolare riferimento a Heidegger e Jaspers) hanno rivolto contro l’idea di una “filosofia cristiana” che Heidegger dipingeva come una sorta di “ferro di legno”, una contraddizione in termini. Pieper sottolinea – sulla scorta del pensiero di Tommaso – come il domandare proprio della filosofia si configuri come una ricerca reale di una risposta: “Nonostante si sappia che alla fine sta l’incomprensibile, essere alla ricerca di una risposta e tenersi aperti per essa; mentre per Heidegger ‘domandare’ sembra piuttosto significare: rifiutare in linea di principio qualsiasi possibile risposta, e chiudersi di fronte ad essa (perchè essa, di fatto, intaccherebbe il carattere di domanda della filosofia)” (15). Nella filosofia di Pieper si può riscontrare un’indubbia centralità  del problema antropologico, che si dipana in tre filoni essenziali: 1) l’uomo deve lottare per vivere da uomo; 2) l’uomo deve rapportarsi con la realtà  (non ò l’uomo la misura dell’essere, ma l’essere ò misura dell’uomo); 3) l’uomo ha come fine supremo Dio e realizza pienamente la propria umanità  nella misura in cui partecipa di Dio, conosciuto nell’amore. L’attualità  del tomismo, per Pieper, non risiede tanto nel fatto che esso offra alla modernità  ciò che essa esplicitamente chiede, ma ciò di cui ha profondamente bisogno, come risposta ai propri problemi irrisolti. Pieper ha costruito una sintesi originale, che assimila in un impianto autenticamente tomistico elmenti platonici, neoplatonici, agostiniani e aristotelici: fossilizzarsi nella pura ripetizione di tesi tomistiche sarebbe decisamente “anti-tomistico”. Il tomismo infatti – secondo Pieper – unisce alla capacità  di cogliere i valori trascendentali e i principi metafisici della realtà , la consapevolezza del limite di ogni conoscenza umana, superando tentazioni storiciste o relativistiche; esso esclude altresì prospettive come quelle hegeliana e marxista che pretendono di possedere la chiave di lettura dell’Assoluto che si realizza nella storia. In conclusione di un saggio sulla questione della verità , Pieper scrive che “giammai l’uomo comprenderà  â€“ ossia conoscerà  fino in fondo – la natura delle cose. E mai saprà  misurare la totalità  dell’universo. (… ) La conoscenza dell’essenza delle cose e la conoscenza della totalità  delle cose, ò stata concessa all’uomo ‘come speranza futura’. Ciò significa: ogni sforzo conoscitivo sarà  sì un positivo progresso, e non sarà  per principio inutile; ma avrà  anche sempre come risultato un nuovo non-ancora. (… ) L’uomo ò capax universi (e a tal punto che lo stesso universo, proprio perchè non ò ‘tutto’, non riesce a saziarlo). (… ) Perchè l’uomo ò situato nel centro di un mondo che al di là  di quanto ò da noi via via conosciuto tiene sempre pronto l’imprevedibile; perchè egli ò un essere che vive al cospetto della totalità  delle cose esistenti e la cui interiore sconfinatezza non ò che la risposta alla inesauribile immensità  del suo mondo. Questo mondo a sua volta risponde – questa ò la sua natura – al verbo creatore dell’intelligenza divina, nella cui ‘arte’ gli archetipi del mondo sono vita. Poichè l’universo delle cose esistenti ‘ò posto fra due intelletti’, il divino e l’umano. E il ciò, come ben sa la tradizione metafisica occidentale, si fonda la verità  delle cose” (16). Note (1) L’Accademia tomistica di Bologna fu fondata nel 1853 da Marcellino Venturoli, da Francesco Battaglini Ufuturo cardinale di Bologna, da Giambattista Corsoni e Achille Sassoli Tomba, per citare solo i principali. (2) Possiamo anzi affermare che il “tomismo imposto per decreto” che caratterizza il pontificato di Pio X e si traduce nella pubblicazione, il 27 luglio 1914, delle 24 tesi tomiste, redatte dal p. Guido Mattiussi (successore di Billot alla Gregoriana) per conto della Congregazione degli Studi non ha certamente giovato al progresso dell’autentica riflessione filosofica genuinamente ispirata a Tommaso. Si trattava di un tomismo semplificato, coartato in formule riduttive, ben lontano dall’autentica tensione filosofica che caratterizzava gli scritti dell’Aquinate. (3) A. D. Sertillanges, Le Thomisme, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all’eredità  scolastica, Città  nuova, Roma 1994, p. 570. (4) Può essere utile citare un passaggio cruciale dell’opera del nostro autore: “Il contenuto della filosofia cristiana ò dunque il corpo delle verità  razionali che sono state scoperte, approfondite, o semplicemente salvaguardate, grazie all’aiuto che la rivelazione ha apportato alla ragione. Se questa filosofia sia realmente esistita, o se essa non sia che un mito, ò una questione di fatto che noi chiederemo alla storia di risolvere. (… ) Il filosofo cristiano si domanda semplicemente, se tra le proposizioni ch’egli crede vere, ce ne sia un certo numero che la sua ragione potrebbe saper vere. Finchè il credente fonda le sue asserzioni sulla persuasione intima, che la sua fede gli conferisce, egli rimane un puro credente e non ò ancora entrato nel dominio della filosofia; ma dal momento in cui egli trova nel numero delle sue credenze alcune verità  che possono divenire oggetto di scienza, egli diventa filosofo, e se deve questi nuovi lumi filosofici alla fede cristiana, diventa un filosofo cristiano” [E. Gilson, Lo spirito della filosofia Medievale, trad. it. ed. Morcelliana, Brescia 1983, pag. 42]. (5) E. Gilson, Le rèalisme, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all’eredità  scolastica, Città  nuova, Roma 1994, p. 618. (6) Amato Masnovo, Gnoseologia e metafisica, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all’eredità  scolastica, Città  nuova, Roma 1994, p. 772. (7) Cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all’eredità  scolastica, Città  nuova, Roma 1994, p. 660. (8) Ci siamo permessi di collocare la figura di Edith Stein nella seconda metà  del XX secolo, a dispetto delle coordinate anagrafiche in cui appare evidente la prematura morte nel 1942, perchè – oltre ad essere contemporanea di altri intellettuali come Przywara (che ella conobbe personalmente e dal cui pensiero fu profondamente stimolata) e Maritain, il fatto che le sue opere non potessero essere pubblicate durante gli anni del totalitarismo nazista, ha portato ad una circolazione delle sue idee (quindi ad un suo influsso reale sulla storia del pensiero) solo nella seconda metà  del secolo. (9) Nato a Parigi nel 1882 in una famiglia di tradizioni repubblicane e di fede protestante, studiò filosofia alla Sorbona (in un clima di relativismo e scetticismo, mentre la cultura era dominata dalla tradizione positivista), visse in modo travagliato la propria esperienza religiosa, frequentò ambienti socialisti (dove conobbe Raissa, sua futura consorte, a sua volta atea, ma figlia di pii ebrei russi), finchè non ebbe modo di ascoltare le lezioni di Bergson che fecero rinascere – in lui e molti altri – la fiducia nella verità , nella vita, negli alti ideali. Nel 1904 vi ò l’incontro con Lèon Bloy, da cui nasce un’intensa amicizia ed un profondo dibattito interiore che porta i coniugi Maritain (nel 1906) al battesimo cattolico. Maritain ò ancora vicino al bergsonismo, finchè l’incontro con il p. Clèrissac lo introduce allo studio di S. Tommaso. La sua riflessione “tomista” inizia negli anni del primo conflitto mondiale (dove perdono la vita molti suoi cari amici) e prosegue nel periodo fra le due guerre, finchè – nel 1940 – non ò costretto a trasferirsi in America per sfuggire alla persecuzione nazista. Insegna a Princeton ed alla Columbia University. Torna a Parigi nel 1960, anno in cui muore l’amata consorte Raissa. Maritain si stabilisce presso i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, a Tolosa, di cui entrerà  a far parte nel 1970. Morirà  nel 1973, più che novantenne. (10) Jacques Maritain, Distinguere per unire: i gradi del sapere, tr. it. Morcelliana, Brescia 1974, pp. 58-61. (11) Si tratta di due opere pubblicate negli anni del secondo conflitto mondiale, durante la permanenza di Maritain negli Stati Uniti: L’educazione al bivio (tit. originale: Education at the Crossroads, Yale University Press, New Haven 1943; ed. francese: L’èducation à  la croisèe des chemins, Egloff, Paris 1947), ed. it. a cura di A. Agazzi, La Scuola, Brescia 1963; e L’educazione della persona (tit. originale: Pour une philosophie de l’èducation, Librairie Fayard, Paris 1959), tr. it. di P. Viotto, La Scuola, Brescia 1962. (12) Jacques Maritain, L’educazione al bivio, cit., pp. 14-15. (13) Gustavo Bontadini, Conversazioni di metafisica, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all’eredità  scolastica, Città  nuova, Roma 1994, p. 805. (14) Gustavo Bontadini, Metafisica e de-ellenizzazione, cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all’eredità  scolastica, Città  nuova, Roma 1994, p. 806. (15) Josef Pieper, Verteidigungsrede fà¼r die Philosophie (Monaco, 1966), cit. in Aa. Vv., La filosofia cristiana nei secoli XIX e XX, II. Ritorno all’eredità  scolastica, Città  nuova, Roma 1994, p. 760. (16) Josef Pieper, Verità  delle cose. Un’indagine sull’antropologia del Medio Evo (tit. orig. Wahrheit der Dinge. Eine Untersuchung zur Anthropologhie des Hocmittelaters, Monaco 1944, IV ed. 1966), tr. it. di L. Frattini, Massimo, Milano 1981, pp. 117-123, passim.

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