La telefonata - Studentville

La telefonata

Dal diario di Erika: gli nuovi sviluppi durante la vacanza di Erika a Tenerife. Cosa è successo?

Durante quei sette giorni di svago era successo ciò che mai e poi mai avrei potuto prevedere: mi ero innamorata di un altro.
Quando telefonai a casa, l’ultimo giorno di vacanza, per chiedere ai miei il permesso di prolungare di una settimana il soggiorno a Tenerife, mi tremavano visibilmente le mani. Me ne stavo lì, nella cabina telefonica, con la schiena appoggiata al vetro e le braccia lungo il corpo, e le mani mi si muovevano senza che lo volessi, si alzavano a scatti, rapidamente, scuotendosi tutte come in un brivido.
Avevo una paura pazzesca di raccontare ai genitori ciò che mi era capitato. Cosa avrebbe pensato la mia famiglia? Sarebbero stati arrabbiati o delusi perché avevo deciso – così, di punto in bianco, e senza neppure una valida ragione – di lasciare il mio ragazzo? Quello stesso ragazzo che conoscevano da una vita, il mio compagno di scuola, brillante, sveglio e di buona famiglia, che era venuto in vacanza con noi, più di una volta, d’estate?
O forse non mi avrebbero permesso di rimanere là, a Tenerife, da sola, perché – manco a dirlo – l’ormai ex-fidanzato se n’era andato via con la coda tra le gambe e con lo sguardo deformato dal furore, lasciandomi sola nella mia stanzetta d’albergo?
Le idee mi frullavano nella mente ad un ritmo vertiginoso, mentre mi accingevo a inserire le monete nel telefono pubblico e a chiamare a casa. Ero certa di una sola cosa: volevo passare un altro paio di giorni con Michael, e nessuno mi avrebbe convinto del contrario. Lo volevo tremendamente.
Sapevo che, una volta tornata a casa, tutto sarebbe cambiato: non avrei più avuto la possibilità di passeggiare sulla spiaggia, al tramonto, chiacchierando di qualunque cosa nel mio buffo spagnolo.
Perché era quello che avevo fatto, a Tenerife, sin dal primo giorno in cui vi avevo messo piede.
La settimana prima mi ero sistemata con il mio ex nell’hotel in cui avevamo prenotato una stanza. Si trattava di un piccolo, incantevole albergo a due passi dal mare, senza nessun servizio extra o lusso, ma intimo, tranquillo e familiare. Davanti alla sala ristorante c’era una grande terrazza dove ragazzi di ogni nazionalità giocavano a carte e scoppiavano di tanto in tanto in una fragorosa risata, mentre altri facevano girare con maestria delle palle colorate legate a lacci svolazzanti, che tracciavano nell’aria figure sinuose.
La prima sera, sistemati i bagagli nella stanza, decidemmo di cenare là. Tirammo fuori un paio di panini comprati al bar dell’albergo e ci disponemmo a respirare con tranquillità l’aria salmastra proveniente dal mare. Ero felice di trovarmi là, in vacanza, accanto al mio fidanzato, serena e fiduciosa della sua presenza e orgogliosa di essere la sua ragazza.
Quando improvvisamente comparve Michael.
Si fece avanti in maniera un po’ impacciata, insieme ad un amico. Si presentò, chiese i nostri nomi e ci avvisò che quella sera organizzavano una festa sulla spiaggia, e che se noi avevamo voglia di andarci, saremmo stati i benvenuti. Il mio ragazzo scosse la testa, affermando di essere stanco e di desiderare solo un letto; ma mi esortò ad andare, dai che ti farai un’idea del posto e conoscerai gente nuova, e così dopo molti tentennamenti mi alzai, afferrai la borsa e seguii gli altri.
Cinque giorni dopo non potevo concepire la mia vita senza Michael, e non riuscivo a capacitarmi del fatto che avessi vissuto serenamente fino ad allora senza neppure sospettare la sua esistenza.
Stavo riflettendo a tutto questo, tesa, con la fronte sudata per la paura della telefonata imminente. Pensavo che volevo a tutti i costi rimanere lì, non per tutta la vita, certo, lo capivo anch’io che non era possibile, ma insomma, una settimana sì, i miei avrebbero capito, non potevano obbligarmi a perderlo di vista quando ancora non lo avevo conosciuto del tutto. 
Perché era questo che mi intrigava, o a voler essere del tutto sinceri, che mi faceva andare fuori di testa. Michael era diverso, totalmente diverso da tutto ciò a cui ero abituata. Parlava un’altra lingua, la sua cultura e istruzione erano differenti dalla mia e comunicava in maniera franca e immediata, più di qualunque altra persona che conoscessi. Aveva una maniera originale di scherzare, di uscire la sera, di pensare; insomma, viveva la vita in una maniera diversa, incredibilmente intensa.
A casa godeva di assoluta libertà, usciva quando voleva, prendeva e partiva per un viaggio non appena l’idea gli affiorava nella mente; per lui non esistevano preparativi, ostacoli, difficoltà, ma tutto era facile e naturale. Era una persona libera e desiderosa di conoscere culture nuove, e aveva passato gli ultimi due anni della sua vita a viaggiare di lungo in largo, fermandosi ora in Inghilterra, poi in Francia, quindi esplorando il Marocco, la Cina, la Thailandia.
Quando se ne stava lì, con i suoi occhi azzurri e sconfinati, a raccontarmi con lo stupore di un bambino ciò che lo aveva colpito durante i suoi viaggi, io mi perdevo nel fiume di parole, mi meravigliavo della sua apertura mentale, della mancanza di pregiudizi, dell’ enorme autonomia. E desideravo essere come lui, lasciare la mia casa, i miei genitori iper-protettivi, il liceo classico che frequentavo e che mi succhiava il sangue con le sue materie monotone e verbose. Mi immaginavo diversa, più giovane di ciò che già ero, giovane nella mente, nelle scelte, negli atteggiamenti.
Non volevo, assolutamente non volevo perdere una persona che rappresentava ciò che avrei voluto essere nella vita. L’avevo conosciuta da troppo poco tempo, e ancora non avevo avuto modo di esplorare gli aspetti più profondi del suo carattere; ma mi piaceva in maniera irrazionale, fortissima, mi piaceva tanto da lasciare il fidanzato con cui stavo da tre anni, e da dare un dispiacere ai miei dichiarando di non voler tornare a casa.
Tanto i miei avrebbero capito. Ne ero sicura. Era talmente evidente, dal mio punto di vista, la forza del mio amore, che mi sentivo certa che qualunque altra persona l’avrebbe capito.
Digitai il numero. Mentre aspettavo una risposta, attorcigliai il filo del telefono attorno alle dita. Mi mangiai le unghie con apprensione.
“ Pronto mamma…sono io…ascolta, non posso tornare a casa adesso, non posso proprio…devo stare con lui un’altra settimana, mamma ti prego, mam…”
“ E’ fuori discussione” disse, gelida, la voce dall’altro capo del telefono.
Fuori discussione.

Erika

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