Purgatorio: XXX Canto - Studentville

Purgatorio: XXX Canto

Parafrasi.

Quando l’Orsa Maggiore

(il settentrion: le sette stelle dell’Orsa Maggiore indicano qui i sette candelabri) dell’Empireo, che non conobbe mai né

tramonto né aurora né altra nebbia che la offuscasse se non il velo del peccato,
e che lì nel paradiso terrestre (guidando

la processione) rendeva ciascuno consapevole di ciò che doveva fare, come la sottostante costellazione dell’Orsa Minore rende

consapevole (della rotta da seguire) ogni nocchiero che manovra il timone della nave per giungere in porto,
quando, dico, i

sette candelabri si fermarono, i ventiquattro seniori, testimoni della verità, che si erano fatti avanti per primi tra il

grifone e i candelabri (esso: riferito a settentrion), si rivolsero al carro come al principio e fine dei loro desideri; e uno

di loro, come fosse ispirato dal cielo, per tre volte gridò cantando « Vieni, o sposa, dal Libano », e tutti gli altri

ripeterono l’invocazione.
Come all’ultimo appello del giudizio universale risorgeranno i beati uscendo prontamente ognuno

dalla sua sepoltura, mentre saluteranno con un alleluia il corpo risorto di cui tornano a rivestirsi,
allo stesso modo,

all’invito di così venerando vecchio, si levarono sul carro divino moltissimi angeli, ministri e messaggeri di vita

eterna.
Tutti dicevano: « Benedetto tu che vieni! », e gettando fiori sopra e intorno (al carro) soggiungevano: « Oh, datemi

gigli a piene mani! »
Io vidi spesso al cominciare del giorno la parte orientale del cielo tutta rosa, e le altre parti

adorne di un bel sereno;
e vidi il disco del sole spuntare al mattino come velato d’ombra, in modo che l’occhio lo poteva

fissare per lungo tempo, perché i vapori ne temperavano il fulgore:
così velata da una nuvola di fiori che, lanciati dalle

mani degli angeli, salivano e ricadevano dentro e intorno al carro, m’apparve una donna cinta di fronde d’ulivo sopra il

candido velo, vestita sotto il manto verde di una veste del colore della fiamma viva.
E il mio animo, che già da tanto tempo

(sono trascorsi dieci anni dalla morte di Beatrice al momento del viaggio di Dante nell’oltretomba) non avvertiva, pieno di

tremore, il profondo turbamento che sentiva (sempre) alla sua presenza,
senza averla quasi vista (sanza delli occhi aver più

conoscenza: senza ricevere dagli occhi una più precisa conoscenza), per una misteriosa virtù che da lei emanava, avvertì la

grande potenza dell’antico amore.
Non appena i miei occhi furono colpiti dalla grande bellezza che già mi aveva ferito

prima di essere uscito dalla puerizia, mi volsi verso sinistra con la stessa affannosa incertezza con la quale il bambino corre

dalla mamma quando ha paura o quando prova dolore, per dire a Virgilio: « Neppure una stilla di sangue (men che dramma: dramma,

di per sé, indica l’ ottava parte dell’oncia, cioè poco più di tre grammi) mi è rimasta che non tremi: conosco i segni

dell’antica fiamma »; ma Virgilio aveva privato della sua presenza me e Stazio, Virgilio, il dolcissimo padre, Virgilio, al

quale mi ero affidato perché mi fosse guida verso la salvezza (per mia salute: cfr. Inferno II, 140);
né tutto ciò che Eva

(l’antica matre) perdette con il suo peccato (cioè il paradiso terrestre e le sue gioie), poté impedire che le mie guance, già

lavate (di ogni bruttura) con la rugiada (cfr. Purgatorio I, 127-129), ritornassero a macchiarsi di lagrime.
« Dante, non

piangere anche, per il fatto che Virgilio se ne è andato, non piangere ancora; poiché sarai costretto a piangere per ben altro

dolore (per il rimprovero che fra poco Beatrice gli rivolgerà a causa delle sue colpe).»
Simile ad un ammiraglio che si

sposta sulla poppa e sulla prora della sua nave per controllare le ciurme che attendono al proprio lavoro sulle navi minori

della flotta, e le esorta a compiere bene (il lavoro),
sulla sponda sinistra del carro, allorché mi volsi al suono del mio

nome, che qui devo trascrivere per necessità,
vidi la donna che prima mi era apparsa coperta di un velo sotto la nuvola dei

fiori lanciati dagli angeli, volgere gli occhi verso di me al di qua del Letè.
Sebbene il velo che le scendeva dal capo,

coronato da fronde di ulivo (pianta sacra alla dea Minerva), non la lasciasse apparire completamente visibile,
sempre in un

atteggiamento di regale fierezza continuò come l’oratore che inizia a parlare e riserva per ultimo le parole più accese:
«

Guarda qui (guardaci: ci è particella avverbiale) ben fisso! Sono io, sono proprio Beatrice. Come ti sei considerato degno di

accedere al monte del purgatorio? Non sapevi tu che qui l’uomo gode la felicità (che nasce dalla purificazione del peccato)?

»
Gli occhi mi caddero sulla limpida acqua del Letè; ma vedendo rispecchiata in essa la mia confusione, li volsi sull’erba,

tanto era il peso della vergogna che mi fece abbassare la fronte.
Come la madre (mentre lo rimprovera) sembra severa al

figlio, così Beatrice apparve a me, perché riesce amaro il sapore dell’affetto materno quando (per il bene del figlio) si

manifesta in modo severo.
Ella tacque; e gli angeli cantarono immediatamente « In Te io confido, o Signore »; ma (nel canto

di questo salmo) si interruppero alle parole « i miei passi ».
Come sui monti dell’Appennino tra i rami degli alberi si

congela la neve, spinta e addensata dal soffio dei venti freddi (venti schiavi: sono i venti della Schiavonia o Illiria,

provenienti quindi da nord-est),
la quale poi, sciogliendosi, gocciola dagli strati superiori della sua superficie su quelli

inferiori, non appena la regione africana manda i suoi venti caldi, così che pare il fuoco che consuma la candela,
allo

stesso modo (cioè gelato come la neve sotto i venti freddi) rimasi incapace di piangere e di sospirare prima che cantassero gli

angeli, i quali accordano sempre il loro canto alle armonie dell’eterno ruotare dei cieli;
ma dopo che nelle dolci

modulazioni del loro canto li udii mostrare compassione verso di me, più che se avessero detto: “Donna, perché lo mortifichi

così duramente?”,
il gelo che mi si era addensato intorno al cuore, si sciolse in sospiri e in lagrime, e con dolore

uscirono dal petto attraverso la bocca e gli occhi.
Ella, sempre rimanendo ferma sulla sponda sopra nominata (cioè la

sinistra: cfr. verso 61) del carro, rivolse le sue parole agli angeli (sustanze: essi, infatti, sono sostanze separate dalla

materia) che si erano mostrati pietosi verso di me, parlando in questo modo:
« Voi vegliate sempre nella eterna luce di Dio,

cosicché né la tenebra (dell’ignoranza) né il sonno (che può essere indizio di pigrizia e che comunque impedisce

momentaneamente di vedere) vi sottraggono la conoscenza di ogni passo (cioè di ogni pensiero o azione) che l’umanità compie

sulla sua strada;
per la qual cosa la mia risposta (al vostro canto pietoso) mira soprattutto a farsi intendere da colui che

piange al di là del Letè, affinché il suo dolore sia commisurato alla colpa commessa.
Non solo per l’influsso dei cieli,

che indirizzano ogni essere fin dal momento del suo concepimento verso un fine preciso, secondo le caratteristiche delle stelle

che sono in congiunzione (con quei cieli al momento del concepimento),
ma anche per l’abbondanza delle doti spirituali, la

cui pioggia si forma da vapori (cioè: dalla volontà di Dio) così misteriosi, che l’intelletto umano non può neppure giungervi

vicino,
questi (Dante) nella sua giovinezza (vita nova) fu dotato di tali possibilità, che ogni buona disposizione avrebbe

potuto produrre in lui prove mirabili (qualora egli avesse assecondato queste sue attitudini naturali).
Ma un terreno,

quanto più è dotato di forza produttrice, tanto più diventa arido e selvatico quando vi si getta un seme cattivo oppure quando

viene lasciato incolto.
Per qualche tempo lo guidai con la mia presenza: mostrandogli il mio sguardo adolescente, lo

conducevo con me rivolto verso la strada del bene.
Non appena giunsi alla soglia della giovinezza e passai dalla vita

terrena a quella eterna, egli si allontanò da me, e si affidò ad un’altra.
Dopo che da creatura corporea divenni puro

spirito, e la mia bellezza e le mie virtù aumentarono, io gli divenni meno cara e meno gradita;
e si incamminò per una

strada sbagliata, seguendo le ingannevoli immagini dei beni terreni, che non mantengono mai interamente nessuna promessa

(ingannando gli uomini con il promettere loro una felicità che non potranno mai raggiungere).
Né (per ricondurlo al bene) mi

valse ottenergli da Dio buone ispirazioni, con le quali e per mezzo di visioni e con altri interventi tentai di richiamarlo

(dalla strada del male); così poco si curò di tutto questo!
Cadde in uno stato di tale traviamento, che tutti i rimedi per

salvarlo erano ormai insufficienti, eccetto quello di mostrargli la condizione dei dannati (affinché, ispirando gli orrore per

il peccato, più facilmente egli potesse allontanarsene).
Per questo discesi nel limbo, la porta d’ingresso dell’inferno, e

pregai, piangendo, colui (Virgilio) che lo ha guidato fin quassù.
Un sommo decreto di Dio sarebbe violato, se si

oltrepassasse il Letè (che fa dimenticare ogni peccato) e si gustasse la dolcezza delle sue acque senza pagarne il

prezzo
con un pentimento così profondo da far spargere lagrime ».

  • Parafrasi de La Divina Commedia

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