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L'infinito

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Quando menzioniamo il sostantivo ‘infinito’ il primo nome che affiora prorompente dalla nostra memoria è sicuramente quello di Giacomo Leopardi. Nato a Recanati nel 1798 da padre conte e letterato e da madre impegnata a riassestare il patrimonio familiare più che dedicarsi all’educazione dei figli,ebbe un’infanzia triste e solitaria. Si sentì sempre compresso nell’ambiente rozzo del suo piccolo paese e questo lo portò a chiudersi in sé stesso in compagnia dei suoi libri. Si interessò alla letteratura e alla poesia e così iniziò la sua copiosa produzione che noi oggi conosciamo. Più che della vita e delle opere di Leopardi, la nostra attenzione è da porre su una poesia appartenente agli idilli: L’infinito.
Composto nella primavera del 1819,primo di quel gruppo di canti che il poeta chiamerà idilli a sottolineare il carattere di pure “avventure dell’animo”, L’infinito rappresenta il momento di lirica effusione che impegnò molto il poeta in quegli anni e di cui si trovano tracce anche nello Zibaldone. L’immergersi in una coscienza cosmica dell’infinito non è inteso dunque da Leopardi come abbandono ad una pura emozione, ad un immediato vagheggiamento musicale,ma nasce sempre da una consapevolezza attenta della realtà,da un’esigenza di superamento dei suoi dati immediati. È per questo che si parla di una dimensione religiosa dell’infinito in Leopardi, quello che diventerà,nel “Canto Notturno” o nella “Ginestra” una meditazione ammirata dell’immensità della vita del cosmo. Qui però è ancora ansia e vagheggiamento di un assoluto e di un’eternità che nasce dalla coscienza della finitezza della propria realtà individuale. Bisogna sottolineare come l’idea dell’infinito sia molto lontana da qualsiasi voce scientifica o filosofica. E’ solo il riverbero di una realtà incommensurabile sugli ingenui sensi di un uomo che avverte un sentimento. Così paradossalmente i legami con la realtà hanno la vaghezza di un sogno,si affidano ad una fantasia tradotta in sentimento. Potremmo dividere le sensazioni in due momenti: quello visivo e quello auditivo.
- La sensazione visiva (sguardo impedito dalla siepe); fantasia (immaginazione di mondi sterminati e silenziosi); sentimento (…ove per poco il cor non si spaura);
- La sensazione auditiva( vento che stormisce tra le piante); fantasia (eternità,trascorrere del tempo); sentimento (e il naufragar m’è dolce in questo mare).
Ad una prima lettura l’Infinito risulta essere un’opera circolare a struttura chiusa dove l’inizio offre parecchi collegamenti con la fine,così ad esempio nel primo verso alla posizione enfatica del “caro mi fu” risponde quella diretta del “m’è dolce” dell’ultimo. Altro indice strumentale è la rivelazione della quantità e qualità (questo,quello…). Così riflettiamo che in una situazione in cui l’idea dell’infinito ,connessa a quella di indefinito, dovrebbe portare ad una prevalenza di determinatori di lontananza,ma ci accorgiamo che maggior parte sono invece di presenza fisica cioè “questo”,che evocano la realtà,allo stesso modo riscontriamo la presenza di ben 21 nomi di oggetti fisici. Questo per dire che la grandezza del Leopardi è stata anche quella di creare un’immaginazione “infinita” adoperando termini e linguaggi del tutto finiti e narrare così l’impalpabile attraverso il concreto.

 


G. Leopardi


Il colle della poesia



 

 

 

 

 

 

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando interminati
Spazi di là da quella,e sovrumani
Silenzi e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
vo comparando:e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni,e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare