Vita e filosofia di Empedocle - Studentville

Vita e filosofia di Empedocle

Vita e pensiero del filosofo Empedocle

CENNI BIOGRAFICI Il grande filosofo greco nacque nel 492 circa; si atteggiò a profeta e a taumaturgo; come medico (ò ritenuto il fondatore della scuola medica siciliana) pare sua la scoperta del labirinto dell’orecchio interno; e fu forse maestro di Gorgia l’oratore. E Timeo dice che fu allievo di Pitagora (VI – V secolo a.C.). Non sono da trascurare le sue doti di poeta, nell’utilizzo del metro della tradizione epica, e di fisico. ” (…) coloro che presso i Greci vengono chiamati ‘fisici’, dovremmo chiamarli anche poeti, perchè il fisico Empedocle scrisse un eccellente poema”. (Cicerone, De Oratore, I, 217) “Si tramanda che il rapsodo Cleomene abbia recitato in Olimpia proprio il suo poema, le Purificazioni: lo attesta anche Favorino nelle sue Memorie”. (Diogene Laerzio; VIII, 63). Di nobile famiglia, patteggiò tuttavia per gli esponenti democratici, di cui fece parte nel governo della città  grazie alla scomparsa del tiranno Terone nel 472 ed alla cacciata del di lui figlio Tisandro. In gioventù “vinse una corsa di cavalli ad Olimpia” (Ateneo, 3, e). Ma parrebbe che Ateneo confonda tale gesto con quello compiuto dal nonno del poeta, che portava lo stesso nome. Il padre fu invece Metone, leggiamo in Diogene Laerzio (VIII, 51). “Successivamente Empedocle abolì anche l’assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici. Anche Timeo nell’undicesimo e nel dodicesimo libro – spesso infatti fa menzione di lui – dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: ‘Salvete: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro’. Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo posteriore, quando Agrigento era in balìa delle contese civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì (VIII, 66, 67; op. cit.). Doveva essere il 432 a.C.; durante la sua permanenza in Elea conobbe Parmenide ed il poeta di Ceo Simonide. Ma ad Agrigento circolavano anche le idee di Pitagora e Senofane, Eraclito e i medici Pausania (suo allievo prediletto) e Acrone; ed Empedocle seppe superare gli influssi di tale scuole con la sua personalità  con la sua visione della realtà  dei quattro classici elementi dell’acqua, dell’aria, del fuoco e della terra. “Gli uomini non sanno comprendere queste cose nè cogli occhi nè con le orecchie e neppure con la mente” (Diogene Laerzio; IX, 73). “Deboli poteri infatti sono diffusi per le membra; molti mali repentini, che ottundono i pensieri. Scorgendo una misera parte della vita nella loro vita di breve destino, come fumo sollevandosi si dileguano, questo solo credendo, in cui ciascuno si imbatte per tutto sospinti, si vantano di scoprire tutto; così queste cose non sono vedute, nè udite dagli uomini, nè abbracciate con la mente. Tu dunque, essendoti qui straniato, non saprai di più di ciò a cui si solleva la mente umana”. (Sesto Empirico; in I Presocratici, testimonianze e frammenti; Laterza; 1994) Gli elementi non hanno origine, secondo l’ideale di Parmenide, ma possono modificare le loro caratteristiche sotto la spinta dell’Amore unificatore, o della Discordia disgregatrice: “Due forze che reggono la terra, ieri sono state e domani pur saranno”. All’uomo non resta che adeguarsi, e vivere una esperienza dopo l’altra, per conoscere la realtà  fatta dal molteplice, e dall’insieme di innumerevoli singoli elementi. Vivere le esperienze della natura rende l’uomo sempre più simile ad essa, e può comprenderla alfine dall’interno: grazie anche alla metempsicosi. Ciò lo apprendiamo dai frammenti dei suoi lavori giuntici: 111 del poema Della natura , e pochi delle Purificazioni. “Le sue opere Della natura e le Purificazioni si estendono per cinquemila versi, il Trattato sulla medicina per seicento righe. Delle tragedie abbiamo già  detto” (VIII, 77). “Concordando quindi con Empedocle: ‘Non vi fu perciò nessuna guerra di dei o frastuono di battaglia, neppure fu Zeus loro re, nè Crono, nè Poseidone, solo Cipride bensì fu loro regina. Essa viene appagata dalla gente, con offerte devote d’animali dipinti, e balsami riccamente profumati, con sacrifici di pura mirra e fragante incenso, mentre stendono sul terreno libagioni dal giallo miele di favo'”. (Ateneo; 510, c; op. cit.). Altri lavori dei quali sappiamo solo i titoli sono Politica, Della medicina, Proemio ad Apollo, pur se di incerta attribuzione. Un lavoro sulle guerre persiane pare sia stato distrutto per sua volontà  non piacendogli. La sua fede nel valore dell’esperienza – che ci ricorda l’ideale di secoli a noi più vicini – lo condusse a potersi ritenere depositario di conoscenze taumaturgiche: “Uomini e donne mi lodano seguendomi in massa, domandando a me la parola che sana le numerose malattie che trafiggono ogni ora le carni”. Con disagio lo potremmo definire anche un santone, per le guarigioni fatte che la voce della leggenda tramanda con altre: una dice che egli si gettò nel cratere dell’Etna , per liberarsi infine del corpo ormai ingombrante o far credere con la sua sparizione di essere stato assunto tra gli dei. Il cratere (riferisce Diogene Laerzio, VIII, 69) rigettò uno dei suoi sandali bronzei. Un’altra leggenda lo vuole sparire in un gran bagliore notturno, dopo aver fatto resuscitare una donna (Idem, VIII, 68). Di certo abbiamo che egli formulò per primo la teoria dei quattro elementi, base di tutte le cose, e sottoposti alle due forze che, a periodi, dominano l’universo o fondendo tutto in un unicum o separando i 4 elementi; consentendo l’esistenza del mondo come lo vediamo e lo viviamo durante i periodi di lotta tra i due: Amore e Odio. Come egli vedeva sè stesso? “E’ scritto nel fato che chiunque macchi il suo corpo di sangue, o sia infame seguendo l’esempio di Odio, andrà  errando diecimila anni lontano dagli uomini felici, nascendo di volta in volta sotto le sembianze di ogni essere vivente, soffrendo le varie pene d’ogni diversa specie vivente. La forza dell’aria li lancia nel mare, e il mare li scaraventa nella terra e la terra li butta nelle fiamme del sole che, a sua volta, li rimette nell’aria per essere ancora respinti da tutti gli elementi. Uno di costoro sono io, fuggendo gli dei e vagando a colpa della mia fede per l’Odio”. Ed ancora:”Già  un tempo io nacqui fanciullo e fanciulla, arboscello e uccello e pesce ardente balzante fuori dal mare”. E si narra di qualche miracolo da lui compiuto: “Scoppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, Empedocle pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese (le acque di) altri due fiumi di quelli vicini: con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessò la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest’opinione di sè e si lanciò nel fuoco”. (VIII, 70). Cioò si lasciò cadere dentro il cratere dell’Etna. “E questo tutto abbrustolito chi ò? – Empedocle. – Si può sapere perchè ti gettasti nel cratere dell’Etna? – Per un eccesso di malinconia. – No: per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere un dio. Ma il fuoco rigettò una scarpa e il trucco fu scoperto”; così satireggia Luciano, allievo di Epicuro (I dialoghi, trad. Mosca; BUR, Rizzoli, 1990). Altra voce tramanda che egli cadde da un cocchio mentre si recava a Messina, morendo pel conseguente aggravarsi dell’infezione di una ferita alla gamba. Ed il suo sepolcro sarebbe nei pressi di Megara Iblea. IL PENSIERO Empedocle di Agrigento svolse la sua attività  di filosofo nel V secolo a.C. in Sicilia e fu influenzato dal pitagorismo e dall’orfismo, ma anche dall’eleatismo: tuttavia Empedocle si colloca nell’ambito dei cosiddetti “pluralisti”. Nacque ad Agrigento intorno al 490 a.c. e pur essendo di nobile famiglia, partecipò attivamente alle lotte politiche della sua città  schierandosi con i democratici e per questo morì forse in esilio nel 425. Tuttavia la sua figura sfumò presto nella leggenda (che tra l’altro vuole che egli morisse precipitando nel cratere dell’Etna). E presenta ancora i tratti dell’antico sapiente che stende in versi la propria opera e che si occupa di tutto (di medicina, di fisica, di religione, ecc). Discendente da nobile famiglia, Empedocle sceglie di scrivere in versi perchè ai suoi tempi la poesia era un’autorità  da tutti riconosciuta, che tendeva a meglio diffondersi rispetto alla prosa; a differenza di Parmenide, che dalla poesia aveva ereditato esclusivamente la forma, Empedocle ne assume anche il linguaggio altisonante e roboante, tant’ò che Aristotele lo considera l’ inventore della retorica. C’ò un alone di mistero che circonda le sue opere: il suo scritto principale – intitolato Sulla natura – ò affiancato da un altro scritto, tradizionalmente noto come Purificazioni. Il mistero risiede nel fatto che le due opere trattino di cose diversissime tra loro, a tal punto da far dubitare dell’autentica paternità  di Empedocle: il Sulla natura ò un’opera sensu stricto fisica, mentre dalle Purificazioni traspaiono palesemente influenze pitagoriche ed orfiche, nella misura in cui Empedocle propugna l’immortalità  dell’anima (che nel Sulla natura era detta mortale) e la metempsicosi. Le due opere, pertanto, ci restituiscono un Empedocle diverso e, paradossalmente, antitetico. Il mistero si infittisce nel momento in cui ci si chiede se le Purificazioni siano un’opera autonoma o, piuttosto, una parte integrante del Sulla natura. E, in quest’ultimo caso, occorre anche domandarsi in quale parte del Sulla natura debbano essere collocate (all’inizio? alla fine?). Misterioso ò anche il fatto che Aristotele sembri conoscere solamente l’Empedocle del Sulla natura e che mai menzioni le Purificazioni (che non conoscesse tale opera pare assai difficile, data la straordinaria erudizione che lo caratterizza). Messo in luce il “giallo” intorno alla figura di Empedocle, proviamo ora a ricostruirne la fisica, alla luce di quanto egli stesso ci ha lasciato nel suo poema Sulla natura: qui, egli spiega la formazione del mondo a partire dall’empiria, ovvero da quel mondo in continuo fieri tanto aborrito da Parmenide. Occorre trovare a fondamento della realtà  una pluralità  di principi aventi caratteristiche tali da rispettare le norme fissate da Parmenide per il suo essere: unicità  (se l’essere fosse molteplice, sarebbe uno e non sarebbe uno, cioò sarebbe e non sarebbe), immobilità  (se l’essere fosse in moto, ora sarebbe qui e ora non sarebbe qui, cioò sarebbe e non sarebbe), eternità  (se l’essere fosse generato, verrebbe ad essere mentre prima non era). Se si vuole fondare con certezza la realtà  spiegandone il divenire e salvando i fenomeni (presupposto a cui tutti i “pluralisti” restano fedeli) senza trasgredire le norme parmenidee, occorre rinvenire più principi aventi tutti le caratteristiche dell’ essere parmenideo. Debbono essere molti, poichè altrimenti non si spiegherebbero le molte facce in cui il reale si presenta. Empedocle ritiene di aver individuato i principi in quattro elementi: l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco. Tali principi vengono da lui denominati radici (rizomata), a sottolineare come essi facciano nascere la realtà  e le conferiscano stabilità . Poste a fondamento del reale le quattro “radici”, Empedocle arriva a divinizzarle, cosa che può sembrare strana soprattutto se riferita alla terra, che rappresenta il basso. Esse sono all’origine della corruzione e della generazione, pur essendo esse stesse sottratte a tali processi: le cose che cadono sotto i nostri sensi nascono e muoiono non già  nel senso che passino dal non essere all’essere e viceversa, bensì nel senso che siano il frutto dell’aggregazione (nascita) e della disgregazione (morte) delle quattro radici, le quali sono però eterne, immutabili, immobili. L’intera realtà  â€“ ivi compresi gli dei e l’anima – rientrano in tale processo di aggregazione e corruzione; solamente le quattro radici (corrispondenti all’essere parmenideo) ne restano fuori. Ciascun aggregato ò il prodotto della combinazione delle radici, con la conseguenza che il fondamento della realtà  ò una struttura invisibile soggiacente a quella visibile e tale da spiegarla. Aristotele nota sagacemente che nella ricerca delle cause Empedocle compie un gran passo avanti, distinguendo per la prima volta tra la causa materiale e quella efficiente (detta “causa del movimento”): infatti, per spiegare come le quattro radici possano combinarsi e separarsi, Empedocle fa riferimento ad altre due cause, da lui chiamate Amore e Odio. Sicchò la generazione delle cose nasce dall’unione delle quattro radici in forza dell’azione dell’Amore, mentre la disgregazione ò il frutto dell’agire dell’Odio. In questo senso, la cosmologia empedoclea non ò che la proiezione sul mondo delle regole (l’odio e l’amore) stanti alla base dei rapporti umani. Amore e Odio agiscono dunque come causa del movimento delle quattro radici, ma non ò in alcun caso possibile – nota Aristotele – attribuire ad essi la funzione di cause formali e finali: infatti, non agiscono in vista di un qualche fine, ma il loro processo ò anzi, in certo senso, retto dal caso; in realtà  Empedocle, alla parola “caso”, preferisce “armonia”: il processo messo in moto da Amore e Odio ò sì casuale, ma tale da creare un’armonia. Il cosmo stesso si configura agli occhi di Empedocle come una totalità  ordinata, giacchò soggetto ad una vicenda ciclica che attraversa varie fasi: dapprima prevale l’ Amore e le quattro radici si trovano commiste fra loro; poi subentra l’Odio che, introducendo divisioni, permette la nascita dei viventi; in seguito l’Odio prevale e le quattro radici sono del tutto divise. A questo punto, termina il ciclo e riprende da capo. Si tratta di una vicenda ciclica non scandita da divinità , ma autoregolantesi. Anche per Empedocle gli uomini sbagliano quando parlano di perire e di nascere delle cose: Parmenide aveva già  detto che l’essere ò sempre stato e sempre sarà . Empedocle introduce quindi i due concetti di aggregazione e di disgregazione: in realtà  dietro alle vicende di trasformazioni incessanti permangono costanti ed indistruttibili quelli che Empedocle chiama “radici” e che poi saranno chiamati elementi (terra, acqua, aria e fuoco). Questa ò una grande innovazione e rappresenta un notevole allontanamento dagli eleati: il dominio di ciò che ò, ò molteplice. Gli oggetti che cadono sotto i nostri sensi non sono altro che mescolanze delle quattro radici secondo diverse proporzioni. Empedocle si allontana dall’eleatismo anche per il fatto che le radici siano suscettibili di movimento e per il fatto che esistano forze capaci di creare le aggregazioni a partire dalle 4 radici e le disgregazioni degli oggetti così costituiti. Il nascere ed il morire a rigore non esistono: sono solo aggregazioni e disgregazioni: sono prerogative degli oggetti risultanti dalla mescolanza delle 4 radici; essi sono dovuti all’azione di due forze che Empedocle, attingendo al linguaggio dei racconti mitici, chiama amore e odio. Queste due forze operano non solo sull’universo nella sua totalità , ma anche su ciascuna delle cose che popolano l’universo. Un aspetto fondamentale della loro azione ò che essa avviene nel tempo e secondo gradi diversi. Quando l’azione dell’Amore prevale su quella dell’Odio si ha una situazione di pace, che Empedocle, sulla scia di Parmenide, concepisce come una sfera compatta e priva di scissioni al suo interno: ò il celebre sfero. Empedocle ci fornisce quindi una sua cosmogonia, una spiegazione sull’origine del mondo. Lo sfero ò la situazione primordiale in cui tutte e 4 le radici sono mescolate e vi sono pure l’Amore e l’Odio: ò una totale situazione di aggregazione in cui prevale l’Amore sull’Odio. Ma pian piano l’Odio prevarrà  e le 4 radici si separeranno; col tempo però tornerà  a prevalere l’Amore e torneremo alla situazione primordiale di totale aggregazione. Ma poi si verificherà  nuovamente il prevalere dell’Odio e le 4 radici si separeranno pian piano per poi passare alla totale disgregazione e poi nuovamente all’aggregazione. Il nostro mondo si trova proprio nella posizione di separazione dall’Amore, ma non ha ancora raggiunto l’Odio: ò a metà  strada; quando raggiungerà  l’Odio si distruggerà  per poi “rinascer” nuovamente. E’ una visione ciclica del mondo: per Empedocle durerà  fin quando dal punto di partenza (l’Amore) non arriverà  all’opposto (l’Odio). Ma questo processo di aggregazione e disgregazione non vale solo per il mondo, ma per l’intera realtà : anche gli uomini si vengono a formare in questo modo e quando prevarrà  l’Odio si distruggeranno. Ma Empedocle dice che l’aggregazione che porta alla creazione di un uomo (o di qualunque altra realtà ) non ò immediata e complessiva: non ò che l’uomo si formi tutt’insieme in un preciso istante: ò come se gli organi nascessero da sò e poi a loro volta si aggregassero per dar vita all’uomo. Empedocle dice poi che possono nascere dall’aggregazione esseri mostruosi come il Minotauro ed il motivo per cui non si vedono in giro ò reperibile nel fatto che non riescano a sopravvivere: in natura, infatti, dice Empedocle, riescono a sopravvivere solo i più idonei e i migliori. La tradizione ci presenta Empedocle come medico: pare che egli nutrisse interessi per la comprensione dei fenomeni del vivente, come la generazione o la respirazione: Empedocle affermava che il sangue ed il respiro si muovessero entro gli stessi vasi corporei, che sarebbero riempiti da sangue che fluendo esce da essi e lascia spazio all’aria che entra e, viceversa, l’aria che esce lascerà  spazio al sangue. Per Empedocle la respirazione avviene tramite i pori della pelle: per spiegare questo processo lui immagina una situazione in cui si immerge in acqua una clessidra: la clessidra ò un vaso con un collo stretto e un’ampia base con piccoli buchi. Se essa viene immersa in acqua con l’orifizio superiore tappato, l’acqua non penetra attraverso i buchi perchò l’aria interna vi si oppone con la sua pressione; ma se si libera l’orifizio superiore, l’aria esce e l’acqua può entrare. Viceversa, se l’orifizio ò tappato quando la clessidra ò piena d’acqua, l’acqua non può fuoriuscire dai piccoli buchi sul fondo. I due momenti della respirazione, cioò l’inspirazione e la espirazione, corrispondono ai momenti in cui la clessidra, rispettivamente riempita d’acqua e d’aria, viene aperta nell’orifizio superiore consentendo l’ingresso di aria in un caso, di acqua nell’altro. All’acqua della clessidra corrisponde il respiro e all’aria della clessidra il sangue. Non si tratta in realtà  di un vero esperimento, quanto piuttosto di un’analogia tra ciò che ò osservabile e ciò che non ò direttamente osservabile. Va sottolineato il fatto che l’aria sia uno dei 4 elementi; il sangue invece, come ogni realtà , ò una mescolanza di essi. Quanto migliore (quindi più proporzionata ) ò tale mescolanza, tanto migliore per Empedocle risulta essere la qualità  del pensiero, che Empedocle fa proprio risiedere nel sangue intorno al cuore. L’attività  del pensiero ò quindi legata alla struttura anatomica e alla fisiologia corporea, e poichò il corpo umano ò costituito dalle stesse radici di cui sono costituite tutte le cose, sarà  possibile istituire una corrispondenza biunivoca tra i costituenti del corpo e quelli delle cose: in ciò consiste per Empedocle la conoscenza, che sarà  garantita proprio dalla sussistenza proporzionata di tutte e 4 le radici nel sangue. Il processo della conoscenza risulta quindi fondato nella omogeneità  tra l’uomo ed il mondo. Gli interpreti antichi classificheranno questa concezione della conoscenza come conoscenza del simile tramite il simile. Anche le capacità  dei singoli individui (per esempio nel parlare o nello svolgere attività ) sono riconducibili alle diverse proporzioni in cui avviene la mescolanza di questi costituenti di tutte le cose. Il tempo svolge una funzione centrale nella cosmogonia di Empedocle: egli vuole rintracciare ciò che permane costante al di sotto della vicenda ciclica delle aggregazioni e delle disgregazioni. Ciò si integra perfettamente, ai suoi occhi, con la credenza propria della tradizione orfica a riguardo della trasmigrazione delle anime. L’anima, che in origine ò un demone o un dio, spinta dall’Odio commette colpe ed ò costretta a compiere un lungo viaggio. Esso dura millenni e porta l’anima a trasmigrare attraverso vari tipi di corpi viventi. Da notare che Empedocle parli di trasmigrazioni non solo in corpi animali, ma anche vegetali. Questa concezione conduce al vegetarianesimo e al rifiuto radicale dei sacrifici. Uccidere animali ò infatti per Empedocle una forma di cannibalismo, dal momento che in ogni essere vivente ò presente un’anima umana, che sta compiendo il suo ciclo di reincarnazioni. Se nel corso di questo ciclo l’anima si ò comportata bene, al termine potrà  tornare nella sua condizione divina. Su questo sfondo, Empedocle può proiettare la sua predicazione di salvezza agli uomini, indicando le vie della guarigione e della purificazione. In un mondo che gli appariva in un certo modo sopraffatto dall’Odio, egli additava ai suoi ascoltatori nelle città  della Sicilia, con i suoi versi, ma anche con la sua azione di guaritore e mago (si raccontava che avesse ridestato a vita una donna in un caso di morte apparente) capace di influenzare le forze della natura, le linee di una condotta che si opponesse all’azione disgregatrice dell’Odio. Empedocle rappresenta il culmine di una tradizione di sapienti che si presentano dotati di un sapere eccezionale. Ma nel V secolo a.C. queste figure tendono progressivamente a venir meno, lasciando spazio a nuovi tipi di pensatori. Ma le sue teorie furono riprese in seguito da Aristotele (che nella Fisica individuò 4 elementi, parti ultime della realtà ) e da Dante che (Inferno, XII) fa un chiaro riferimento alla teoria della disgregazione e dell’aggregazione dicendo: “… da tutte parti l’alta valle feda tremò sì, ch’io pensai che l’universo sentisse amor…”; con questi versi il poeta fiorentino intende chiaramente dire di aver sentito un rumore e un tremolio così forte da pensare che il mondo si stesse disgregando perchò arrivato al fondo del suo processo ciclico. FRAMMENTI Frr. 31 B 6, 8, 13, 14, 28, 29, 88 DK (fonti diverse) Fr. B 6 (Sesto Empirico, Contro i matematici, X, 315) 1 Per prima cosa ascolta che quattro son le radici di tutte le cose: 2 Zeus splendente e Era avvivatrice e Edoneo 3 e Nesti, che di lacrime distilla la sorgente mortale. Fr. B 8 (Plutarco, Moralia adversus Coloten, 10, 1111f) 1 […] Ma un’altra cosa ti dirò: non vi ò nascita di nessuna delle cose 2 mortali, nè fine alcuna di morte funesta, 3 ma solo c’ò mescolanza e separazione di cose mescolate, 4 ma il nome di nascita, per queste cose, ò usato dagli uomini. Fr. B 13 (Aezio, I, 18, 2) Nel tutto nulla vi ò di vuoto nè di sovrabbondante. Fr B 14 (Pseudo Aristotele, De Melisso Xenophane Gorgia, 2.28, 976 b 26) Nel tutto nulla vi ò di vuoto: donde dunque qualcosa potrebbe sopraggiungere? Fr. B 28 (Stobeo, Eclogae physicae, I, 15, 2 a-b) 1 Ma dappertutto eguale e assolutamente infinito 2 ò lo Sfero circolare, che gode della solitudine che tutto l’avvolge. Fr. B 29 (Ippolito, Refutatio contra omnes haereses, VII, 29, 212; Simplicio, Fisica, 1124, 1) 1 Riguardo alla forma del cosmo, quale essa ò nell’ordine che le ò dato dall’Amicizia, dice in tal modo: “non a se stesso”. Una tale bellissima forma del cosmo l’Amicizia la rende una dal molteplice; la Contesa invece, che ò causa della disposizione delle cose parte per parte, da quell’unità  introduce la divisione e produce il molteplice. 2 L’Amicizia produce, attraverso l’unificazione, lo Sfero, che chiama anche dio e talvolta usa anche la forma neutra. 3 “Non infatti dal suo dorso si slanciano due braccia, 4 nè ha piedi, nè veloci ginocchia, nè membra per la generazione, 5 ma era Sfero e eguale a se stesso”. Fr. B 88 (Aristotele, Poetica, 1458a, 4) da entrambi nasce un’unica vista. SACRIFICI Non cesserete dall’uccisione che ha un’eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità  della mente? Il padre sollevato l’amato figlio, che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano l’implorante; ma quello, sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara l’infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli e la madre, dopo averne strappata la vita, mangiano le loro carni. (I Presocratici, vol.I, Laterza, 1969, Bari) L’OCCHIO Come quando taluno pensando al suo cammino si apparecchia lume, nella notte tempestosa, splendore di ardente fuoco, adattando la lucerna che tutte le aure trattiene e disperde il soffio dei venti impetuosi, e la luce che fuori ne balza, quanto più ò sottile, rifulge nella casa con infaticabili raggi: così allora il fuoco primevo costretto in membrane e in tuniche sottili si appiattò nella rotonda pupilla; ed esse erano traforate da meravigliosi canali che il gorgo trattenevano dell’acqua intorno fluente, ma fuori lasciavano passare il fuoco quanto più era sottile. Grazie alla Suida, che commenta la voce ‘exanimis’, un altro frammento di Empedocle testimonia della grande considerazione che di sè aveva il poeta e taumaturgo agrigentino: “Da me apprenderai tutti i filtri magici, con i quali sono allonta nati i malanni e la vecchiaia, poichè io solo te ne riferirò Indi le forze placherai degli sfrenati venti, che irruenti sulla terra coi soffi distruggono i campi. E se vorrai li desterai, invece, dalla terra. Agli uomini una siccità  tempestiva, causerai dopo la pioggia. E viceversa il fecondo addurrai dopo la siccità 

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