Virgilio: vita e opere - Studentville

Virgilio: vita e opere

Vita e opere del poeta Virgilio

Publio Virgilio Marone nacque ad Andes, presso Mantova, nel 70 a.C. Studiò grammatica a Verona, retorica a Milano e a Roma, e filosofia a Napoli. Dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.) le sue proprietà furono spartite tra i soldati di Antonio e Ottaviano. L’avvenimento segnò l’animo del poeta, che espresse il suo dolore nelle bucoliche I e IX. Nel 38 a.C. entrò nel circolo di Mecenate. Nel 19 a.C. si recò in Grecia per ultimare l’Eneide ed intraprendere studi filosofici, ma si ammalò e morì nello stesso anno. Fu sepolto a Napoli.

Ricordato soprattutto per l’Eneide, tratteremo qui delle sue altre opere.

Le Bucoliche

Le dieci bucoliche (dette “ecloghe”, componimenti scelti) costituiscono la prima opera che può essere attribuita con certezza a Virgilio. Furono composte tra il 42 e il 39 a.C., in esametri. “Bucoliche” deriva dal greco bukóloj (pastore), dunque significa “canti di pastori”. Esse riprendono quel genere letterario di argomento pastorale iniziato dal poeta greco Teocrito.

I bucolica: è un dialogo tra due pastori, Titiro e Melibeo, quest’ultimo costretto ad abbandonare la patria a causa della distribuzione di terre della Gallia Cisalpina ai veterani degli eserciti di Ottaviano e Antonio. Titiro invece, grazie a un deus (Ottaviano), ha potuto conservare il suo piccolo campo. Titiro riflette la persona stessa di Virgilio, che con l’intervento di Ottaviano è riuscito a riavere i propri possedimenti. Nella bucolica vi è il contrasto tra la felicità di Titiro, che celebra il suo protettore, e la tragedia di Melibeo.

II bucolica: nel caldo pomeridiano, il pastore Coridone effonde il suo vano canto d’amore, fino al sopraggiungere della sera. Modello è il canto d’amore di Polifemo per Galatea, contenuto negli Idilli VI e XI di Teocrito.

III bucolica: è una gara di canto amebeo (a botta e risposta) tra i pastori Dameta e Menalca. I pastori cantano l’amore e i suoi pericoli, il timore delle sue dolcezze e l’esperienza della sua amarezza.

IV bucolica: è un canto per la nascita del figlio di Pollione, artefice della pace stipulata a Brindisi tra Ottaviano e Antonio nel 40 a.C. Si inaugura un nuovo periodo di pace, e il puer celebrato nella bucolica ne diviene il simbolo. Sembra che ci siano influenze del messianismo ebraico. Nel Medioevo la bucolica fu ritenuta profetica, poiché preannunciava la nascita di Cristo. Nella bucolica traspaiono le ansie di un’epoca stanca delle guerre, che desidera un mondo nuovo. Il tutto si risolve, in un tono favoloso, nel sorriso di un bambino.
V bucolica: due pastori, Menalca e Mopso, celebrano il compianto per la morte e l’apoteosi del mitico pastore Dafni. Nella bucolica vi sono echi della morte e divinizzazione di Cesare.

VI bucolica: il vecchio Sileno viene legato con ghirlande da giovinetti, e la ninfa Egle gli tinge le tempie e la fronte con more. Sileno canta l’origine del mondo, miti antichi, amori anomali e sfortunati. Virgilio immerge in un’aura favolosa la nascita del mondo cantata da Lucrezio.

VII bucolica: è una gara poetica tra Coridone e Tirsi. Vi sono due tonalità di canto, una dolce e una aspra.

VIII bucolica: alle prime luci dell’alba, due pastori intonano il loro canto; Damone canta il lamento dell’amante innamorato, e Alfesibeo canta l’incantesimo di una donna che vuole che l’amato Dafni ritorni da lei.

IX bucolica: sulla strada che conduce a Mantova, Licida incontra Meri, che porta capretti al nuovo padrone. A nulla è valsa la bellezza dei canti del suo primo padrone, Menalca, per salvare i propri terreni. Licida e Meri ricordano alcuni dei canti di Menalca. In questa bucolica vi è il rimpianto della terra perduta, probabilmente dello stesso Virgilio, dopo le espropriazioni a favore dei veterani. Il canto, che non ha il potere di salvare niente, ha tuttavia il potere di consolare l’animo.

X bucolica: è dedicata all’amico Cornelio Gallo, che si strugge di dolore per l’abbandono della sua amata Licoride. La natura, gli animali e gli amici invano cercano di consolarlo, ma Gallo dimentica per poco tempo le pene d’amore solamente guardando il paesaggio bucolico e fantasticando su una vita pastorale.
Dalle bucoliche traspare il gusto per le penombre del poeta, della poesia rasserenatrice. C’è il mondo della storia, con le sue tragedie e delusioni, proiettato in un’atmosfera idilliaca, e vi è il ricordo della poesia di Lucrezio. Queste diverse note non stonano tra di loro, ma si risolvono in un canto, in mito e fantasia.
Virgilio ha come modello Teocrito, ma per alcuni aspetti se ne distacca. La poesia teocritea non presenta echi storici, e mentre i pastori di Virgilio sono malinconici, quelli di Teocrito sono descritti con tocchi ironici. Diversa, ancora, è la natura: il paesaggio teocriteo è quello siciliano, carico di colori e fragranze; quello di Virgilio è padano, desiderato e ridotto a poche pennellate. La differenza maggiore tra Virgilio e Teocrito risiede nei toni: il realismo saporoso teocriteo, contro la serietà raccolta di Virgilio.
Il linguaggio delle Bucoliche è elegante, denso di echi e suggestioni, con il gusto delle raffinatezze formali tipico dell’alessandrinismo.

Le Georgiche

Nelle Georgiche domina la vita dei campi, luogo di duro lavoro. Le Georgiche, “il poema dell’agricoltura”, sono in quattro libri di esametri, e furono composte a Napoli tra il 37 e il 30 a.C. Esse erano in sintonia con la politica di restaurazione morale e di ritorno alla terra portata avanti da Ottaviano. L’esaltazione della campagna qui si pone come vero valore morale.

I libro: si apre con la dedica a Mecenate, l’invocazione alle divinità agresti e ad Ottaviano divinizzato. Parla del lavoro dei campi e delle condizioni atmosferiche. Si conclude con la speranza che Ottaviano possa salvare il mondo dalla guerra civile.

II libro: parla delle colture arboree, in particolare la vite. Viene esaltata l’Italia.

III libro: parla dell’allevamento del bestiame, e delle frenesie d’amore ed epidemie che non risparmiano nemmeno gli animali.

IV libro: parla dell’esemplare organizzazione delle api, e vi è una parentesi sui giardini. Vi è raccontata poi la favola di Aristeo, il pastore che aveva chiesto al dio marino Proteo il motivo della morte delle sue api. Proteo gli aveva rivelato che ciò era una punizione, poiché Aristeo aveva causato la morte di Euridice, l’amata di Orfeo. Aristeo avrà un nuovo sciame dalla bugonia, la nascita di api nei corpi putrefatti dei buoi.
Nelle Georgiche Virgilio umanizza la natura: gli alberi sembrano avere la vita degli uomini, gli animali soffrono d’amore come gli esseri umani. Rispetto alle Bucoliche, la descrizione del paesaggio qui diviene più concreta: all’uomo che sogna si sostituisce l’uomo che soffre lavorando la terra.
Tra le fonti abbiamo i trattati sull’agricoltura di Catone e Varrone, e i poemi didascalici alessandrini. Lo stile è mobile, vario, ricco di echi e di allusioni di varia dottrina.
I due modelli principali delle Georgiche sono Esiodo e Lucrezio. Dalle Opere e i Giorni di Esiodo, Virgilio riprende l’ideale del lavoro inteso come mezzo di elevazione morale. Da Lucrezio Virgilio riprende la struttura, i proemi, i finali, le digressioni, gli squarci di natura, la furia d’amore e le epidemie.
Nel quarto libro, viene raccontato il mito di Orfeo ed Euridice inquadrato nella descrizione delle api. Le api, nell’Orfismo, rappresentano le anime degli iniziati, e insieme ad Orfeo simboleggiano la sopravvivenza dell’anima. La morte è vinta dalla poesia di Orfeo, dunque le Georgiche si chiudono con la celebrazione del potere immortale della poesia.

Appendix Vergiliana

L’Appendix vergiliana è una raccolta di poemetti tramandati sotto il nome di Virgilio. Si è discusso a lungo sulla sua autenticità, e secondo alcuni studiosi si tratta di opere giovanili del poeta. Ricordiamo:

Catalepton: raccolta di 15 brevi poesie di vario metro;

Dirae: imprecazioni in esametri di un contadino per la perdita del suo campo;

Lydia: un contadino lamenta la lontananza della donna amata;

Ciris: poemetto mitologico, in cui si narra la passione di Scilla che tradì il padre Niso, re di Megara, per il re di Creta Minosse;

Culex: è un poemetto in esametri; narra di un pastore che si addormenta sotto un albero, e mentre un serpente sta per morderlo, una zanzara lo punge e, svegliandolo, lo salva. Il pastore la schiaccia, e la zanzara gli appare in sogno descrivendogli l’oltretomba e chiedendogli una sepoltura;

L’Aetna: è un poemetto sui fenomeni vulcanici;

Copa: un poemetto in distici elegiaci;

Moretum: un poemetto in cui il contadino Similo, prima di recarsi al lavoro, si prepara una focaccia rustica, il moretum.

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