Vita e filosofia di Ibn Taymiya - Studentville

Vita e filosofia di Ibn Taymiya

Vita e pensiero di Ibn Taymiya.

Uno sguardo generale Ibn Taymiya era uno strenuo seguace dell’Islam sunnita, improntato a grande fede ed obbedienza ai precetti del Corano ed all’esempio del profeta Maometto. Era convinto che da queste due fonti si potesse attingere quanto necessario a garantire la salvezza del muslim nell’Aldilà . Era pure convinto che la ragione non fosse lo strumento più idoneo ad un corretto approccio alla Verità  religiosa, da lui ritenuta l’unica valida, e che anzi l’intelletto dovesse essere sottomesso alla fede stessa(ci troviamo ancora dinanzi al concetto scolastico di filosofia come ancilla theologiae n. d. t). Anzi, si ò spesso trovato in dissenso con gli altri intellettuali Sunniti del suo tempo a causa della sua avversione all’austerità  della scuola di giurisprudenza islamica. Era infatti convinto che le quattro scuole ufficiali fossero diventate stagnanti e settarie, e pure che esse erano erroneamente influenzate da alcuni aspetti della Logica greca come dal misticismo Sufi. La sfida che egli lanciava agli intellettuali coevi era quella di propiziare un ritorno alla comprensione dell’Islam basata esclusivamente sulla lettura del Corano e l’osservazione della sunna. Vita e pensiero Ibn Taymiya nacque ad Harran, Siria, e morì a Damasco attorno al 1328. Visse in un periodo in cui il mondo Islamico era dilaniato da aggressioni esterne e da conflitti interni. I crociati non erano stati ancora del tutto espulsi dalla Terra Santa, ed i Mongoli presero Baghdad nel 1258. In Egitto, I Mamelucchi erano appena giunti al potere e stavano consolidando il proprio dominio in Siria. Nella società  Musulmana, gli Ordini Sufi stavano diffondendo concezioni e pratiche non contemplate dall’Islam più ortodosso, mentre le scuole di giurisprudenza più tradizionaliste si trovavano in uno stato di arretratezza e ristagno culturale. E’ in questa situazione di scompiglio che Ibn Taymiya formulò il suo pensiero sulle cause della decadenza del mondo musulmano e sulla necessità  di ritrovare il Corano e la sunna, intesi come unico strumento di rinascita. Nonostante Ibn Taymiya si fosse formato nella scuola di pensiero Hanbali, raggiunse presto un livello di erudizione che superava di gran lunga quello fornitogli da questa scuola. Divenne completamente esperto di tutto ciò che le quattro scuole offrivano, e ciò lo portò alla conclusione che la stretta aderenza ad una sola di esse condurrebbe il Muslim a trovarsi in conflitto con il verbo e lo spirito della Legge Islamica basata sul Corano e la sunna. Allo stesso modo, acquistò una buona padronanza dei testi mistici e filosofici. In particolare, si concentrò sulle opere di Averroò e di Ibn Arabi in quanto rispettivamente esempi di deviazione filosofica e mistica dai veri principi dell’Islam. Entrambe queste tendenze erano infatti giunte ad esercitare grande influenza sia sugli eruditi musulmani che sulla società . Ibn Taymiya assegnava importanza fondamentale alla rivelazione quale unico mezzo affidabile per la vera conoscenza di Dio e dei doveri del fedele verso di Lui. L’intelletto umano(‘aql)ed il suo potere ragionativo devono essere sottomessi alla rivelazione. Secondo Taymiya, l’unico uso legittimo dell’intelletto umano ò quello indirizzato alla comprensione dell’Islam così come questo fu compreso dal Profeta e dai suoi seguaci e di difenderlo da ogni possibile devianza. Quando si disserta attorno alla natura di Dio, sosteneva egli, bisogna attenersi a quanto scritto nel Corano e quanto insegnato nella sunna, ed attenersi alla visione ortodossa secondo cui non si deve chiedere come gli attributi particolari esistano in Dio. Vale a dire che un fedele deve credere in tutte le qualità  che il Corano e la sunna attribuiscono a Dio, senza interrogarsi circa la natura di essi, giacchò questi trascendono la capacità  di comprensione della mente umana, che ò anche inetta a comprendere l’Eternità  di Dio. Ad esempio, si crede che Dio si trovi su di un trono in cielo, ma non bisogna chiedersi come ciò accada. Questo atteggiamento deve essere tenuto verso tutti gli attributi divini, compresa la facoltà  visiva, quella uditiva e la tattile. Questa concezione ò del tutto opposta alla visione filosofica di Dio come Causa Prima e di essere sprovvisto di attributi. Così l’argomentazione che l’Unità  di Dio esclude una moltitudine di attributi ò inaccettabile per il nostro, poichè Dio stesso afferma di essere uno e di avere molteplici attributi. La negazione degli attributi di Dio su base razionale era affermata dal Mu’tazila, verso cui Taymiya era particolarmente critico. Persino le più strette concezioni dell’ Ash’aris, che accettava l’esistenza di sette attributi basilari, erano da lui respinte. Comunque, non si spinse mai tanto oltre da dichiarare eretici questi due gruppi, in quanto erravano solo nella definizione degli attributi divini. Al contario, non mancò di etichettare come apostati filosofi quali Farabi ed Avicenna che, oltre a negare gli attributi di Dio, negavano anche l’increatezza del mondo e credevano nella teoria dell’emanazione dell’universo da Dio. Ibn Taymiya attaccava l’idea dell’emanazione non solo nell’accezione filosofica ma pure mistica, così come era intesa dai Sufi. Era convinto che le credenze e le pratiche dei Sufi potessero essere ben più pericolose delle idòe dei filosofi. Questi ultimi rappresentavano un’esigua elite che aveva ben pochi risvolti sulla massa. I Sufi, al contrario, avevano ampio seguito presso gli strati popolari. Tuttavia Ibn Taymiya vide una connessione tra le idee dei filosofi e quelle dei Sufi, benchè ad un’analisi poco attenta avessero ben poco in comune. Il caposaldo del pensiero dei Sufi, come ci risulta da Ibn Al Arabi ò il concetto dell’unicità  dell’esistente. Attraverso questa concezione, i Sufi ritengono di poter sperimentare la fusione della loro anima con l’essenza di Dio. Questo significa che, quando Dio si rivela ad un individuo, questa persona comprende che non c’ò differenza alcuna tra Dio stesso ed il suo essere. Ibn Taymiyya vide un nesso tra la credenza Sufi del wahdat al-wujuded, il concetto dell’unicità  dell’esistente, ed il concetto filosofico di emanazione. Benchò un filosofo negherebbe che l’anima umana possa riversarsi in quella divina ed essere quindi la Causa Prima, l’esperienza mistica dei Sufi li portò al di là  del dominio razionale. Per Taymiya, sia i filosofi che i mistici erano in errore, i primi poichè riponevano fiducia nel limitato intelletto umano, i secondi per l’eccessiva irrazionalità . La critica che Ibn Taymiya muove verso i Sufi si aviluppa su due piani. In primis, c’ò la discussione teologica sulla questione che Dio possegga degli attributi, uno dei quali ò quello di creatore. Egli riteneva che il Corano affermi innegabilmente che Dio ò il creatore e l’ente ordinatore dell’Universo. Vige quindi una distinzione tra il creatore e le creature, e tra le due cose non c’ò alcuna possibilità  di fusione. Continua poi ritenendo che coloro che privano Dio dei suoi attributi e ritengono che non sia il Creatore sono solo ad un passo dal cadere nella credenza del wahdat al-wujud. Da questa base prende le mosse per la seconda parte della critica. Ibn Taymiya credeva che un Sufi ò soltanto un individuo che si lascia trasportare da una forte carica emotiva. Ad esempio, si potrebbero negare gli attributi di Dio ma poi essere sopraffatti da un sentimento d’amore verso di Lui. Tuttavia la base della conoscenza che questo individuo possiede non ò quella autentica che si trova solo nel Corano, per cui le loro vane congetture intellettuali vengono a cadere al cessare dell’attacco emotivo. Secondo Ibn Taymiya la percezione dei sensi ed i sentimenti non possono essere ritenuti affidabili, e la probabilità  di essere fuorviati da essi aumenta man mano che la conoscenza che si possiede prescinde quella autentica contenuta nel Corano e nella sunna. ò questa conoscenza, infatti, la base di una corretta fede in Dio e di ogni rapporto che si voglia stabilire con Lui.

  • Araba ed Ebraica

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