Commendo tibi me ac meos amores,
Aureli. veniam peto pudentem,
ut, si quicquam animo tuo
cupisti,
quod castum expeteres et integellum,
conserves puerum mihi pudice,
non dico a populo– nihil veremur
istos, qui in platea modo huc modo illuc
in re praetereunt sua occupati–
verum a te metuo tuoque pene
infesto
pueris bonis malisque.
quem tu qua lubet, ut lubet moveto
quantum vis, ubi erit foris paratum:
hunc unum excipio,
ut puto, pudenter.
quod si te mala mens furorque vecors
in tantam impulerit, sceleste, culpam,
ut nostrum insidiis
caput lacessas.
a tum te miserum malique fati!
quem attractis pedibus patente porta
percurrent raphanique
mugilesque.
Versione tradotta
Raccomando a te me ed i miei amori,
Aurelio. Chiedo un favore
riservato,
che, se hai adocchiato qualcosa col tuo cuore,
e la vorresti casta ed interrotta,
mi salvaguardassi
pudicamente il ragazzo,
non dico dal popolo - per nulla temiamo
quelli, che in piazza ora qua ora là
passano occupati
in loro faccende -
ma temo da parte tua e del tuo pene
nefasto per ragazzi buoni e cattivi.
Tu maneggia chi ti piace,
dove ti piace,
quanto vuoi, fuori, quando sarà pronto:
questo solo accolgo, come credo, riservatamente.
Che se una
brutta intenzione ed un furore pazzo
ti spingerà a sì grave colpa, disgraziato,
da aggredire con insidie la nostra
testa
oh allora povero te, per il misero destino!
E te, aperta la porta e legati i piedi,
ti attraverseranno
ravanelli e cefali.
- Letteratura Latina
- Carmina di Gaio Valerio Catullo
- Catullo