[T2]Vita[/T]
Lucio Anneo Seneca (Cordoba 4 ca a.C. Roma
65 d.C.) nacque da Seneca il retore e da Elvia, secondogenito di tre figli. Si recò da bambino a Roma, dove frequentò le
migliori scuole di retorica e quelle dei principali maestri della filosofia, quali lo stoico Attalo e Papirio Fabiano, vicino
alla scuola stoico-pitagorica dei Sestii, caratterizzata da interessi naturalistici e da un forte rigorismo morale. Dopo un
lungo soggiorno in Egitto (26-31 d.C.), che arricchì la sua curiosità filosofica e scientifica, intraprese a Roma la carriera
forense e il cursus honorum e conseguì la carica di questore.
Fu decisamente inviso a Caligola che, forse per una
controversia giudiziaria, lo condannò a morte nel 39 d.C.; fu salvato solo per l’intervento di una donna, amante
dell’imperatore. Con Claudio la sua posizione si aggravò: nel 41 d.C. venne accusato da Messalina, moglie
dell’imperatore, di aver commesso adulterio con Giulia Livilla, sorella di Caligola e figlia minore di Germanico, e
condannato all’esilio in Corsica. Seneca vi restò otto anni, finché Agrippina Minore, la nuova moglie di Claudio, gli fece
revocare l’esilio e lo richiamò a corte. La sua carriera politica riprese con la carica di pretore; il suo prestigio
politico aumentò quando Agrippina lo scelse come pedagogo del figlio di primo letto, Lucio Domizio Nerone, destinato, nei
progetti materni, alla successione di Claudio, da cui era stato adottato.
Nel 53 d.C. divenne imperatore Nerone e Seneca fu
al suo fianco, condividendo con il solo Afranio Burro, prefetto del pretorio, il ristrettissimo “consiglio del principe”. Con
tutta la prudenza possibile cercò di guidare nei primi anni del principato la politica e la vita del giovanissimo principe: è
il periodo del buon governo, in cui venne attuata una difficile politica di equilibrio tra il potere imperiale e quello
dell’aristocrazia senatoria, cui apparteneva lo stesso Seneca. I provvedimenti tendenti a restituire il prestigio al Senato
e a ottenere il favore della plebe indicano che la politica di Seneca ebbe successo, non senza però gravi compromessi da parte
del filosofo. Nulla dicono le fonti circa una sua corresponsabilità nell’avvelenamento di Britannico, fratellastro
dell’imperatore e da questi fatto uccidere, ma neppure esiste traccia di una sua opposizione. Del matricidio perpetrato da
Nerone (59 d.C.) il filosofo dovette essere, per lo meno, il regista nelle fasi difficili, quando si trattò di costruire una
copertura autorevole di fronte al Senato.
La morte di Burro (62) e l’ascesa di Tigellino, nuovo prefetto del pretorio,
orientarono la politica di Nerone sempre più in senso antisenatorio e segnarono la fine dell’influenza di Seneca, il cui
ruolo divenne insopportabile per l’imperatore. Nello stesso anno fu congedato dalla corte e la meditazione sulla morte, che
sempre aveva scandito la sua riflessione, divenne da allora il suo più assiduo esercizio nelle composizioni e nella vita.
Quando nel 65 fu scoperta la congiura antineroniana dei Pisoni, Seneca, coinvolto e condannato a morte, si tolse la vita: quel
suicidio “stoico”, di cui resta testimonianza in una pagina mirabile di Tacito, doveva assumere significato esemplare di
autonomia spirituale e intellettuale nei secoli successivi, soprattutto nel mondo cristiano.
[T2]Opere[/T]
Della
vasta produzione letteraria di Seneca le opere che occupano maggior spazio sono quelle di carattere filosofico, raccolte
postume nei Dialogi: questa opera è formata da 12 libri e tratta questioni etiche e psicologiche.
Di carattere più
scientifico sono i 7 libri del Naturales Questiones; abbiamo inoltre 9 tragedie cothurnatae, cioè di argomento greco, e il
Ludus de morte Plaudii (o Apokolokyintosis) che parla della singolare apoteosi dellimperatore.
Diverse anche le opere
perdute, sia di carattere filosofico, sia di carattere scientifico, geografico, etnologico.
[T2]Pensiero Filosofico[/T]
La filosofia di Seneca unisce elementi pitagorici e cinici, provenienti dalla sua prima educazione, dando grande
importanza all’esame di coscienza quotidiano e alle scienze naturali.
Anche nelle tragedie vengono rappresentati
caratteri estremamente negativi, forse a significare proprio che “senza retta ratio e filosofia non esiste via di scampo”.
Per inquadrare il pensiero di Seneca bisogna ricordare, che essendo figlio di un importante retore, era destinato ad una
carriera politica di prim’ordine.
Furono però i casi della vita (malattia, esilio, ruolo di educatore e di consigliere)
che accentuarono nella sua filosofia il carattere etico con il quale trattò tutti i temi fondamentali: passioni, rapporto tra
uomo e tempo, libertà, incoerenza della schiavitù, felicità, politica, morte, autarkeia. Dal canto suo Seneca aggiunse uno
spiccato interesse per la natura ed i suoi fenomeni. Molte furono le filosofie che ispirarono il pensiero di Seneca nella sua
vita, le principali furono quella stoica, epicureista e platonica.
Seguendo la filosofia STOICA Seneca:
sostiene che ci si possa gradatamente avvicinare alla perfezione del saggio controllando e superando la propria ira (vedi De
Ira).
è convinto che al raggiungimento della felicità non nuocciano i vantaggi esterni (salute, bellezza, ricchezza),
che sono irrilevanti per la vera felicità ma sono comunque preferibili ai loro contrari. (Vedi De Vita Beata)
ha una
visione del saggio libero da ogni condizionamento esterno ed è capace di considerare le difficoltà della vita come puri
esercizi alla virtù, le quali sono date allumanità per volontà divina provvidenziale. (Vedi De Providentia)
il
saggio non può essere toccato da alcun danno ne da alcuna offesa: limperturbabilità presuppone lassoluta autosufficienza
(autarkeia) (Vedi De Costantia Sapientis)
desiderio contrastane di praticare lotium e il negotium (Vedi De
Tranquillitate Animi Epistulae e il De Otio)
In comune con l’EPICUREISMO notiamo invece:
l’invito a
non temere la morte (Vedi Epistulae).
la concezione del tempo e l’invito a vivere ogni giorno come se fosse
l’ultimo (Vedi De Brevitate Vitae).
Seneca è però anche influenzato dal PLATONISMO:
l’elogio dalla
conoscenza pura
la filosofia come iniziazione che porta l’uomo dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della
conoscenza distinguendolo dall’animale
la filosofia come mezzo per raggiungere un distacco dalla quotidianità (Vedi
Epistulae)
il progetto di un principato filosoficamente orientato (Vedi De Clementia).
[T2]I Dialogi[/T]
Una delle poche opere databili, e quindi riferibili ad un avvenimento della vita di Seneca, è la Consolatio ad
Marciam;in questopera lautore consola Marzia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, per la morte del figlio trattando
questioni filosofiche quali la fugacità del tempo, la precarietà della vita e la morte come destino delluomo (temi attorno ai
quali ruoterà la filosofia di Seneca); nello stesso genere della consolazione vi sono altre due opere: Ad Helviam Matrem in cui
Seneca rassicura la madre e sottolinea alcuni aspetti positivi dellisolamento e dellotium contemplativo; poi cè Ad Polybium
in cui consola un potente liberto di Claudio per la morte del fratello ( per questa opera Seneca fu accusato di
opportunismo).
Le singole opere dei Dialogi formano ognuno delle trattazioni filosofiche su specifici argomenti, come ad
esempio i tre libri del De ira in cui Seneca tratta delle passioni umane, analizzando i meccanismi di origine e i modi per
inibirle e dominarle (tutto secondo la filosofia stoica in cui si può inserire Seneca).
Questopera è dedicata al fratello
Novatio, a cui dedicherà anche il De vita beata che tratta della felicità e di quanto la ricchezza può influire nel
perseguirla. Con questopera Seneca vuole fronteggiare alle accuse di incoerenza tra quello che scriveva e la sua condotta di
vita (Seneca accumulò unimmensa ricchezza grazie alla posizione occupata a corte e anche grazie allusura). Secondo Seneca
quindi la felicità non si ha tramite le ricchezze e i piaceri, ma nella ricchezza della virtù, e questo è il compito delluomo
saggio.
Il superiore distacco del saggio dalle contingenze terrene si può notare anche nella trilogia dedicata allamico
Sereno: il De constantia sapientis, De otio e il De tranquillitate animi, in cui Seneca abbandona il pensiero epicureo per
avvicinarsi a quello stoico. Nel De constantia sapientis Seneca esalta limperturbabilità e la fermezza del saggio di fronte
alle avversità; nel De tranquillitate animi Seneca parla della via di mezzo che deve intraprendere il saggio tra lotium
contemplativo e limpegno sociale proprio del civis romano, inserendosi così nella politica sociale: lobiettivo del saggio è
sempre quello della serenità danimo, ma con essa egli deve essere di esempio agli altri. Ma se nel De tranquillitate animi
ancora vi sono dei dubbi su quale via intraprendere, nel De otio Seneca sceglie nettamente la via dellozio contemplativo, in
quanto il saggio è impossibilitato dalla critica situazione politica, che gli impedisce di essere esempio per gli altri, e che
non fa restare al saggio alcuna alternativa tranne il ritirarsi nella meditazione privata.
Tra il 49 e il 52 si colloca un
altra opera di Seneca: il De brevitate vitae. In questa opera Seneca parla della fugacità del tempo e della vita che appare
troppo breve perché luomo non riesce ad afferrarne lessenza ma la disperde in futili occupazioni.
Agli ultimi anni
dovrebbe corrispondere il De providentia,dedicata a Lucilio,in cui Seneca parla del disegno provvidenziale che regola le
vicende umane che premia i malvagi e punisce gli onesti. Secondo Seneca tutto questo rientra nel progetto del logos, che vuole
mettere alla prova il sapiens stoico per esercitarne la virtù.
[T2]Filosofia e potere[/T]
Dedicati a Lucilio sono
anche i Naturalium questionium libri VII, che è lunica opera scientifica di Seneca rimastaci. In questa opera Seneca analizza
alcuni fenomeni celesti e terrestri quali i terremoti, i temporali, le comete, il che è il frutto di una vasta osservazione
durata forse anni. Con questa opera Seneca forse intendeva dare un supporto scientifico al suo sistema filosofico.
Unaltra
opera di Seneca tramandata separatamente dai Dialogi sono i sette libri del De Beneficis. Lopera analizza la natura e le
modalità degli atti di beneficenza, i doveri morali del beneficiato e le conseguenze morali degli ingrati. Lopera sembra
trasferire sul piano morale il progetto di una società equilibrata e concorde, che Seneca aveva fondato sullutopia di una
monarchia illuminata.
Lopera in cui Seneca ha esposto più ampiamente la sua concezione del potere è il De Clementia.
In
questa opera, dedicata al giovane imperatore Nerone, quasi come un programma politico, egli non mette in discussione la
legittimità del principato, anche se in quel periodo stava assumendo aspetti monarchici, in quanto essa andava bene con la
concezione di un logos universale che regola le vicende umane, ma il problema è quello di avere un buon sovrano: in un regime
di potere assoluto, lunico freno ad esso è la sua coscienza che lo dovrà trattenere dal guidare lo stato in modo
tirannico.
La clementia quindi è la virtù che dovrà avere il sovrano per governare i suoi sudditi: solo grazie ad essa egli
potrà ottenere da loro consenso e dedizione, che assicurano la stabilità dello stato.
In uno stato che si affida alla
coscienza del princeps, un ruolo essenziale assume la filosofia che deve formare la coscienza personale del princeps. Seneca si
impegnò a fondo sotto questo punto di vista, proponendo un stato con un princeps moderato e un Senato salvaguardato della sua
libertà e aristocrazia; in questo stato equilibrato un ruolo importantissimo assume la filosofia che deve educare lelitè
politica.
[T2]Le Epistole a Lucilio[/T]
Se è vero che non vi sono tante differenze tra lotium meditativo e l
impegno civile, è anche vero che dopo il suo ritiro dalla politica Seneca si muove soprattutto nellambito della coscienza
individuale.
Lopera principale di questo periodo e la più famosa in assoluto sono le Epistole ad Lucilium.
Ancora oggi
si discute se queste lettere sono ad un amico fittizio o reale, in quanto sono possibili tutte e due le opzioni: vi sono alcune
lettere lunghe quanto trattati, mentre ce ne sono altre come risposta alla lettera dellamico.
Seneca è ben cosciente di
inserire nella cultura romana un nuovo genere letterario quale quello epistolare, riprendendo un po Platone, ma soprattutto
Epicuro. Le lettere di Seneca sono uno strumento di accrescimento morale attraverso cui si può arrivare alla sapientia; inoltre
non hanno la forma di un insegnamento dottrinale, ma, grazie alla lettera, vi è un colloquium più intimo tra chi si scrive e
gli insegnamenti sono più diretti.
Proprio grazie al suo avvicinarsi alla realtà la lettera è lo strumento ideale per la
pratica quotidiana della filosofia. Seneca infatti tratta nelle sue lettere ogni giorno un tema diverso, cominciando da un tema
semplice e immediato, fino ad arrivare alle ultime lettere che assomigliano più ad un trattato filosofico; questa forma di
scrittura è presa dalla scuola epicurea che diceva che alla sapientia si arrivava dopo graduali momenti.
Queste lettere però
non sono solo delle dimostrazioni di verità filosofiche, ma esortano al bene.
Gli argomenti delle lettere, che sono presi
dalla vita quotidiana, sono generalmente ricondotti alle tematiche della tradizione diatribica: essi infatti vertono sull
indifferenza del saggio nei confronti della seduzione mondana, sulla sua indipendenza e autosufficienza, e proponendo una vita
dedicata alla meditazione e al perfezionamento interiore attraverso una profonda riflessione sulle debolezze e i vizi propri ed
altrui.
Seneca nelle sue lettere parla anche della condizione degli schiavi, assumendo toni di pietà altissimi, quasi ad
avvicinarsi al cristianesimo; cè però da dire che letica di Seneca è profondamente aristocratica, come si può vedere dal
disprezzo delle masse popolari abbrutite dagli spettacoli del circo.
Il distacco dal mondo e dalle sue passioni accresce
pari a quello dellesaltazione dellotium, otium visto non come inerzia, ma continua ricerca del bene, nella convinzione che le
conquiste dello spirito possano giovare non solo agli amici, ma a tutti attraverso le Epistole.
La conquista della libertà
interiore è quindi lobiettivo che il saggio si deve porre, a cui si accompagna la meditazione quotidiana della morte, a cui si
deve guardare con serenità perché è il simbolo dellindipendenza delluomo dal mondo.
[T2]Lo stile drammatico[/T]
Seneca rifiuta la compatta architettura neoclassica ciceroniana che, nella sua disposizione ipotattica, organizzava la
gerarchia logica interna, e dà vita a uno stile eminentemente paratattico, frantumando limpianto del pensiero in un
susseguirsi di frasi aguzze e sentenziose, il cui collegamento è affidato soprattutto allantitesi e alla
ripetizione.
Seneca usa questo suo stile aguzzo per penetrare ed esplorare i segreti dellanimo umano e le contradizioni che
lo lacerano, ma anche per parlare al cuore degli uomini ed esortarli al bene.
[T2]Le tragedie[/T]
Le tragedie
attribuite con certezza a Seneca sono nove (anche se qualche dubbio sussiste per lHercules Oetaeus), tutte di soggetto
mitologico greco. Non sappiamo nulla di queste, sulla loro rappresentazione, sulla data di composizione, e quindi vengono di
solito elencate come le ha sempre riportate la tradizione.
LHercules furens, costruita sul modello dellEracle euripideo,
tratta il tema della follia di Ercole, causata da Giunone, che lo porta ad uccidere la moglie e i figli. Rinsavito Ercole ha
intenzione di suicidarsi, ma alla fine desiste nel suo intento e va a purificarsi ad Atene.
Ispirato da due drammi
euripidei, le Troiane e lEcuba, Seneca scrive le Troades, in cui si parla del destino delle donne troiane impotenti di fronte
al sacrifico di Polissena, figlia di Priamo, e di Astianatte, figlio di Ettore ed Andromaca.
Le Phoenissae sono
improntate sullEdipo di Sofocle e sulle Fenicie di Euripide, e ruotano attorno al tragico destino di Edipo. E lunica opera
rimasta incompleta da Seneca.
La Phaedra, sempre improntata sul modello euripideo e sofocleo, narra dellamore
incestuoso di Fedra verso il figliastro Ippolito: questultimo, restio alle seduzioni della donna, viene ucciso dal padre Teseo
sotto denuncia della stessa Fedra.
Sempre a Euripide si rifà la Medea, la cupa vicenda della principessa Medea abbandonata
da Giasone e assassina per vendetta dei figli avuti da lui.
LEdipo re sofocleo è alla base dellOedipus in cui
Seneca narra il famoso mito di Edipo che ucciso inconsapevolmente il padre Laio, si sposa con la madre Giocasta; quando viene a
saperlo questi per la rabbia si acceca.
Allomonima tragedia di Eschilo si ispira lAgamennon in cui si narra l
uccisione di Agamennone al ritorno dalla guerra di Troia da parte della moglie Clitennestra e del suo amante Egisto.
Al cupo mito dei Pelopidi si ispira il Thyestes: Atreo, animato da odio per il fratello Tieste che gli aveva sedotto la sposa,
lo invita ad un banchetto ove gli offre come carne quella dei suoi bambini.
NellHercules Oetaeus, tratto dal
Trachinie di Sofocle, Seneca narra il mito della gelosia di Deianira che per riconquistare Ercole, che si era innamorato di
Iole, gli invia una tunica intrisa di sangue del Centauro Nesso, creduto un filtro damore ma che in realtà era una pozione
mortale. Ercole annusata la tunica fa innalzare un rogo e vi si getta dentro, andare così tra gli Dei dellOlimpo.
Octavia, di argomento romano (sorte della moglie di Nerone). Sebbene la sua composizione sia da collocare negli anni di vita di
Seneca, al suo interno è presente la descrizione della morte di Nerone (68 d.C.), successiva di tre anni a quella di
Seneca.
Le tragedie di Seneca si ispirano a drammi greci che quasi sempre conserviamo. Presentano comunque notevoli
differenze rispetto ai modelli: scene aggiunte, omesse, o diversamente sviluppate, e diversità anche molto rilevanti nelle
motivazioni delle azioni e nella caratterizzazione dei personaggi.
Non sappiamo a quale tipo di fruizione fossero
destinate. A lungo si è ritenuto che esse non potessero essere rappresentate: sia perché prevedono lesecuzione sulla scena di
uccisioni, apparizioni mostruose, ecc.; sia perché i personaggi tengono spesso discorsi molto lunghi che comportano altrettanto
lunghi silenzi di altri personaggi presenti in scena; sia infine perché appare complessivamente scarsa la preoccupazione per la
dinamica dello sviluppo drammatico, mentre lattenzione è sui discorsi, sui dialoghi e sulla coerenza dei singoli quadri. Ma
oggi molti riconoscono che la destinazione scenica, benché poco probabile, non è però inammissibile: gli atti sanguinari
potevano essere simulati, e anche lo spettatore teatrale poteva appassionarsi più alleloquenza delle parole che allo sviluppo
drammatico di azioni del resto notissime.
Lo stile tragico di Seneca presenta, esasperate, le stesse caratteristiche di
quello del filosofo. La sobrietà della sintassi, concentrata alleccesso, enfatizza la parola grazie allincessante ricorso a
figure di suono e senso, ad interrogative retoriche, ad esclamative e ad ogni altro espediente declamatorio. Tanta
magniloquenza serve a descrivere scenari raccapriccianti, a gridare orrori che altrimenti la parola normale non riuscirebbe
nemmeno a pronunciare. Cellula dello stile senecano continua ad essere la sententia, che spesso interviene a salvare, con le
sue definizioni o asserzioni fulminanti, anche quella che parrebbe la parte più debole della tragedia, il dialogo. Il teatro
tragico di Seneca vive non tanto dei contrasti tra i personaggi, quanto tra quelli che avvengono dentro i personaggi. I
monologhi di Seneca sono lunghissime effusioni sentimentali, lunghe confessioni, lunghi dialoghi interiori. Ad essi si
contrappongono i cori che il più delle volte espongono solo la voce interna dellautore stesso. In Seneca si avverte il gusto
del Pathos esagerato, la tendenza a creare appunto delle sentenze rispettando i parametri caratteristici della brevitas
asiana. Spesso per raggiungere lapice della drammaticità lautore intervalla lo svolgimento delle vicende con lunghe
digressioni che venivano a creare storie più piccole pressoché indipendenti dalla trama della tragedia. Quello senecano è
quindi uno stile molto chiaro, incisivo, che coinvolge facilmente lattenzione del lettore. Tutte le tragedie risultano divise
in cinque atti: cinque parti costituite da dialoghi o monologhi di personaggi, separate luna dallaltra da quattro parti
corali. Orazio per primo aveva teorizzato la divisione della fabula in cinque atti.
Seneca ha approfondito nelle sue
tragedie tutto quello che la sua opera filosofica condannava. Infatti ci si trova di fronte ad immagini che, sotto forma di
exempla riassumono lemblema della dottrina stoica, anche se le analogie non sono da accentuarsi troppo per due validi
motivi:
– persiste comunque una matrice specificatamente letteraria e non filosofica;
– nelluniverso tragico
il logos, il principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni
e arginare il dilagare del male: la realtà infatti, spesso descritta in toni cupi e atroci è lo scenario nel quale regna il
male che coinvolge non solo la psiche umana, ma il mondo intero, conferendo al conflitto tra bene e male una dimensione cosmica
e una portata universale.
Il saggio stoico doveva educarsi quotidianamente al controllo delle passioni, al distacco dai beni
terreni e dalle lusinghe del potere, alla ricerca del giusto e del bene. Lo strumento di tale ricerca della virtù era la
ratio ben applicata (o mens bona). Nelle tragedie la virtù, il bene, la giustizia vengono irrisi e calpestati, ogni forma di
ragione smarrita, ogni legge umana e divina infranta. Per il saggio stoico lo studio della natura era uno strumento per
elevarsi alla conoscenza del divino. Nelle tragedie lunica scienza è la magia nera, il dominio delle forze della natura a
scopo malefico. Al contrario della morale senecana, qui non cè orrore, sevizia, mutilazione o crimine di sangue che non venga
illustrato con agghiacciante compiacimento.
Nei Dialogi e nelle Epistulae morales è mostrato come lanima che assecondi la
propria natura non possa che guardare in alto, verso la luce, verso quelle altezze spirituali da cui viene e a cui è destinata
a tornare dopo la morte. I personaggi delle tragedie, invece, rifuggono dalla vista della luce, lanciandosi con voluttà a
capofitto dentro le buie voragini aperte nella loro anima da ogni sorta di passione o ambizione.
– La tragedia di Seneca è
esperienza totale del male e lo conduce a esperire poeticamente tutti i nodi, o tabù, antropologici più importanti: incesto,
parricidio o altra forma di assassinio di un familiare, cannibalismo. Raramente linfrazione si presenta unica: il più delle
volte il nefas, latto contro ogni legge umana e divina, è multiplo. Inoltre, nelle tragedie, ha grande rilevanza il tema del
potere, e in particolare del potere tirannico, incontrollato e sanguinario, e ciò riflette evidentemente allesperienza
personale dellautore, tuttavia senza esplicite allusioni. La riflessione sul potere è riportata al mito, non perché esso
faccia da copertura a prese di posizioni su questioni contingenti di attualità, bensì per esaltare la dimensione generale,
primordiale, di quei grandi temi.
[T2]Apokolokyntosis[/T]
LApokolokyntosis , ovvero il Ludus de morte Plaudii
(apogeo della morte di Claudio), è unopera veramente singolare. Intanto il titolo venne dato da Dione Cassio riferendosi alla
Kolokynta che in greco significa zucca, come emblema di stupidità; quindi il brano è una parodia dellepisodio della
divinizzazione di Claudio da parte del senato dopo la sua morte. Il curioso titolo va quindi inteso come deificazione di una
zucca, con riferimento alla fama di cui Claudio godeva.
Vi sono però dei dubbi sullautenticità di questopera da parte di
Seneca: infatti era stato proprio Seneca a scrivere la laudatio funebris per lImperatore morto, e sembra strano che subito
dopo la sua morte egli abbia scritto unopera sarcastica contro limperatore che laveva mandato in esilio.
Lopera si apre
con un elogio al successore di Claudio, in cui si auspica un periodo di prosperità per lImpero. Il componimento dopo si apre
con la morte di Claudio e la sua vana ascesa verso lOlimpo; ma gli Dei lo ricacciano come tutti i mortali negli inferi ove
diventa schiavo del nipote Caligola e ove viene affidato al liberto Menandro (pena del contrappasso: lui era vissuto in mano
dei suoi potenti liberti e ora anche agli inferi è in mano a uno di loro).
Lopera rientra nel genere della satira menippea
(da Menippo di Gadara, iniziatore di questo genere), e alterna perciò prosa e versi di vario tipo.
Numerose sono le
citazioni di vario tipo, citazioni famosissime da satiri greci e latini, facendo così assumere allopera un carattere di
parodia letteraria (che rientra perfettamente nello stile menippeo).
[T2]Naturales Questiones[/T]
Opera dedicata
a Lucilio (lo stesso del De Providentia e delle Epistulae), in sette libri, scritta negli anni del ritiro, tra il 62 e gli
inizi del 64.
Gli argomenti dei singoli libri sono:
1- fuochi celesti, arcobaleno, meteore
2- fulmini
3- acque terrestri, diluvio finale e successione dei cicli cosmici
4- le piene del Nilo, precipitazioni atmosferiche
(mancano alcune parti nel centro)
5- i venti
6- terremoto
7- comete
Sono, però, state proposte anche altre
suddivisioni ed è possibile che ci siano dei libri mancanti.
Linteresse per le scienze naturali (o filosofia fisica)
risaliva già agli anni giovanili, infatti sappiamo di opere andate perdute (De Terrae Motu De Lapidum Natura De Situ Indiae
De Situ et Sacris Aegyptorum).
Questo lungo trattato è il frutto di rielaborazioni di letteratura scientifica precedente e
oltre a riportare e criticare le posizioni di altri, Seneca sceglie quella che ritiene più valida e a volte dà una propria
spiegazione.
Lo scopo di tutto questo è liberare luomo dalla paura irrazionale di fronte ai fenomeni naturali. Linteresse
di Seneca va oltre la sola spiegazione delle cause fisiche dei fenomeni naturali, si spinge sempre verso la loro causa ultima:
lintelligenza divina che muove il cosmo. Attraverso lo studio della natura luomo può conoscere la divinità ed elevarsi
moralmente ed intellettualmente ad essa. Quando capiamo linconsistenza delle paure che ci tormentano (fra tutte quella della
morte) impariamo a distaccarcene e a essere indifferenti.
Questo valore morale della ricerca scientifica viene affermato
esplicitamente nei proemi dei libri I,III e IV, negli epiloghi e in varie digressioni.
Il linguaggio delle sezioni più
scientifiche è più tecnico e spesso difficile, mentre quello delle parti più morali è più ispirato e patetico; ma non bisogna
spingere troppo oltre la contrapposizione tra la parte scientifica e morale perché sono unificate nella volontà di riscatto
morale delluomo utilizzando completamente le potenzialità della regione e analizzando così le leggi delluniverso.
[T2]Gli Epigrammi[/T]
Sotto il nome di Seneca vanno anche alcune decine di epigrammi scritti in bello stile, ma non
brillanti, e attribuiti a lui dalla manualistica del IX secolo (anche se lattribuzione è molto libera ).
[T2]Lo stile e
la fortuna di Seneca[/T]
Lo stile di Seneca è affascinante e personalissimo, una delle creazioni più originali della
letteratura latina. Il cambiamento del gusto, l’influsso dell’asianesimo delle scuole di declamazione portano il filosofo
al rifiuto dell’architettura armoniosa e ordinata del complesso periodo ciceroniano. La sua è una prosa spezzettata
dall’andamento paratattico, composta da frasi concise e incalzanti, spesso concluse da una sentenza, ciascuna dotata di
autonomia espressiva, collegate da ripetizioni, da antitesi e parallelismi inconsueti, con la ricerca di espressioni e concetti
inattesi. Seneca è un grande declamatore, che sa esplorare le varie sfaccettature dell’animo umano. I critici hanno parlato
di stile drammatico, perché da una parte ricerca l’interiorità, dall’altra vuole comunicare al lettore il suo messaggio
morale.
Seneca ebbe un immediato successo, alimentato da Quintiliano e rafforzato, nella tarda antichità, dal prestigio
altissimo acquistato presso i cristiani. Dante nella Divina Commedia lo colloca nel Limbo, fra gli “spiriti magni”. Le tragedie
ebbero maggior fortuna nel corso del sec. XIV; dopo aver influenzato il teatro rinascimentale italiano, esse furono assunte a
modello del teatro elisabettiano e da W. Shakespeare. Successivamente, il teatro classico francese, con J. Racine, P. Corneille
e Voltaire, quello romantico tedesco e l’italiano, soprattutto con V. Alfieri, raccolsero la lezione di Seneca.
Versioni e traduzioni di Seneca:
Guarda anche:
– Il concetto della morte in Seneca