Il trasferimento di Hegel da Berna a Francoforte, avvenuto nel 1797, segna anche l’inizio di un nuovo indirizzo di pensiero. Il Cristianesimo, precedentemente fatto oggetto di un giudizio negativo, viene ora rivalutato, mentre la funzione di modello negativo viene assegnata alla religione ebraica. Nel più importante scritto francofortese, Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino (1798 – 1800), Hegel ravvisa nel popolo ebreo la costituzionale incapacità di cogliere l’unità del reale: in esso vige lo spirito della separatezza, cioò dell’opposizione reciproca dei diversi aspetti della realtà , che non riescono a trovare una loro correlazione e una loro armonia. Ritenendo di essere il popolo eletto da Dio, gli ebrei si contrappongono a tutti gli altri popoli, così come al loro interno una tribù particolare, quella di Levi, impone la sua diversità e superiorità a tutte le altre. La stessa frattura si realizza nella cultura ebraica tra l’uomo e la divinità (intesa come un principio esterno al mondo e signore di esso), così come tra l’uomo e la natura (intesa come una potenza ostile da dominare con la forza), e tra uomo e uomo (inteso come individuo che esaurisce la sua personalità nel suo rapporto singolare con Dio). Il popolo ebreo ò dunque l’esatto contrario di quello greco, in cui la peculiarità nazionale si spostava con l’universalità della natura umana, gli uomini e gli dei apparivano come un prolungamento della natura e gli individui, nella loro qualità di cittadini della polis, erano considerati parte integrante della comunità . Ma il correlato positivo del popolo ebreo, in quest’opera, non ò più la città -stato greca, ma il Cristianesimo, che allo spirito di separatezza ebraico oppone la dottrina dell’amore, cioò della consapevole riconciliazione di ciò che ò stato infranto e separato. L’evento più importante del Cristianesimo, l’incarnazione di Cristo, rappresenta appunto la capacità di ricongiungere divinità e umanità , Dio e mondo, sovrannaturale e naturale. Analogamente, l’amore predicato dal Cristianesimo ò il segno dell’unità tra gli uomini: ma questa unità non ò spontanea e naturale, come quella realizzata nella polis greca, ma consapevolmente ricercata dopo l’esperienza della separazione. In questo modo, Hegel riprende il tema di fondo della sua speculazione filosofica: la priorità della totalità rispetto a quel che ò parziale, diviso, separato, ovvero, nella terminologia che gli sarà propria, la priorità del concreto rispetto all’astratto (inteso etimologicamente come parte “tratta da”, separata dal tutto). Ma, e questo ò l’elemento nuovo rispetto al periodo di Berna, la totalità non ò più rappresentata dall’unità originaria e inconsapevole di sè, vissuta spontaneamente come natura, ma ò una totalità consapevolmente riconquistata dopo l’esperienza della scissione e della separatezza. Nella terminologia dell’ Hegel maturo, si tratta di una totalità non più immediata, bensì riflessa. L’uomo greco non conosceva fratture od opposizioni che incrinassero l’armonica unità del reale, l’ebreo ha completamente perso il senso della totalità e non vede altro che aspetti particolari che si contrappongono vicendevolmente; il cristiano, attraverso l’amore, ritrova la riconciliazione nell’unità sostanziale di quel che ò stato frantumato in una molteplicità di realtà parziali. Senza essere esplicitamente formulato, in quest’opera ò già embrionalmente contenuto il procedimento dialettico che caratterizza la filosofia hegeliana: in un primo momento, affermativo, la realtà ò colta in quanto immediatezza, così come essa si presenta complessivamente nelle manifestazioni più naturali (mondo greco); in un secondo momento, negativo, la realtà viene vista nelle sue componenti parziali, e quindi nell’opposizione problematica tra i suoi diversi aspetti (mondo ebraico); infine, in un terzo momento, sintetico, quell’opposizione viene risolta con il riferimento a una realtà superiore nella quale ritrovano la loro unità gli aspetti che prima apparivano divisi (Cristianesimo). L’ultimo degli Scritti teologici giovanili ò il cosiddetto Frammento di sistema del 1800, nel quale Hegel sviluppa ulteriormente il concetto di totalità . La filosofia non ò in grado di conseguire l’unità assoluta, dal momento che essa conserva la distinzione tra soggetto e oggetto, tra pensante e pensato. L’unità totale viene invece raggiunta dalla religione, la quale attinge la “vita infinita” al di là di ogni riflessione e distinzione. La vita infinita ò lo “spirito” (altro termine destinato ad avere un significato particolare nell’opera hegeliana) qui inteso come “vivente unità del vario”. Questa totalità assoluta, però, non ò soltanto unificazione, ma anche opposizione, distinzione: infatti, una unità assoluta che escludesse da sè l’opposizione, non sarebbe una vera unità , dato che comporterebbe la frattura tra il momento unitario e quello oppositivo, che devono invece essere intesi come i due aspetti di un’unica realtà . La vita ò dunque ” l’unione dell’unione e della non unione ” (cioò dell’opposizione). Attraverso queste nozioni Hegel comincia a delineare un concetto di totalità che non ò più l’identità indifferenziata di cui parlava Schelling, nella quale le opposizioni si risolvono e si fondono l’una nell’altra perdendo le caratteristiche specifiche, ma ò piuttosto una unità articolata in un complesso di opposizioni: queste ultime, se nel superiore momento unitario trovano la loro reciproca conciliazione e il loro vero significato, non perdono tuttavia le differenze specifiche che, anche all’interno del tutto, le connotano come aspetti parziali di esso, non costituenti da sole il tutto.
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