Kant: Critica della ragion pura - Studentville

Kant: Critica della ragion pura

Commento dell'opera di Kant.

La “Critica della Ragion pura” ò senza alcun dubbio il capolavoro filosofico kantiano e giunge al termine di oltre 35 anni di studio. L’opera, contrariamente al metodo di lavoro solitamente usato da Kant, ò stesa in pochissimi mesi e ciò appare incredibile vista la mole e la struttura complessa dello scritto; essa giunge in un momento in cui il pensiero kantiano ha già  raggiunto dei punti “fermi” imprescindibili. Tali presupposti possono essere così riassunti brevemente: l’intuizione ò solo del sensibile perchè solo con la sensibilità  un oggetto ò “dato”; l’intuizione sensibile coglie solo il singolare, il puro dato di fatto: di conseguenza ogni concetto astratto dai dati dell’intuizione sensibile ò un concetto empirico, quindi incapace di generare una scienza rigorosa; un concetto “puro” ò, per definizione, indipendente dai “dati” della sensibilità : dunque ò nel nostro spirito indipendentemente da ogni influsso degli oggetti. Il problema che Kant deve a questo punto risolvere ò questo: come può un concetto puro rappresentare un oggetto? A questo proposito scrive la “Critica della Ragion pura” nella quale egli stesso dice (1) di operare una “rivoluzione copernicana”; ma cosa vuol dire? Kant vuol significare che nella sua filosofia, contrariamente a tutta la tradizione precedente, ò l’oggetto che si adegua – “ruota” intorno – al soggetto; nella conoscenza ò l’oggetto che si “adatta”, quando viene conosciuto, alle leggi del soggetto che lo riceve conoscitivamente. “Noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello che noi stessi vi mettiamo”. Nel 1783 Kant pubblica i “Prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia presentarsi come scienza” che sono un tentativo di esporre le dottrine della “Critica della Ragion pura” in forma più accessibile, cambiando il metodo espositivo. Nei “Prolegomeni” viene usato il metodo analitico: si parte cioò dal condizionato, la scienza, per risalire alle condizioni, cioò la ragione con i suoi elementi e le sue leggi; nella “Critica”, invece, si usa il metodo sintetico: si parte dalle condizioni, la ragione, per spiegare il condizionato, cioò il sapere scientifico. Sostanzialmente sono la stessa opera ed hanno comunque un “postulato” in comune: l’affermazione del “valore” della fisica e della matematica e il conseguente “disvalore” del sapere metafisico. Da ultimo bisogna ricordare anche l’uso terminologico alquanto difficile che viene usato da Kant nella “Critica”; tale linguaggio ò diventato un punto di riferimento della filosofia successiva al punto che la lingua tedesca soppianterà  del tutto il latino nelle filosofie ottocentesche. Del tutto nuovo ò l’uso che Kant fa del termine “trascendentale”; egli per trascendentale intende la conoscenza del nostro modo di conoscere gli oggetti, ossia la condizione della conoscibilità  degli oggetti: cioò ciò che il soggetto mette nelle cose nell’atto stesso del conoscere, ossia l’a priori. Struttura dell’opera Introduzione problemi della “Critica” teoria dei giudizi giudizi analitici giudizi sintetici a priori a posteriori Dottrina trascendentale degli elementi Estetica trascendentale (dottrina che studia le strutture della sensibilità  e le sue “forme” a priori) spazio e tempo (“intuizioni pure” o “forme della sensibilità “; sono le forme a priori del soggetto, modi o funzioni del soggetto) Logica trascendentale (dottrina dell’intelletto: studia l’origine dei concetti ed i concetti a priori) analitica trascendentale (esposizione delle leggi del pensiero nella sua pura forma – uso legittimo) Intelletto = facoltà  di giudicare cioò unificare il molteplice sotto una rappresentazione comune analitica dei concetti – “deduzione trascendentale delle categorie” (appercezione trascendentale o “Io penso”) analitica dei principi – “schematismo trascendentale” (distinzione fenomeno – noumeno) dialettica trascendentale (esposizione della logica della conoscenza illusoria – uso illegittimo) Ragione = facoltà  di sillogizzare cioò l’intelletto si spinge oltre l’esperienza possibile; critica dell’Intelletto nel suo uso “iperfisico” psicologia razionale – ha per oggetto l’anima ed i suoi paralogismi cosmologia razionale – ha per oggetto il mondo con le sue antinomie teologia razionale – ha per oggetto Dio quale ideale della ragion pura (uso regolativo delle Idee della ragione) Dottrina trascendentale del metodo disciplina della ragion pura canone della ragion pura architettonica della ragion pura storia della ragion pura [La dottrina trascendentale del metodo studia quel tipo di sapere che ò possibile costruire a partire dalle strutture della nostra conoscenza. ] Teoria dei giudizi Per giudizio Kant intende la connessione di due concetti; ad esempio S ò P, dove per S si intende il soggetto e P ò il predicato. Vi possono essere tre tipi di giudizio. 1) giudizi analitici – il predicato esprime un carattere già  compreso nel concetto: sono a priori, cioò universali e necessari e, quindi, non hanno bisogno dell’esperienza. (Esempi di questi giudizi sono: gli scapoli sono uomini, o, come afferma Kant, “i corpi sono estesi”(2)) Tali giudizi sono mere tautologie(3) perchè non arricchiscono la nostra conoscenza(4), sono puramente esplicativi; il principio di identità  e di non contraddizione fondano tali giudizi. 2) giudizi sintetici a posteriori – connettono soggetto e predicato in base ad una constatazione di fatto, conseguentemente non sono universali e necessari – a priori – ma arricchiscono la nostra conoscenza. (Esempi di questi giudizi sono: “i corpi sono pesanti”, so questo solo dopo aver di fatto pesato dei corpi) Tali giudizi sono estensivi del nostro conoscere, naturalmente in senso empirico; l’evidenza, nel senso di esperienza, fonda tali giudizi “sperimentali”. 3) giudizi sintetici a priori – il predicato aggiunge una nozione nuova a quella del soggetto (5) e sono universali e necessari (6). (Esempi di tali giudizi sono le operazioni matematiche come: “7 + 5 = 12”) Tali giudizi sono amplificativi del nostro conoscere proprio in base alla loro apriorità ; la matematica e la fisica contengono proposizioni che non sono frutto di semplici generalizzazioni di esperienze, ma sono necessarie ed universali pur non essendo analitiche. Solo con tali giudizi si dà  una scienza rigorosa. Il problema della “Critica” diventa ora quello di stabilire come sono possibili i giudizi sintetici a priori; il che equivale a chiedersi: come si giustificano le scienze matematiche e la fisica? àˆ possibile fare della metafisica una scienza? Estetica trascendentale I giudizi sintetici a priori sono possibili perchè l’oggetto su cui sono pronunciati ò un “fenomeno”; fenomeno ò il prodotto risultante dai dati della sensibilità  e da certe “forme a priori” che ordinano tali dati in una unità  oggettiva. I concetti dell’intelletto non esprimono mai la “cosa in sè”, essi non sono altro che forme unificatrici dei dati della sensibilità . Si può quindi affermare che il principio supremo dei giudizi sintetici a priori afferma che: “le condizioni della possibilità  dell’esperienza (7) in generale sono ad un tempo condizioni della possibilità  degli oggetti dell’esperienza”. La “forma” del fenomeno viene dal Soggetto: ò l’a priori della sensibilità , l’intuizione pura che prescinde dalle concrete sensazioni. Ma quali sono tali “forme pure a priori”? Esse sono spazio e tempo. Spazio e tempo sono “intuizioni pure” o “forme” della sensibilità  in quanto altro non sono che modi e funzioni del Soggetto; spazio e tempo non ineriscono alle cose, ma sono “forme” della nostra intuizione sensibile, sono “forme” del Soggetto, cioò “idealità  trascendentali”. Spazio e tempo, quindi, non esistono in sè, ma soltanto in noi. Concludendo si può affermare che la “forma” della conoscenza sensibile dipende da noi, il contenuto no, ci ò “dato”. I giudizi sintetici a priori sono possibili perchè si fondano sulle intuizioni pure di spazio e tempo; sono universali e necessari, ma hanno valore nel ristretto ambito fenomenico. Analitica trascendentale L’analitica trascendentale rappresenta la “parte positiva” della logica trascendentale e studia gli elementi della conoscenza pura dell’intelletto e i principi senza i quali nessun oggetto può essere assolutamente pensato; insomma studia le forme a priori dell’intelletto. Per Kant, quindi anche l’intelletto, come la sensibilità , avrà  le sue forme a priori e tali forme le avrà  anche la ragione (8); per non confondersi nella complessa struttura kantiana, il tutto può essere così schematizzato: Disciplina Facoltà  Forme a priori estetica trascendentale sensibilità  spazio e tempo analitica trascendentale intelletto categorie dialettica trascendentale ragione idee Nell’analitica dei concetti Kant vuol dimostrare che senza “concetti puri”, cioò le categorie, non vi sono oggetti d’esperienza; dimostra ciò tramite quella che lui chiama la deduzione trascendentale delle categorie. Le categorie entrano necessariamente a costituire gli oggetti d’esperienza: l’oggetto d’esperienza ò costituito proprio dalle intuizioni, sensibili, e dalle categorie. Ma cosa sono le categorie? Le categorie sono i modi in cui l’intelletto unifica e sintetizza, sono “forme unificatrici, sintetizzatrici” dei dati sensibili (9), sono i fondamenti della possibilità  di ogni esperienza in generale. Capiamo così perchè per Kant l’intelletto sia la facoltà  di giudicare; ossia unificare un molteplice sotto una rappresentazione comune. Nascono a questo punto due domande: quali e quante sono le categorie? come entrano in funzione le categorie nei principi dell’intelletto? Alla prima domanda Kant risponde che i supremi concetti possono essere dedotti facilmente dalle “funzioni dell’unità  nei giudizi”; infatti la tavola delle categorie ò perfettamente speculare a quella dei giudizi: se dodici sono i tipi di giudizi allora dodici saranno le categorie. Ecco che così Kant può dire che “l’oggetto ò ciò nel cui concetto il molteplice di una data intuizione ò unificato”: cioò, l’intelletto mediante le categorie pensa quanto nell’intuizione ò “dato”. Però la sensibilità  mi dà  una molteplicità  di sensazioni riguardanti uno stesso oggetto, questo vuol dire che l’unità  dell’oggetto della conoscenza non può venire dai dati della sensibilità ; tale unità  viene dall’intelletto, dall’unità  della coscienza, dall'”Io penso” (10). Questo “Io penso” ò la condizione della conoscibilità  dell’oggetto unità  suprema delle dodici categorie. L’unità  dell’oggetto ò l’unità  che tiene strette le varie proprietà  dell’oggetto: ò il “legame” (11) che viene espresso nel giudizio. Così ò “dedotta”, ossia giustificata, dimostrata la presenza unificatrice dell’intelletto per costituire l’oggetto. I giudizi sintetici a priori sono possibili perchè le leggi di natura, cioò gli oggetti, sono conosciute “a priori” e non per generalizzazioni di esperienze. Le “leggi di natura” sono imposte dall’intelletto stesso perchè l’intelletto, con le sue categorie, costituisce l’oggetto dell’esperienza; l’intelletto ò autore e non spettatore di esso. Le leggi non esistono nei fenomeni, ma solo, relativamente al soggetto a cui i fenomeni si riferiscono. Alla seconda domanda Kant risponde nella analitica dei principi in cui viene esposta l’applicazione delle categorie, cioò “come” avviene di fatto la sussunzione (12) delle intuizioni empiriche sotto le categorie. Dato che i principi derivanti dalle categorie costituiscono il complesso delle conoscenze a priori che possiamo avere sulla natura, la loro “sussunzione” avviene tramite lo schematismo trascendentale. Lo schematismo trascendentale ò “il modo di comportarsi dell’intelletto con gli schemi”; ma cosa ò uno “schema”? Lo “schema” ò un intermediario tra le categorie e il dato sensibile che serve ad eliminare l’eterogeneità  dei due elementi della sintesi: ò “generale” come la categoria e “temporale” come il contenuto dell’esperienza. Per questo motivo si può affermare che lo “schema” altro non ò se non la condizione universale di applicabilità  delle categorie alle intuizioni (sensibili). La condizione generale secondo la quale la categoria può essere applicata a un oggetto ò il “tempo”; quindi lo schema ò una determinazione a priori del tempo. Ma nell’analitica dei principi si trova un altro tema tipicamente kantiano: la distinzione fenomeno-noumeno; tale distinzione rappresenta il punto d’arrivo del “dualismo gnoseologico” e quindi di quella “parabola filosofica” iniziata da Cartesio che ha avuto nella rivoluzione scientifica galileiana, poi newtoniana, la sua costante fonte d’ispirazione. Per Kant il fenomeno non esaurisce tutta la realtà , però la conoscenza fenomenica ò l’unica sicura; il noumeno, invece, rappresenta la cosa-in-sè ed ò inconoscibile; ò, secondo Kant, la sfera della metafisica. L’intuizione sensibile umana ò fenomenizzante: si ammette un sostrato metafenomenico, ossia noumenico; il noumeno può essere pensato, ma non conosciuto. Il noumeno ò un concetto limite, serve a circoscrivere le pretese della sensibilità . Dialettica trascendentale La dialettica trascendentale ò la “parte negativa” della logica trascendentale ed ha come scopo la critica dell’intelletto nel suo uso “iperfisico” per smascherarne le sue infondate presunzioni. L’intelletto da solo non basta per rappresentare un oggetto, serve un “materiale” da unificare: la sensibilità . Le categorie, pur essendo dell’intelletto puro, non possono essere applicate a ciò che non ò sperimentabile perchè, senza il contributo della sensibilità , non sono capaci di rappresentare un oggetto; per questo motivo non possiamo spingerci al di là  dell’esperienza possibile. Ecco perchè la metafisica ò fallita; nel sapere metafisico si ha un uso dialettico, cioò puramente formale, dei concetti dell’intelletto. I concetti dell’intelletto sono forme vuote fatte per unificare il sensibile, quando usati per conoscere realtà  in sè, cioò non date dal sensibile, l’uomo cade in una conoscenza di tipo illusorio. La dialettica studia la ragione e le sue strutture; per “ragione” si intende l’intelletto che si spinge al di là  dell’orizzonte dell’esperienza possibile. Questo “spingersi al di là ” ò un bisogno strutturale dell’uomo, una sua legittima esigenza; Kant definisce la ragione come la “facoltà  dell’incondizionato”, ovvero la pura esigenza dell’Assoluto. Questa facoltà  della metafisica, cioò l’incondizionato, sta alla base: dei fenomeni psichici, dei fenomeni fisici e di ogni realtà . Dallo studio di queste tre realtà  derivano tre discipline diverse, ognuna con il proprio oggetto di studio; il tutto può essere così schematizzato. fenomeni psichici psicologia razionale studia l’anima fenomeni fisici cosmologia razionale studia il mondo (come intero metafisico) ogni realtà  teologia razionale studia Dio Anima, mondo e Dio non ci rappresentano un oggetto, indicano un punto di convergenza “ipotetico” al quale tendono i nostri ragionamenti. Tali concetti vengono da Kant criticati e con essi viene di conseguenza criticato l’uso “iperfisico” della ragione. La critica della psicologia razionale verte sul fatto che l’Io non ò un concetto, ma solo una coscienza che accompagna ogni nostro concetto; tutti gli argomenti per dimostrare l’esistenza dell’anima, l’idea cioò di un Io immutabile, non sono altro che paralogismi (13) della ragion pura. Fuori dall’esperienza i nostri concetti lavorano “a vuoto”, quindi quando la cosmologia razionale afferma l’esistenza di un mondo in sè, pur non commettendo errori argomentativi, produce tutta una serie di affermazioni antitetiche che sembrano essere tuttavia valide. Queste coppie di affermazioni sono le antinomie (14) della ragion pura. La teologia razionale viene criticata mettendo “in scacco” le prove tradizionali dell’esistenza di Dio; al di là  della validità  o meno di tali critiche, Kant conclude affermando che il concetto di Dio non ò un’idea, ma un ideale della ragion pura: ò cioò l’idea di un Individuo che abbia tutti gli attributi positivi. Anima, mondo e Dio non sono però pure “finzioni” dell’intelletto: non costituiscono oggetti, non fanno un uso costitutivo della ragione, ma indicano all’intelletto una direzione di ricerca, fanno un uso regolativo della ragione. Tali concetti, anima, mondo e Dio, sono “schemi” per ordinare l’esperienza, per darle maggiore unità ; ecco che si può parlare anche di un uso schematico della ragione, di un “come se”. Insomma, sono principi euristici: non ampliano la nostra conoscenza, ma la unificano. Conclusione La metafisica come scienza ò impossibile perchè la “sintesi a priori” metafisica presuppone un intelletto intuitivo che noi non possediamo; oltre i limiti dell’esperienza sensibile l’uomo non può andare, dal punto di vista scientifico. Esiste però un altro ambito in cui il “noumeno” ò accessibile, almeno come “possibilità “: quest’ambito ò quello dell’etica; bisogna dunque passare dall’ambito teoretico a quello pratico. “Ho dovuto sopprimere il sapere per far posto alla fede”. Note (1) Nella “Prefazione” alla seconda edizione del 1787. (2) àˆ evidente in questo esempio il forte debito che Kant paga al “dualismo gnoseologico” cartesiano; per lui dire esteso ò sinonimo di corpo proprio perchè ò caratteristica peculiare della “res extensa” il fatto di essere “estesa”. (3) Per tautologia si intende una definizione inutile perchè ripetente nella conseguenza o nel predicato il concetto già  contenuto nel soggetto. Ad esempio: “M. de la Palisse un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita”. (4) Non ò vero: c’ò identità  materiale ma non formale. Quando affermo: “Il triangolo ha gli angoli interni uguali a 180°” non affermo una tautologia perchè se ò vero che la figura geometrica “triangolo” ò identica a quella “avente gli angoli interni uguali a 180°”, ò altrettanto vero che le due nozioni sono diverse. (5) Per questo motivo ò detto “sintetico”. (6) Per questo sono detti “a priori”. (7) Sensibilità  ed intelletto. (8) Le forme a priori della ragione vengono studiate nella dialettica trascendentale. (9) àˆ per questo motivo che le categorie sono “legis mentis”. (10) Kant la chiama anche “Appercezione trascendentale”. (11) “Verbindung” in lingua tedesca. (12) La riconduzione di qualcosa sotto un principio. (13) Sillogismo falso con apparenza di verità . (14) Termine con cui si indica la contraddizione fra due proposizioni filosofiche, ambedue ugualmente dimostrabili.

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