Inventa una Fiaba: La storia di Fiocco di Neve - StudentVille

Inventa una Fiaba: Il Fiocco di Neve

Inventa una Fiaba: Il Fiocco di Neve

Il Fiocco di Neve: fiaba inventata da Giulia S. 

Camilla è una bambina un po’ diversa dalle altre: i suoi migliori amici sono gli animali del bosco, alcuni dei quali dispensano preziosi consigli. Tra di loro, ad esempio, c’è il vecchio Tack, l’amico tasso che un giorno le ha detto: “solo se si è capaci di trovare due fiocchi di neve identici si può capire se si sta crescendo veramente”. Ce la farà la nostra Camilla a diventare grande? Lo scoprirete leggendo quella bella fiaba di Giulia S., studentessa della I E del Liceo Scientifico A. Guarasci di Soverato.

Inventa una Fiaba: Il Fiocco di Neve di Giulia S.

L’estate era passata da un bel po’ e già gli alberi dalle grandi foglie si erano quasi del tutto spogliati. Quell’anno però il rigido freddo del Nord sembrava bussare alle porte con un certo anticipo, infatti le sere cominciavano ad essere piuttosto gelide. Camilla del resto aveva capito che la stagione stava per cambiare. Lei temeva l’arrivo dell’inverno e non per il bellissimo manto bianco, che al contrario le metteva molta allegria, ma piuttosto perché gran parte dei suoi amici si ritiravano in letargo per lunghi, interminabili mesi. Da giorni, infatti, aveva notato che diversi amici avevano iniziato a cambiare veste: Lenny la lepre aveva quasi le zampette bianche, e così pure Henry l’ermellino. Il piumaggio di Charlie la civetta e di Penny la pernice già era tutto chiazzato, come se un imbianchino distratto gli avesse fatto sgocciolare sopra il suo pennello. Camilla le notava subito certe cose: del resto passava gran parte dei suoi pomeriggi con gli amichetti del bosco.

Camilla era una bambina assai spiritosa e allegra, che viveva nel piccolo villaggio degli Holsen, in una casa sul limitare della grande foresta. Qui ci abitava con la madre e il fratellino Josef. Come dicevo, subito di ritorno da scuola, dopo aver dato il fieno agli animali e il becchime ai polli, era solita ogni giorno sparire nella fitta boscaglia. Per la verità sua madre si era spesso mostrata contraria a questa abitudine di Camilla di trascorrere molte ore nella foresta. L’aveva addirittura sgridata ben due volte: la prima quando per rincorrere tra gli alberi un vitellino aveva finito per spaventare la mandria che nel fitto della vegetazione non trovava più la strada per la stalla. E l’altra perché dopo un’intera giornata a giocare da sola nel bosco, era rincasata col buio con un bel bernoccolo in testa ed entrambi i gomiti sbucciati dopo una caduta dall’albero. Se ben ricordo quella volta la ramanzina fu particolarmente severa e accompagnata da una dolorosa sculacciata. Eh sì, la fece grossa quel giorno: gli uomini del villaggio già la stavano cercando con le fiaccole e la madre aveva il cuore in gola per la preoccupazione. A lei però la punizione sembrò eccessiva e, come capita spesso ai bambini, mise su un broncio per settimane e toccò ancora una volta al vecchio Tack, il tasso, restituirle un po’ di buonumore. Le disse infatti che bisogna aver pazienza con i grandi, specie quando si fanno severi ed esigenti perché è il loro strano modo di prendersi cura; che bisogna essere cresciuti per capire le loro ragioni. Poi aggiunse una cosa strana: solo se si è capaci di trovare due fiocchi di neve identici si può capire se si sta crescendo veramente. Bella sfida!

Era proprio pensando alle parole del vecchio Tack che, diversamente dagli altri anni, Camilla aspettava quell’inverno con molta esaltazione. Si era ripromessa di attendere la prima neve per cogliere quanti più fiocchi possibile in modo da verificare se avesse ragione il maestro, che durante una lezione sul ghiaccio aveva affermato che ogni fiocco è assolutamente unico, o invece l’anziano e saggio amico che conosceva bene i segreti della natura.

Nel frattempo però a casa stava accadendo da giorni qualcosa di molto curioso: le ultime salsicce appese su in soffitta erano d’un tratto scomparse ed anche alcune formelle di cacio non si trovavano più. Sia Camilla che la madre si erano inoltre accorte che il numero dei pulcini non tornava e giusto quella mattina il cestino delle uova, che da sempre tenevano sul davanzale, era stato inspiegabilmente svuotato. La cosa aveva seminato non pochi sospetti e anche un certo fastidio. Tanto più che anche i vicini lamentavano queste misteriose sparizioni.

Inizialmente era stata data la colpa alla volpe Phil: non era la prima volta che si serviva così della sua astuzia. Poi si pensò a Tod e Dack, i due topolini campagnoli dall’insaziabile appetito e dall’agilità impareggiabile. Camilla però sapeva che non erano stati loro: li aveva incontrati come ogni giorno alla riunione sotto la grande quercia, dove si ritrovava tutta la compagnia per raccontarsi le novità del bosco e confessarsi tutti i segreti. Lì Buff il gufo aveva ammesso di aver catturato un cucciolo di ghiro, e Grac il corvo di aver trovato sul tetto della signora Wilson una grossa lucertola stecchita, ma di salsicce e uova nessuno aveva fatto cenno. Anche se a pensarci bene da qualche tempo alle riunioni non si faceva vedere la faina Fanny, che giusto l’anno prima si era trasferita in questa parte della foresta. Vero! Era da un bel po’ che non si vedeva in giro.

Camilla capì subito che se l’artefice di quei furti fosse stata Fanny, allora sarebbe stata in pericolo, perché i cacciatori quella mattina avevano già disposto moltissime trappole dietro l’insistenza degli abitanti derubati. Decise così di mettersi a cercarla e propose agli altri compagni di organizzarsi in tre squadre a cui avrebbero fatto capo rispettivamente Buff, Grac e Math il merlo, che dall’alto avrebbero guidato le ricerche. Il sole stava già calando e Camilla pensò bene di seguire la vista acuta del gufo, che in pochi minuti planando tra i rami scovò l’agile faina tra le fauci di ferro di una trappola. Era da poco caduta nel tranello e si agitava per liberarsi. Quando gli altri arrivarono lei sembrò quasi spaventata, e appena l’orso John aprì la tagliola con tutta la sua forza, Fanny scappò via senza ringraziare, né voltarsi a salutare gli amici. Questi forse avevano capito il perché, ma Camilla volle rincorrerla. Corse a perdifiato per un tempo che le sembrò lunghissimo, tra gli sterpi e rovi, e con una luce ormai sempre più lieve. Arrivò su un’altura da dove la vide sgusciare infilandosi nella fessura tra due rocce. Con animo incuriosito e un po’ arrabbiata per quanto era successo, si avvicinò alla tana e quello che vide la lasciò di stucco: Fanny era sdraiata a leccarsi la ferita mentre sei piccolissimi cuccioli allattavano tra gusci di uova, croste di formaggio e piume gialle. Restò a guardarli qualche istante con gli occhi pieni di lacrime, poi fece per andarsene, ma si rese conto che la notte era già calata e la strada di casa sarebbe stata difficile ritrovarla col buio. Riuscì a trovare invece la grande quercia e tra le sue radici si addormentò, mentre Tack le si stringeva accanto per riscaldarla e farle da cuscino.

Arrivò il mattino e con esso l’inverno. Camilla si svegliò di colpo quando sentì poggiarsi sul naso un freddo fiocco di neve. Si tirò su e si accorse che ogni cosa si stava imbiancando, persino la pelliccia di Tack. Poi guardò dritta la punta del suo naso con entrambi gli occhi. Il fiocco era uno soltanto ma a lei parve di vederne due identici.    

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