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Vita

Vita e opere.

Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano, in provincia di Trapani, il 29 maggio 1875, da Teresa Curti e da Giovanni Gentile. Dopo aver trascorso la sua infanzia a Campobello di Mazara, dove la famiglia si era trasferita, frequentò il liceo Ximenes a Trapani. Durante l’ ultimo anno, su suggerimento del suo professore di greco, Gaetano Rota Rossi, decise di partecipare al concorso per quattro posti d’interno alla Scuola Normale Superiore di Pisa, con tema su “La poesia civile del Parini e dell’Alfieri”; dopo essere stato ammesso si iscrisse alla facoltà  di Lettere e di Filosofia. L’esperienza presso l’ateneo pisano influirà  in maniera determinante sul suo pensiero e sulle sue scelte culturali e politiche. La Scuola Superiore di Pisa infatti, oltre ad essere l’istituto scientifico più prestigioso del regno, aveva avviato uno studio filologico e storico sulla letteratura italiana nonchè sul ruolo del pensiero italiano all’interno della filosofia europea; quest’impostazione era in linea con l’esigenza post unitaria di cercare di rintracciare storicamente, e fondare, l’unità  della penisola non solo dal punto di vista politico, ma anche culturale e spirituale. Gentile fece sua questa preoccupazione e cercò, in particolar modo nelle opere storiche, di meglio definire e ricostruire la storia spirituale d’Italia con frequenti richiami alla continuità  storica e politica con il Risorgimento. Sotto l’insegnamento storico di Alessandro D’Ancona e filosofico di Donato Jaia, Gentile iniziò a pubblicare i suoi primi articoli; l’influenza dei due professori fu antitetica: mentre il primo, pisano, seguace del metodo storico, veniva dalla storiografia positivista e da ambienti liberali, il secondo, siciliano come Gentile, era un hegeliano seguace di Spaventa e come quest’ultimo aveva frequentato il seminario ma aveva rinunciato al sacerdozio. Queste due personalità  costituirono, nello svolgimento del pensiero filosofico di Gentile, due esigenze diverse ma allo stesso tempo conciliabili: l’attenzione filologica per i documenti e per i testi, e per l’interpretazione spaventiana della filosofia di Hegel. Oltre all’influenza esercitata dai suoi due maestri, fu determinante negli anni trascorsi a Pisa, l’incontro con Benedetto Croce. Il loro carteggio, che rappresenta uno dei documenti centrali per la ricostruzione storica della cultura italiana del periodo, iniziò nel 1896 e si protrasse fino all’adesione di Gentile al partito fascista nel 1923. La discussione tra i due si svolse all’inizio su argomenti storici e letterari; in seguito, l’argomento principe divenne la filosofia, avendo Gentile deciso, sotto la spinta di Jaia, di laurearsi in filosofia. Col passare del tempo l’amicizia tra i due si rafforzò fino a diventare cruciale per la formazione e lo sviluppo del pensiero di entrambi, e per la carriera accademica di Gentile, dal momento che questi, al contrario di Croce, non aveva a disposizione una base economica tale da esentarlo dall’insegnamento (funzione peraltro che Gentile sentì come una missione). La base della discussione con Croce fu l’idealismo, che accomunò per un verso i due filosofi ma che al tempo stesso li divise a causa di alcune divergenze, sempre attenuate in nome della loro amicizia, eppure sempre latenti, che saranno il motivo della loro separazione. I due combatterono insieme la stessa guerra, contro il positivismo e le degenerazioni dell’università  italiana; il loro scopo fu quello di costituire un polo filosofico crescente, per dimensioni e qualità , all’interno della cultura italiana. Fondarono una rivista, La Critica nel 1903, e lavorarono incessantemente alla creazione di nuove collane editoriali e alla pubblicazione delle loro rispettive opere. Dopo la laurea a Pisa, e un corso di perfezionamento a Firenze, Gentile iniziò la sua carriera di insegnante, ottenendo una cattedra a Campobasso, al liceo Mario Pagano. La sua aspirazione però fu, sin dall’inizio, quella di ottenere una cattedra universitaria; dopo una serie di tentativi andanti a vuoto e sconfitte in altrettanti concorsi, Gentile riuscì ad ottenere una cattedra di storia della filosofia all’Università  di Palermo nel 1906. Malgrado ambisse ad una cattedra a Napoli, per la vicinanza con Croce e con gli ambienti culturali napoletani (ben più vivi di quelli siciliani), l’esperienza e l’insegnamento a Palermo furono per lui determinanti. Nella città  siciliana, infatti, cominciò a crearsi intorno alla sua cattedra e agli incontri del circolo culturale di Giuseppe Pojero, quella scuola di allievi che contribuirono non poco alla diffusione dell’idealismo attuale, della sua filosofia che si arricchì in quegli anni di testi importanti: tra questi L’atto del pensare come atto puro del 1912 che ne costituirà  il manifesto, e La riforma della dialettica hegeliana del 1913, che sarà  la base dell’opera sistematica dal titolo La teoria generale dello spirito come atto puro del 1916, una sintesi delle speculazioni che Gentile sviluppò lungo la serie di testi, discorsi e polemiche su argomenti filosofici trattati nei primi anni della sua carriera universitaria, prima a Palermo e poi a Pisa, e che ò la prima vera sistemazione dei suoi principi (e a cui farà  seguito il Sistema di logica come teoria del conoscere del 1917, la sua opera più voluminosa e complessa). L’insegnamento, oltre ad offrirgli la possibilità  di continuare i suoi studi e sostentare la sua numerosa famiglia, gli diede quella di toccare con mano il disagio della scuola italiana, che sin dall’inizio, aveva giudicato non adatta a contribuire alla fortificazione dell’unità  nazionale e delle sue basi culturali, e incapace di formare una nuova classe dirigente che traghettasse il paese verso una sorte migliore del degrado politico e spirituale in cui, ai suoi occhi, versava. Gentile sentì sempre come una vera e propria missione il suo ruolo di insegnante ed educatore; la sua pedagogia, che ò essenzialmente filosofica non può essere staccata nè dal suo sistema filosofico, nè dal suo progetto di riforma della scuola che attuò nel 1923-24, quand’era ministro della Pubblica Istruzione, e che dai primi due discende. L’influenza di Gentile sulla cultura italiana, accresciutasi nel tempo per merito delle sue pubblicazioni, delle iniziative insieme a Benedetto Croce, e della produzione della sua scuola filosofica, si estese anche grazie ai tanti incarichi che ebbe modo di ricoprire. La sua adesione al fascismo del 1923, se da un lato costituì la molla della rottura con Benedetto Croce (rapporto peraltro già  incrinato da una polemica apparsa sulla Voce dieci anni prima) e gli comportò molte inimicizie (anche all’interno dello stesso partito fascista), dall’altro gli diede la possibilità  di accrescere ulteriormente la sua influenza sulla cultura italiana, grazie anche ad alcune importanti iniziative editoriali: tra queste la più importante, per il peso che ricoprì e che ricopre tutt’ora, ò senza dubbio L’Enciclopedia Italiana, alla cui composizione collaborarono anche molti intellettuali antifascisti, meno però di quanti Gentile avesse auspicato. Nel suo disegno questa opera in volumi doveva costituire un monumento all’unità  e alla concordia della cultura italiana, a cui dovevano contribuire tutti gli studiosi, di qualsiasi credo politico. La situazione storica e politica non lo permise e Gentile dovette subire diverse sconfitte: la più bruciante fu la firma del Concordato tra la Chiesa Cattolica e lo Stato italiano nel 1929. Benchè Gentile considerasse il cattolicesimo come la forma storica della spiritualità  italiana, il Concordato contraddiceva al suo disegno di uno Stato etico garante di una sorta di unità  divina tra gli appartenenti, che negava perciò ogni Dio indipendente dallo Stato. La sua fedeltà  al partito fascista, in cui vide sempre l’espressione del moto risorgimentale di unità  nazionale, lo portò ad aderire nel 1943 alla Repubblica Sociale Italiana; benchè ormai confinato dallo stesso regime ad un ruolo politico pressochè nullo, questo non gli evitò di essere ucciso il 15 aprile del 1944 sulla soglia della sua abitazione a Firenze: fu trucidato barbaramente da un gruppo di partigiani, che non ebbero alcun rispetto per l’anziano e dotto pensatore; l’importante era per loro, travolti da una furia barbara, eliminare ogni fascista, ignorante o colto che fosse.

  • Filosofia del 1900

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