Volontà di potenza - Studentville

Volontà di potenza

Il sentimento di potenza.

Già  ai tempi di “Aurora” Nietzsche aveva asserito che “il primo effetto della felicità  è il sentimento della potenza: esso vuole estrinsecarsi, sia verso noi stessi che verso altri uomini, idee o realtà  immaginarie. Le modalità  più consuete del sue estrinsecarsi sono: donare, decidere, annullare”. Affiora qui il tema della volontà  di potenza (in tedesco wille zur macht), centrale anche nella “Gaia scienza” e sul quale Nietzsche ha lasciato numerosi appunti, che formeranno poi la base dell’opera postuma pubblicata dalla sorella (in chiave filo-nazista) con questo titolo: “La volontà  di potenza. Un saggio sulla trasmutazione di tutti i valori”. La volontà  di potenza, propria dei viventi, non ha obiettivi fuori di se stessa, nemanco quello dell’autoconservazione. E’ stata la morale tradizionale a parlare di fini e di intenzioni, ma questa menzogna ha nascosto che alla radice di ogni azione vi è sempre e comunque la volontà  di potenza. Infatti, anche quando si fa del bene ad altri, lo si fa in realtà  per mostrare che è vantaggioso per essi rimanere in nostro potere e, allo stesso modo, il sacrificio del martire dipende dalla sua avidità  di potenza. Già  nello Zarathustra Nietzsche affermava: “Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà  di potenza; e anche nella volontà  di colui che serve ho trovato la volontà  di essere padrone. Il debole è indotto dalla sua volontà  a servire il forte, volendo egli dominare su ciò che è ancora più debole: a questo piacere, però, non sa rinunciare. E come il piccolo si dà  al grande, per avere diletto e potenza sull’ ancora più piccolo: così anche ciò che è più grande dà  se stesso e, per amore della potenza, mette a repentaglio la sua vita. “. La volontà  di potenza è alla base della stessa volontà  di verità  e di ogni posizione di valori. Ma in queste forme la volontà  di potenza è puramente reattiva, si afferma solo come reazione agli altri e quindi in qualche modo dipende ancora da essi. In ogni caso, non sono nò i fini nò le intenzioni a costruire la forza che dà  l’impulso all’azione, ma una quantità  di energia accumulata la quale non attende che di esplicarsi: l’unica forza agente è la volontà  di potenza. La volontà  non dipende dall’esistenza di un presunto io o di una presunta anima, ma dalla vita, che è continuo divenire e necessario superamento di se stessa. Tale volontà , tuttavia, non è tanto volontà  di vivere, ovvero di autoconservarsi, ma la volontà  di potenza: la conservazione può essere solamente una conseguenza indiretta di essa. La volontà  di potenza in senso nietzscheano si distingue dalla semplice volontà  di vivere di cui aveva parlato Schopenhauer, il quale aveva anche indicato nella compassione e nell’ascetismo i mezzi per liberarsi dalla sofferenza intrinsecamente legata alla vita. Per Nietzsche, invece, la volontà  di potenza si configura come un sì alla vita, in ogni momento e in ogni aspetto, anche al dolore che essa comporta e contiene: non è mai negazione della vita nò è subordinata a fini trascendenti ancora da venire. Solo la disciplina formativa del grande dolore, non la compassione, è creatrice di ogni eccellenza umana. Certi della loro potenza, i più forti non temono i pericoli e le disgrazie, nò hanno bisogno di subordinarsi a princìpi di fede; in questo senso essi non sono fanatici, nò dogmatici, in quanto non hanno lo scopo di imporre se stessi come modello agli altri, perchò questo sarebbe come rendere condivisibile la propria superiorità  e quindi sarebbe come rimpicciolirla. In “Al di là  del bene e del male”, Nietzsche sostiene che non abbia senso dire: “Quel che è giusto per uno deve essere giusto per l’altro” o, in altri termini, che ciò che è vero per uno debba essere vero anche per altri. A parere di Nietzsche non esistono fatti oggettivi, ma solo interpretazioni e ogni interpretazione è violenza, unilateralità , aggiunge o toglie qualcosa: “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Ciò non significa che tutte le interpretazioni, a cui dà  adito la vita, siano equivalenti, ma il criterio per distinguerle e stabilire preferenze tra esse non è dato dalle opposizioni vero-falso, giusto-ingiusto, bensì dalla relazione che ciascuna di esse intrattiene con la vita: si tratta, in altre parole, di considerare in che misura ciascuna interpretazione contribuisce a potenziare o indebolire la vita, ossia di valutare la quantità  di volontà  di potenza che si esprime in ognuna di esse. Il criterio sarà , dunque, dato dalle opposizioni tra salute e malattia; forza e debolezza, attività  o reattività , creatività  o risentimento. La volontà  di potenza è infatti essenzialmente volontà  che vuole continuamente se stessa come potenza e, quindi, tende continuamente a potenziarsi e accrescersi. Quando non è puramente reattiva e frutto del risentimento, essa conduce l’uomo ad andare continuamente “oltre (in tedesco à¼ber) se stesso”: il superuomo (in tedesco à¼bermensch) è appunto l’espressione del continuo oltrepassamento che caratterizza la volontà  di potenza, non un io o un’anima potenziata, perchò non esiste un sostrato permanente e stabile al di sotto delle azioni, che sia causa delle medesime. Questo non significa che il superuomo persegua intenzionalmente lo scopo di dominare gli altri, perchò in tal caso sarebbe operante una volontà  di potenza puramente reattiva, che considera rilevanti gli effetti che può produrre su altri. A coloro che si affidano alla volontà  di potenza, esclusivamente reattiva e mascherata, tipica del passato, i filosofi dell’avvenire, liberi dai pregiudizi della morale, capaci di comandare e legiferare, potranno insegnare, stando a Nietzsche, che “l’uomo non è ancora esaurito per le sue possibilità  più grandi”. La volontà  di potenza infatti è sostanzialmente creazione: con la morte di Dio, l’uomo diventa libero di creare, per mezzo della volontà , se stesso. Zarathustra è appunto presentato da Nietzsche come “uno che vede e vuole e crea, egli stesso un futuro e un ponte verso il futuro”. Ciò a cui Nietzsche guarda quando descrive l’aspetto incessantemente creativo della volontà  di potenza, torna ad essere l’arte. La figura del superuomo sembra modellarsi su quella dell’artista, non l’artista deluso e insoddisfatto, risentito o ascetico della tradizione romantica, ma quello libero e sano, che dice sì alla vita e non ha bisogno di rassicurazione filosofiche o religiose o di modelli da seguire.

  • Filosofia del 1800

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