Fichte: Dottrina della scienza - Studentville

Fichte: Dottrina della scienza

La scienza in Fichte.

Fichte ritiene che, per fondare il criticismo su basi solide, occorra individuare un principio assolutamente primo e incondizionato, dal quale l’ intero sapere possa essere dedotto in forma sistematica. In questo modo la filosofia potrà  spogliarsi del suo vecchio nome (da filos, “amico”, e, sofia “sapienza”), che esprime più l’ amore per la scienza che il suo reale conseguimento, per diventare invece sapere assoluto, “scienza della scienza in generale” o, con un’ espressione già  usata da Reinhold, dottrina della scienza, il principio primo, dovendo costituire il fondamento della verità  e della realtà  del sapere, non può essere puramente formale. Al contrario, in esso si deve realizzare una perfetta unità  di forma e di materia: la forma dev’ essere immediata espressione del contenuto e, parimenti, il contenuti deve determinare immediatamente la forma. La dottrina della scienza non dipende quindi dalla logica, visto che non vi sono (come credeva Kant ) leggi generali del pensiero che valgano indipendentemente dal contenuto (come nella logica generale) o che siano condizioni della determinazione del contenuto (come nella logica trascendentale). Al contrario, la logica stessa trova il proprio fondamento nel principio assoluto: un fondamento che, a causa della natura di tale principio, non ò soltanto formale, ma sostanziale. Il principio primo ò la radice comune tanto della struttura logico-formale quanto del contenuto materiale del sapere. Se per Kant la logica precedeva la metafisica ed era condizione per valutarne la possibilità , nella prima fase del pensiero di Fichte si afferma il principio dell’ identità  tra logica e metafisica. Il principio primo non può essere un fatto (Tatsache) dell’ esperienza o della coscienza empirica: un fatto ò sempre condizionato da altro, sia nella forma sia nel contenuto, mentre il principio primo ò assolutamente incondizionato. Dal momento che ò a fondamento di ogni fatto di coscienza, nonchè della possibilità  della coscienza stessa, esso deve quindi essere non già  un fatto, ma un atto (Tathandlung) assolutamente libero, attraverso il quale la coscienza si autodetermina, ovvero costituisce il principio di se stessa. L’ intera scienza si fonda infatti, per Fichte, sull’ atto di autoposizione del soggetto, attraverso il quale l’ Io conferisce realtà  a se stesso e, indirettamente, anche a tutto ciò che si distingue da se stesso. Tale attività  del soggetto si articola in tre in tre momenti, esposti da Fichte fin dai Fondamenti dell’ intera dottrina della scienza del 1794 come i tre princìpi della dottrina della scienza. Si tratta di tre momenti di un unico processo dialettico, all’ interno del quale essi assolvono rispettivamente la funzione della tesi (o posizione, dal greco tiqhmi, “pongo”), dell’ antitesi (o opposizione, da anti, “contro” e tiqhmi) e della sintesi (da sun, “con”, e tiqhmi) cioò dell’ unità  di tesi e antitesi. Poichè, come si ò visto, dall’ atto fondamentale dipendono pure le forme del pensiero logico, Fichte stabilisce anche una stretta correlazione tra ciascun principio della dottrina della scienza e quelle che per lui sono le leggi fondamentali della logica: il principio di di identità , il principio di opposizione e il principio di ragione. Il primo principio suona: “L’ io pone se stesso”, cioò ò causa del proprio essere. Prima di esaminare il significato di questa affermazione, bisogna premettere che il termine “Io” indica qui non il soggetto individuale, ma quello che per Kant era il soggetto trascendentale, l’ Io penso. Fichte usa anche il termine egoità  (Ichheit), per indicare la pura forma della soggettività , in base alle cui leggi si sviluppa deduttivamente e assolutamente a priori, in maniera analoga a quanto avviene nelle costruzioni matematiche, l’intero processo della conoscenza, inclusi i contenuti dell’esperienza (diversamente da come pensava Kant). Tuttavia per Fichte (diversamente da Kant) l’Io puro non è solo il fondamento della conoscenza, ma anche della morale, esaurendo così in se stesso ambo le sfere dell’attività  umana. Il corrispettivo logico del primo principio della dottrina della scienza è il principio di identità  (A = A), che, essendo universalmente riconosciuto come vero, può fungere come punto di partenza del discorso. Se viene applicato a una realtà  diversa dall’Io (per esempio: il triangolo è triangolo), il principio di identità  ha un valore esclusivamente formale e non comporta la reale esistenza (non è detto che un triangolo esista). Al contrario, qualora A = A stia per Io = Io, il principio riveste un significato sostanziale, dal momento che implica non solo l’identità  dell’Io con se stesso (‘ Io sono Io ‘), ma anche l’affermazione della realtà  dell’Io (‘ Io sono ‘), intesa a sua volta come l’atto con cui il soggetto, affermandosi come identico a se stesso, si ‘pone’ come tale (“Io sono, perchò pongo me stesso”). In altre parole: la coscienza dell’identità  dell’Io con se stesso coincide con il riconoscimento dell’attività  con cui l’Io pone la sua stessa realtà . Come lui stesso ammette nella Seconda introduzione alla dottrina della scienza del 1798, Fichte riconosce la possibilità  di una ‘intuizione intellettuale’ (esclusa da Kant per ogni intelletto finito) mediante la quale il soggetto non solo conosce immediatamente se stesso, ma, visto che si tratta di un conoscere assoluto, non condizionato da alcuna forma conoscitiva, “pone” se stesso, è principio del proprio essere e delle proprie determinazioni. Il primo principio è detto tetico, in quanto nell’economia dialettica dei tre principi esso occupa la posizione della “tesi”, della “posizione”, del momento in cui qualcosa è affermato in modo assoluto o, appunto, “posto”. Ad esso si contrappone come antitetico, in quanto espressione dell’ “antitesi”, cioò della “posizione contraria” o “opposizione”, il secondo principio: “All’Io è opposto assolutamente un Non-io”. L’io, infatti, per mezzo della stessa attività  con cui pone se stesso, “oppone” a se stesso il Non-io, cioò pone una realtà  che ha i caratteri opposti a quelli dell’Io, una realtà  che è il contrario della soggettività  e si presenta come indipendente da essa, come oggetto. Quando, per esempio, mi rappresento un tavolo, l’attività  dell’Io interviene in due maniere diverse, che corrispondono ai primi due princìpi della dottrina della scienza. Da un lato, l’Io pone se stesso come autocoscienza, condizione primaria perchò qualsiasi rappresentazione, o qualsiasi altro atto di coscienza, sia possibile: in questa “posizione” di se stesso l’Io è considerato come attività  infinita e incondizionata, dal momento che è il principio primo assoluto. Dall’altro lato, l’Io rappresenta a se stesso il tavolo come qualcosa di “altro” rispetto al soggetto, cioò come un oggetto determinato che, in quanto tale, limita l’infinita attività  dell’Io, opponendogli qualcosa di estraneo e di contrario alla sua essenza, appunto il Non-io. La produzione del Non-io da parte dell’Io è quindi una forma di autolimitazione dell’Io, il quale pone esso stesso ciò che lo limita. L’opposizione del Non-io all’Io comporta tuttavia un serio problema. Essendo l’Io per definizione infinito, come può contrapporglisi il Non-io come alcunchò di esterno e di altro da sò? Come può l’infinito essere limitato e determinato da qualcos’altro, ancorchò posto da esso stesso? A questo problema fornisce una risposta il terzo principio, che Fichte chiama sintetico, poichò rende appunto compatibili la tesi, l’Io, e l’antitesi, il Non-io: “All’interno dell’Io, il Non-io oppone all’Io divisibile un Non-io divisibile”. L’Io a cui il Non-io si oppone non è l’Io infinito, che sta a fondamento di ogni attività  conoscitiva e pratica e che è il primo principio assoluto della dottrina della scienza, bensì gli Io divisibili, ossia gli Io individuali ed empirici in cui l’Io assoluto si rifrange. L’opposizione tra Io (finiti) e Non-io (altrettanto finiti) è quindi tutta interna all’attività  dell’Io infinito: ponendo se stesso, l’Io assoluto pone anche al proprio interno, come espressione della propria attività , l’opposizione reciproca tra una pluralità  di Io divisibili (le singole coscienze individuali) e una pluralità  di Non-io altrettanto empirici (i singoli oggetti del mondo esterno). In questo modo ciascun individuo, se da una parte, in quanto soggetto, è partecipe dell’infinita attività  creatrice dell’Io assoluto, dall’altra parte trova di fronte a sò la resistenza dei singoli Non-io, delle realtà  naturali particolari, che l’Io assoluto gli oppone come limiti alla sua oggettività .

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