Pino Daniele e la Parlèsia - Studentville

Pino Daniele e la Parlèsia

Pochi sono i libri in circolazione che spiegano le origini di questo slang, derivato dal napoletano, utilizzato dalle classi sociali più abbienti e malavitose e poi da molti musicisti

Della tragica e dolorosa scomparsa di Pino Daniele, cantautore napoletano, se ne è già parlato molto. Una notizia che ha lasciato tutti senza parole, soprattutto i suoi fan che oggi lo piangono mentre intonano le sue canzoni.

Perchè Pino Daniele è stato uno dei più grandi musicisti conosciuti al mondo, grazie ai suoi brani come Terra Mia, Je so pazzo, Na tazzulell ‘e cafè, Napulè e molte, moltissime altre. Musicista, amante del blues soprattutto, cantante e cantautore. Allora perchè ne parliamo anche su Books? Per un gergo, un linguaggio, che Pino Daniele ha utilizzato – specie durante i suoi primi anni – in molte canzoni da lui scritte e interpretate: la parlèsia.

In cosa consiste la parlèsia? Pochi sono i libri in circolazione che spiegano le origini di questa lingua a parte, parlata in specifici contesti sociali da determinate persone. Tra questi c’è “I vagabondi, il gergo, i posteggiatori. Dizionario napoletano della parlèsia”, di Maria Teresa Greco, un libro che spiega come nasce questo vocabolario utilizzato per comunicare in maniera selettiva da pochi intenditori, principalmente musicisti, mandando dei segnali in codice.

Le origini della parlèsia risalgono addirittura al Settecento, quando le categorie più basse della società utilizzavano questo vero e proprio slang derivato dal dialetto napoletano per comunicare senza essere capiti dalle gerarchie più alte. Un sottodialetto, diciamo, utilizzato da borseggiatori, scaricatori di porto e con il passare degli anni da musicisti e parcheggiatori, tassisti, pescivendoli.

Perchè anche tra musicisti? Perchè fino a pochi anni fa quella del musicista, o meglio musicante, non era vista come una professione altamente apprezzata come lo è oggi, anzi, i musicisti erano una specie di popolazione nomade, sempre in giro a suonare per guadagnare pochi spiccioli per poi andare in osteria, dedita ai piaceri più viziosi della vita e per questo considerati alla stregua dei malavitosi.

Così per identificarsi – e per distinguersi dagli altri – si iniziò a parlare la parlèsia anche in questi settori, scambiandosi informazioni preziose senza essere capiti dagli altri, soprattutto dalle autorità. Gli argomenti discussi con la parlèsia erano molto “terra terra” e trattavano soprattutto di musica, soldi, bisogni fisiologici e meno fisiologici, come il bere e il sesso. Alcuni termini della parlèsia hanno significati differenti a seconda di come vengono usati, e viceversa. Verbi come “acchiarì” (ubriacarsi”), “appunisce” (molto utilizzato perchè significa “capire”, quindi “appunisci a parlèsia” era già un modo per riconoscersi e comprendere se il destinatario parlasse la stessa lingua), e parole come “tabbacchèsia” o “fumenzia” (sigaretta), “bbane” (soldi), “jamme” (tizio), appartengono a questo singolare vocabolario.

Un vocabolario che negli anni Ottanta viene riportato in auge proprio da musicisti come James Senese, Napoli Centrale e Pino Daniele, che ha scritto alcuni suoi brani utilizzando la parlèsia, come Tarumbò e Bella ‘Mbriana. Da allora la parlèsia è un linguaggio conosciuto a livello più ampio, diventando un fenomeno di massa che ha incuriosito molti, portandolo a diventare un gergo più comune, a discapito di quei pochi che avevano il “privilegio” di poter comunicare divertiti agli occhi dei borghesi.

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