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Giappone: la scalata del Monte Fuji

Un tratto del sentiero

Chi scala il monte Fuji una volta nella vita è un uomo saggio, chi lo scala due volte è un pazzo. Chiunque abbia cercato informazioni sul Giappone e sul suo luogo più rappresentativo, il Monte Fuji, avrà letto questo antico proverbio o una sua variante da qualche parte. E’ capitato anche a me, prima di partire alla volta di questo che posso senza dubbio definire un viaggio a sé stante all’interno di quello, più vasto, che mi ha portato in Giappone.

Quando parlo di questa mia esperienza, una delle prime domande che tutti mi fanno è “c’è molta gente?”: la risposta è sì, assolutamente sì. L’ascesa del Sacro Fuji, il simbolo per eccellenza della bellezza e della forza della natura, tanto cara ai giapponesi, è un’esperienza indimenticabile, a patto di togliersi dalla testa ogni aspettativa sul silenzio e la solitudine che solitamente accompagnano le escursioni in alta montagna: la stagione delle scalate è molto breve (solitamente primo luglio – 31 agosto) a causa delle condizioni meteorologiche quasi sempre avverse e questo, in abbinamento al gran numero di giapponesi desiderosi di affrontare il Monte, fa sì che in alcuni tratti, quelli più impervi, sia necessario letteralmente mettersi in fila lungo il sentiero. Non lasciatevi però scoraggiare: l’ascesa “in compagnia” è piacevole, e lo spirito d’avventura che pervade tutti, dai ragazzini fino ai temerari – e belli tosti – anziani accomuna e lega tutti, stranieri (pochi) e nipponici.

Dal punto di vista pratico, per scalare il Fuji non è richiesta nessuna particolare attrezzatura: tuttavia sono più che raccomandabili scarpe da trekking robuste e sopratutto antiscivolo, un bastone per aiutarvi nella discesa, che come vi racconterò è più impegnativa della salita, una torcia frontale qualora prevediate di muovervi dopo il tramonto e il vestirsi a strati (indispensabile una giacca impermeabile e antivento), visto che lungo il percorso la temperatura dell’aria cambierà notevolmente, dai circa 25 gradi della stazione di Kawaguchiko si passerà infatti a 2-3 gradi una volta arrivati in cima.

Dopo il salto, il racconto della mia esperienza con alcune foto che ho scattato lassù!

Ci sono quattro percorsi per raggiungere la sommità: quello utilizzato dai più, me compreso, è lo Yoshida Trail, ideale per chi proviene da Tokyo e per chi vuole ammirare l’alba, visto che il sole sorge proprio da quel lato della montagna: in estrema sintesi, si arriva da Tokyo fino alla stazione di Kawaguchiko, alle pendici del monte, e da lì si prende un autobus con destinazione l’omonima “stazione”, la quinta lungo questo versante della montagna, a quota 2.300 metri circa. Questa stazione è il punto di partenza del sentiero vero e proprio, ed è anche l’ultimo punto di ristoro bene attrezzato, con svariati ristoranti, bar, negozi di souvenir eccetera disseminati lungo un ampio piazzale che fa da capolinea per gli autobus. Esistono anche dei bus diretti da Tokyo verso la quinta stazione, economici ma più lenti: di contro eliminano la necessità del trasferimento dal treno all’autobus.

Nell’ordine: la stazione di Kawaguchiko, il Fuji visto dalla stazione, il cartello che indica il sentiero e l’inizio dello stesso.

Prima di iniziare l’avventura che dal qui vi porterà in cima, sappiate che lungo il sentiero sono presenti altre sei stazioni, distanti tra loro dai 30 ai 100 minuti di cammino. Trattasi di nient’altro che semplici rifugi di montagna dove potrete rifornirvi di acqua (a prezzi abbastanza cari, ma i soldi son più leggeri dell’acqua e la fatica risparmiata val bene qualche euro), bere e/o mangiare qualcosa ed eventualmente trascorrere la notte. Quest’ultima possibilità richiede la prenotazione, indispensabile dato che i rifugi sono tutti piccoli e molto, molto affollati.

Dormire – o quantomeno riposare un po’ – in questi rifugi è praticamente obbligatorio per chi voglia ammirare l’alba dalla sommità del monte. L’iter ideale, in questo caso, è partire nel pomeriggio, prevedendo di arrivare in uno dei rifugi più alti al tramonto (mettete in conto almeno quattro ore di cammino), cenare (tipicamente riso, un po’ di pesce e un caffè), svegliarsi di buon’ora (alle 3 o giù di lì se siete nei pressi dell’ottava stazione, prima se siete più in basso), fare colazione, che con ogni probabilità sarà identica alla cena, e riprendere il cammino, per ritrovarsi così in cima intorno alle 4.30, pochi minuti prima dell’alba.

I rifugi sono a dir poco spartani: non aspettatevi di dormire comodamente come in hotel, anzi se avete il sonno leggero non aspettatevi di dormire affatto. Si giace infatti a terra su di un materasso (e una trapunta) gomito a gomito con decine, o centinaia, di altri visitatori, e c’è sempre qualcuno nei paraggi che sta partendo, o che sta arrivando, e che più semplicemente fa rumore. Considerate insomma la sosta come un semplice break di qualche ora, e tenete questo fattore in debita considerazione quando programmate i tempi di salita e discesa. Come detto, prenotare un posto letto in questi rifugi è indispensabile ed è necessario programmare il tutto con largo anticipo, e parlo di mesi. L’unico modo per prenotare è telefonare: a tal proposito vi segnalo questo sito con molti recapiti telefonici utili.

Io ho trascorso la notte (riuscendo, con non poche difficoltà, a prenotare via email), eufemismo per dire che ho riposato un paio d’ore, al Goraikoukan: è l’ultimo rifugio, in altre parole quello più in alto, ed è anche uno dei più grandi. Arrivare fin lassù è molto faticoso, ma vuol anche dire potersi svegliare più tardi (3 – 3.30) e raggiungere la sommità abbastanza rapidamente, dopo circa un’ora di cammino. E’ quindi consigliabile per chi è in forma e vuole assolutamente raggiungere la sommità prima dell’alba. Proprio come vi dicevo poco fa, alle 21 mi è stata servita la frugale cena – riso in bianco, pesce scottato alla griglia e carote lesse – e alle 3.00 la colazione (identica): alle 3.30 ero di nuovo in marcia, destinazione la sommità, a quota 3.776 metri. Il Goraikoukan è a circa 3.400 metri: questo vuol dire che occorrono circa 60 minuti per percorrere i 370 metri (in linea retta) che lo separano dalla cima, parametro che potete fissare in mente per farvi un’idea del tempo e della fatica necessaria.

Una volta in cima, lo spettacolo è fantastico e le foto non possono assolutamente rendere giustizia a quanto ho visto: posso solo dirvi che la fatica viene ampiamente ripagata. Nelle rarissime giornate senza nuvole dalla sommità del monte è possibile ammirare la baia di Tokyo e il Pacifico, ma è assai più probabile che dovrete “accontentarvi”, proprio come ho fatto io, di ammirare il sole che fa capolino dalle nubi che si trovano centinaia di metri sotto di voi.

Passata l’alba, è tempo di ritemprarsi: a tal proposito adorerete un paio di “ristoranti”, se così se si possono definire, situati lì in cima, dove potrete gustare gli udon più caldi della vostra vacanza in Giappone, il che, considerato che all’esterno ci saranno a malapena cinque/sei gradi, sarà una benedizione. Non mancherete poi di trovare souvenir che attestino che siete arrivati fino in cima: portachiavi, ciondoli, semplici bastoni da trekking di legno, tutti con la data del giorno bene incisa a imperitura memoria.

E’ ora tempo di iniziare la discesa, su un sentiero obbligatoriamente differente da quello dell’andata, e, come dicevo all’inizio, è bene non sottovalutare questa fase: benché la salita sia tutt’altro che una passeggiata, la discesa per molti versi può rivelarsi peggiore. Il sentiero per il ritorno è infatti molto ripido, e ad ogni passo si rischia di cadere a causa dello scivoloso e cedevole terreno che vi accompagnerà per tutte le 3-4 ore, forse più, necessarie: a tal proposito vi saranno indispensabili una buona dose di cautela, di equilibrio e uno – meglio due – bastoni, così come vi dicevo qualche paragrafo fa. Dovrete (o quantomeno dovreste) inoltre procedere con le gambe leggermente piegate per non sovraccaricare troppo le articolazioni delle ginocchia, oltre che per non cadere rovinosamente all’indietro, complice il peso dello zaino sulle spalle che dovrete attentamente bilanciare. Tenete infine conto che lungo il sentiero di discesa incontrerete meno rifugi, e che l’unico modo di raggiungere quelli dell’andata sarà di ripercorrere nuovamente dei tratti in salita.

L’esperienza, l’avrete capito, è impegnativa: alla fine converrete con me che l’antico detto con cui ho iniziato questo racconto è a dir poco veritiero, e probabilmente, in qualche momento della discesa, arriverete a pensare “ma chi me l’ha fatto fare?”. Una volta tornati a casa, però, ripensando ai momenti trascorsi lassù, alle salite fianco a fianco con tutti gli altri, alla colazione alle tre del mattino a base di pesce, al cielo stellato, allo spettacolo dell’alba a quasi 4.000 metri di quota, sorriderete e nella vostra mente non potrà che esserci un pensiero: “Ne è valsa la pena!”.

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