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Fabio Giuliani
Nato il 30 marzo 1988 a Senigallia (AN) risiedo a Castel di Lama (AP).

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Storia del Fascismo

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Le vicende del Fascismo italiano sono strettamente connesse con gli eventi storici che coinvolsero il paese nel periodo intercorrente fra le due grandi guerre mondiali. La data di nascita ufficiale del Fascismo è ormai da tutti riconosciuta nel 23 marzo 1919, quando Benito Mussolini, durante una riunione tenuta nella sala del circolo degli interessi industriali e commerciali in piazza S. Sepolcro a Milano (onde poi i pochi presenti furono insigniti del titolo di “sansepolcristi”), annunciò ai suoi seguaci e simpatizzanti la costituzione dei Fasci italiani di combattimento. Sotto questa battagliera impostazione, Mussolini intendeva dar vita ad un movimento più che ad un partito (creato infatti soltanto il 7 novembre 1921), avente lo scopo di valorizzare con l’azione il contributo offerto dall’Italia alla vittoria degli Alleati e di porre ordine nell’assetto statale della nazione che, se pure uscita vittoriosa dalla Guerra, ne risentiva le gravose conseguenze, esasperate dal disaccordo dei vari partiti politici. Si trattava però, di un programma piuttosto vago e generico, in quanto, come vedremo in seguito, solo assai più tardi si passò ad una vera e propria elaborazione della teoria del Fascismo. Basta infatti accennare che il movimento si sperdeva in molte affermazioni anche contrastanti fra loro, oscillando tra il repubblicanesimo e la tolleranza monarchica, tra un sindacalismo che non tradiva le origini socialiste mussoliniane e la difesa degli interessi borghesi e capitalistici, dai cui ceti il Fascismo fu indubbia­mente e notevolmente aiutato, tra un dichiarato anticlericalismo da un lato e un prolungato intento di difesa delle tradizioni cattoliche dall’altro. Nello stesso anno 1919 il movimento fascista fece il suo primo tentativo elettorale, ma ne riportò una clamorosa sconfitta, di fronte alle pur sempre valide forze liberali, socialiste e del giovane ma agguerrito Partito popolare. La prevalenza di questi partiti fu però effi­mera: lo stato liberale-giolittiano, ancorato su posizioni nettamente superate dalla naturale evoluzione dei tempi, andava infatti disgregandosi logorato dalle polemiche interne e dalla mancanza di quel prestigio e di quella autorità necessarie a tener testa ad un delicato periodo di crisi economica e sociale quale era quello del dopoguerra. E’ dunque spiegabile come, in quel momento, il Fascismo, con le sue demagogiche promesse facenti leva sul sentimento romantico di una resurrezione patriottica, potesse acqui­starsi una certa simpatia e nei ceti sostenitori dello stato ordinario e legalitario e nei gruppi agrari e industriali, che vedevano in un indirizzo autoritario la migliore difesa dei loro interessi, minacciati soprattutto dalle correnti ugualitarie e livellatrici marxi­ste e specialmente dalle rivoluzioni comuniste. 
Ebbe cosi inizio un periodo partico­larmente triste per il paese, durante il quale il Fascismo — che aveva ben compreso la possibilità di superare con pochi elementi decisi (gli squadristi, che si fregiavano di nere insegne ornate di teschi) i molti raziocinanti avversari dei partiti — passò ad una azione intimidatrice di violenza e costrizioni, quasi sempre incoraggiate dall’incer­tezza e dalla tolleranza dell’autorità costituita, anche con manifestazioni particolar­mente disgustose come quelle delle abbondanti «manganellature» e delle sommini­strazioni di olio di ricino. Si arrivava in tal modo al paradosso di un movimento che, propugnatore della legalità, cercava di aprirsi la strada del potere servendosi della più evidente illegalità, e creando un doloroso disordine mentre si prefiggeva di “norma­lizzare” la situazione.  
Sarebbe assurdo negare che, ciò nonostante, il Fascismo non abbia raccolto un certo seguito, mentre gli oppositori, se pure dignitosi, non potevano in verità suscitare molte simpatie, per crescente dimostrazione di una impotente debo­lezza tale da rasentare l’inettitudine. I partiti marxisti, che avrebbero potuto costitui­re un ostacolo difficile per il Fascismo, dispersi da troppe scissioni in altrettante correnti sempre in urto tra di loro, furono quelli più violentemente colpiti, cosicché, elimina­ta la loro concorrenza, il nuovo movimento, per di più organizzato quasi militarmen­te colse l’occasione, e promosse la nota marcia su Roma delle colonne fasciste (28 ottobre 1922). Mentre gli avversari peccavano ancora una volta di indifferenza e di incredulità nelle conseguenze dell’avventura, la marcia ebbe il potere di impressiona­re fortemente la monarchia e gli uomini più eminenti dello stato. Infatti, re Vittorio Emanuele III, rifiutando la proposta del capo del governo Facta di proclamare lo stato d’assedio, per il timore di una deprecata guerra civile, nella speranza effettiva di migliorare la situazione, ed a seguito del rifiuto degli esponenti delle diverse correnti politiche di assumere il mandato governativo, chiamò al Quirinale Mussolini, giunto a Roma con i «quadrumviri» Bianchi, De Bono, Balbo e De Vecchi, e gli offerse l’incarico di formare il gabinetto. L’ordine tanto auspicato non si verificò: per parecchio tempo i contrasti di piazza angustiarono il paese, anche perché l’appoggio gover­nativo all’azione delle squadre fasciste non poteva che inasprire le opposizioni, or­mai presaghe di quella che tra poco sarebbe stata la loro completa soffocazione. In questo clima vennero indette le elezioni politiche del 1924, con il preordinato scopo di rendere legale lo stato di cose che certo imbarazzava gli stessi esponenti fascisti. Si introdusse uno speciale sistema elettorale basato sul «premio di maggioranza», capa­ce di dare praticamente tutto il Parlamento in mano alla lista che avesse ottenuto una maggioranza relativa; maggioranza relativa che infatti il Partito nazionale fascista (PNF) ottenne, impostando la sua campagna elettorale sulla intimidazione e sulla violenza. Si formò così un Parlamento che non rispecchiava affatto le forze politiche italiane; tuttavia le opposizioni parlamentari, sia pure sparute e non bene organizza­te, dimostrarono in quella occasione un alto spirito battagliero. Tra i più tenaci oppositori si rivelò subito il deputato socialista Giacomo Matteotti, il quale, mentre si riprometteva di documentare in piena Camera i soprusi e le soperchierie mediante i quali il Fascismo aveva raggiunto il successo, venne rapito da sicari fascisti e barbaramente assassinato nei pressi di Roma. Il martirio di Matteotti, uomo di alta statura morale e di indiscussa probità politica, coincise con il momento di crisi del Fascismo, che, aspramente attaccato per la responsabilità del crimine, personalmente attribuita allo stesso Mus­solini, rasentò l’orlo della caduta, anche per l’indignazione suscitata nel paese da tale misfatto. Sennonché, ancora una volta le opposizioni commisero l’errore di agire sul piano simbolico anziché sul piano concreto, e, rifiutandosi di mettere piede nella Camera fascista, si ritirarono dall’attività parlamentare, dando luogo alla secessione: detta dell’Aventino (giugno 1924), dal nome del colle romano che aveva visto la secessione dei plebei. Questa ritirata rimase fine a se stessa, senza alcun seguito pratico, invano sperato ed atteso da parte della stessa monarchia. Mussolini, assai più tempista e sicuro di sé, ebbe pertanto il tempo di sollevarsi dallo stato di disagio in cui era venuto a trovarsi e riprese l’iniziativa, presentandosi il 3gennaio 1925 alla Camera per dichiarare di assumersi tutta la responsabilità politica, morale e storica di quanto era accaduto e annunciare in termini draconiani le sue contromisure, consistenti in una serie di provvedimenti che sopprimevano in Italia ogni forma di libertà e rendevano impossibile ogni opposizione che non fosse soltanto clandestina. Il naufragio degli aventiniani trovava conferma l’anno successivo con la legge chedichiarava decaduti dal mandato i deputati che dal giugno 1924 si erano astenuti dal partecipare ai lavori parlamentari. Da allora, il Fascismo rimase padrone del campo e sop­presse le fondamentali guarentigie costituzionali (libertà di stampa, di riunione, associazione, ecc.), mirò a consolidare la sua forza, basandosi soprattutto, da un lato, su di una efficiente organizzazione poliziesca, e dall’altro, su una crescente propaganda di valorizzazione nazionale, ricca di suggestioni derivate dall’antico prestigio della romanità. Inoltre, dal punto di vista economico, giocando sulla blandizia verso le classi operaie e allo stesso tempo seguendo una politica protezionistica verso i maggiori industriali, lanciò il postulato della indispensabilità della autosufficienza economica dell’Italia, la cosiddetta «autarchia», al fine di sottrarsi ad ogni eventuale vassallaggio straniero. In realtà, questa politica sempre più esaltatrice di un amor patrio inteso più che altro come superiorità della nostra nazione sulle altre, unitamente alla campagna per l’incremento demografico e alla volontà di potenza, non tendeva che a dare dimostrazioni bellicose di una forza esistente più sulla carta chenei fatti, come per esempio nel campo militare. D’altra parte, alcune ammissionifatte da alcune delle stesse grandi potenze, ingenerarono in Mussolini e in molti Italiani l’illusoria opinione di essere veramente più forti di quanto non fossero e sfortunatamente anche uomini saggi e consapevoli non osarono in quei tempi, se non in casi eccezionali e comunque timidamente, ammonire sul pericolo in cui il Fascismo stava gettando l’Italia. Per non dire della criminale ipocrisia di coloro che, mentre a parole esaltavano il regime, lo andavano sabotando nella speranza di liberarsi con poca fatica di un sistema ormai alquanto imbarazzante per loro. Così, quando Mussolini concepì l’impresa di conquistare all’Italia il famoso «posto al sole» con la vittoriosa, per quanto piena di sacrifici, campagna d’Etiopia (3ottobre 1935- 9maggio l936) – il coro delle lodi sali alle stelle, esasperando l’utopia imperiale dell’Italia, la quale in effetti, non aveva trovato altra opposizione all’infuori delle sterili deplorazioni della Società delle nazioni. Malgrado tutto, fu questo il periodo migliore del Fascismo: la stessa oppressione poliziesca e il Tribunale speciale per la difesa dello Stato davano segni di rilassamento, e il popolo italiano, disavvezzandosi gradatamente alla democrazia poteva sperare in tempi piuttosto tranquilli. Sennonché Mussolini, non soddisfatto dei successi conseguiti, entrò nell’orbita della Germania di Hitler, tesa alla conquista dell’Europa. Sopravvalutazione della propria forza e sopravvalutazione della forza germanica: ecco il fatale errore del Fascismo che, dal momento dell’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) inizia la sua parabola discendente. La guerra infatti mostrò subito le deficienze di un regime composto da illusi, da arrivisti e da inesperti consi­glieri, destinato pertanto alla rovina, malgrado le pagine eroiche ancora una volta scritte dai soldati italiani, spinti al combattimento sui vari fronti di guerra in condi­zioni di spaventevole inferiorità in mezzi e materiali. Mentre la monarchia tentava di sganciarsi dal Fascismo, subito dopo lo sbarco degli Anglo-Americani in Sicilia, Mussolini cadeva nella storica seduta del Gran consiglio del 24-25 luglio 1943, per opera dei suoi stessi collaboratori, che gli negavano la fiducia. Di qui il suo arresto da parte della monarchia e lo scioglimento del partito da parte del governo Badoglio. E questa può essere veramente considerata la data di morte del Fascismo mussoliniano, in quanto la triste appendic­e del Partito fascista repubblicano, creatosi nell’Italia del Nord durante l’occupazione tedesca, non fu che un sanguinoso fantasma, alimentato dal feroce ex alleato, che si agitò nel periodo doloroso della guerra civile (settembre 1943- aprile 1945), periodo che conobbe il sacrificio di tante vite e gli strazi e le sofferenze della popolazione civile, e culminato infine nella fucilazione di Mussolini (28 aprile 1945).