Liceo Scientifico "G.Battaglini"
Taranto

 

Gauguin
Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove andiamo?

Certamente appare impossibile conquistare risposte in un mondo sovraffollato e rumoroso….
E per quella voglia di capire, spesso, il jolly , in quella voglia di solitudine, si rintana nel suo cantuccio a guardare il mondo, rendendo "arte e poesia" quei dialoghi da solitario con la sua unica compagnia, pronto a dedicarli a quella folla dalla quale è fuggito alla ricerca di sè.
Proprio l'evasione dalla società moderna è il tema centrale della poetica artistica di Gauguin. Desideroso di ritrovare la condizione quasi mitologica dell'autenticità, egli fugge dal mondo complicato, alla ricerca di semplicità, alla ricerca di Natura.
Se Gauguin per dare senso alla sua ricerca e all'immaginazione artistica deve estraniarsi dalla società moderna, è perché in essa non c'è più spazio né tempo per l'immaginazione: la "non-civiltà" non è quella dei popoli primitivi, ma quella dell'uomo che, in nome della modernità, si allontana da se stesso.
Con la voglia di tracciare nuovi percorsi artistici originali, benché provi ammirazione per Cézanne e amicizia per Van Gogh, dà voce al suo entusiasmo per la natura, con un atteggiamento né esotico né romantico: non cerca qualcosa d'altro o di diverso, ma l'indagine della realtà profonda del proprio essere; Gauguin esplora il mondo per scoprire le origini e i motivi remoti delle proprie sensazioni, per poi rappresentarlo con il "sintetismo", uno stile che il critico contemporaneo Albert Aurier definirà tipico di un'arte "idealista, simbolista, sintetica, soggettiva e decorativa".
Nei dipinti di Gauguin non c'è rilievo né profondità, eppure le opere non risultano "piatte": la loro profondità non è di spazio, ma di tempo, un tempo remoto e profondo sul quale le immagini si adagiano e dilatano.
Dato che per Gauguin le immagini occupano uno spazio e un tempo interiore, egli non le tratta con effetti di luce, come gli Impressionisti, ma fa in modo che la luce stessa sia emanata dai corpi delle figure. Trasforma la struttura Impressionista del quadro in una struttura di comunicazione espressionista. E in questa chiave di lettura dell'opera d'arte, riesce a rispondere, in modo originale, alle domande del jolly:

Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove andiamo?

Gauguin, stanco, deluso, avvilito, probabilmente nel timore di essere ormai un deserto i cui giacimenti erano tutti esauriti, volle dipingere questo quadro, come una sorta di testamento spirituale prima del suicidio, in forza della una totale presa di coscienza dell'esserci e del suo primato ontologico. Pensava che questa sua enorme rappresentazione simbolica contenesse tutti gli elementi chiave per spiegare una vita, pensava di aver ormai terminato le sue scoperte.
Poi, però, il suicidio non riuscì, dimostrando che non era così e che la vita gli riservava ancora delle scelte. In forza di questa scoperta, Gauguin scrisse varie lettere parlando della tela che sarebbe stata eseguita in un mese di lavoro, descrivendola come "un affresco su una parete d'oro, con gli angoli rovinati" (gli angoli superiori sono gialli e contengono l'uno il titolo, l'altro la firma). E' dunque un poema figurato, da non intendersi tuttavia né come una narrazione di fatti, né come un'allegoria evidente; ogni elemento dell'iconografia ha significato simbolico e rimanda a qualche aspetto del percorso della vita umana. Questo vuol dire che tutto ciò che vediamo lì rappresentato, parole e cose, non ha un unico significato, ma cambia e si approfondisce per mezzo della nostra capacità di conoscere i segreti collegamenti tra tutte le cose e le parole.
A destra, in basso, un bambino addormentato (simbolo della nascita) e tre donne sedute. Due figure vestite di porpora si confidano i propri pensieri. Una grande figura accovacciata, che elude volutamente le leggi della prospettiva, leva il braccio e guarda attonita le due donne che osano pensare al loro destino. Il centro della tela è dedicato al mondo degli adulti con le loro gioie, i loro dolori e, spesso, la loro disillusione. Spicca una figura più grande e luminosa di una fanciulla che coglie frutti (simbolo della Vita). Vari animali popolano la tela, nostri compagni di viaggio. Un idolo, con le braccia alzate misteriosamente e aritmicamente, sembra additare l'aldilà, una fanciulla seduta pare ascoltare l'idolo. Infine una vecchia rassegnata, prossima alla morte (e sua allegoria), placata e presa dai suoi pensieri, (quasi come il saggio stoico raccontato da Seneca) completa la storia, mentre uno strano uccello bianco, che tiene una lucertola con gli artigli, rappresenta la vanità delle parole.
Si svolge tutto sullo sfondo di un corso d'acqua, in un bosco, simbolo dello scorrere del tempo nell'imperturbabilità della Natura. Più lontano il mare e le montagne di un'isola vicina. Così, come la storia si esprime attraverso le diverse età della vita e la rappresentazione di statue o elementi della mitologia religiosa, il paesaggio è quello strato ondulato di caldi colori terrestri che allontanandosi verso l'orizzonte tendono finalmente al blu, su cui le figure nude risaltano in un audace arancione.
Alle tre domande, alle inquietanti domande che il jolly si pone sul mistero del proprio passaggio in terra, sul perché della propria esistenza transitoria, sulla propria origine, sulla propria vita, sulla propria fine, alle tre domande senza risposta, corrisponde la pacata solennità delle figure, disposte secondo calcolati rapporti reciproci, lineari e cromatici, trovando la propria giustificazione non nella logica espositiva di parole o di idee, ma in quella compositiva.
Scrive Gauguin: " l'ho eseguito a memoria con la punta del pennello su tela di sacco piena di nodi e rugosità. Può apparire trasandato, non finito, ma mi pongo questa domanda: dove comincia l'esecuzione di un quadro e dove finisce?"
Probabilmente è davvero un testamento incompleto, poiché necessariamente incompleta è ogni opera che non descriva il cerchio intero di una vita.
L'incompletezza, come mancanza di dati non significa però vanità, anzi si può considerare come il tentativo di sfuggire alla fine attraverso la comunicazione del provvisorio. Il paesaggio che riusciamo a inquadrare in un determinato momento esprime le nostre attuali conoscenze e quindi ciò che adesso siamo. E' un'idea, l'idea di un paesaggio in cui il confine tra fuori e dentro si confonde nel bisogno di essere attraverso la comunicazione.
Un paesaggio ideale presuppone due punti totalmente oscuri, due misteri: uno è l'inizio e uno è la fine. Sul Donde veniamo? e sul Dove andiamo? non c'è alcuna certezza, né risposta che si possa ritenere vera. Ci sono però un'infinità di teorie che tentano più o meno scientificamente di dare una visione, cioè di fare luce su questi misteri. Attraverso la propria capacità di lettura del paesaggio l'io dimostra e comunica la sua esistenza come cosa provvisoriamente finita. Poi tutto ricomincia ed ogni nuova scoperta si aggiunge alle precedenti, che dentro la cornice ormai delimitata, continuano a svelare e a rivelare il mistero degli angoli gialli… Gauguin, quasi un mediatore tra l'infinito e il mondo, jolly tra il mazziere e le carte, si mostra capace di "inventare", di creare dal nulla, quasi come un dio in terra, facendo vivere nella sua opera il suo pensiero…e di fronte all'indefinitezza del cerchio della Vita, davanti a un orizzonte che non può dominare, egli sembra quasi "spaurirsi", come quel poeta romantico di fronte all'infinito scorrere del tempo……..