Kant: Il criticismo e il tribunale della ragione - Studentville

Kant: Il criticismo e il tribunale della ragione

Il criticismo kantiano.

Il programma metodologico già  annunciato nei Sogni di un visionario, consistente nel delineare una “scienza dei limiti della ragione”, trova la sua realizzazione nella Critica della ragin pura. “La ragione umana – scrive Kant in quest’ opera – in una specie delle sue conoscenze ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può evitare, perchò le sono posti dalla sua stessa natura, ma dei quali non può trovare la soluzione, perchò oltrepassano ogni suo potere”. L’ ambito in cui la ragione dibatte questi problemi, facendo ricorso a “princìpi che oltrepassano ogni possibile uso empirico” e incorrendo così in “oscurità  e contraddizioni”, ò la metafisica. Ma anche lo statuto gnoseologico delle scienze esatte – la matematica e la fisica – non ò del tutto chiaro, poichò, se nel loro caso ò indubitabile che siano possibili (giacchò la loro esistenza e la loro validità  sono un dato di fatto), non ò perspicuo in che modo siano possibili. Occorre dunque instaurare un tribunale della ragione in cui quest’ ultima, insieme giudice e imputato, determini i limiti e le possibilità  della conoscenza umana. Il programma della “filosofia critica” si apre quindi con tre domande fondamentali: 1) Com’ ò possibile una matematica pura? 2) Com’ ò possibile una fisica pura? 3) Com’ ò possibile la metafisica come scienza? “Lo confesso francamente: l’ ammonimento di David Hume fu ciò che molti anni fa, per primo mi svegliò dal sonno dogmatico”. Recenti indagini critiche sul pensiero di Kant ci inducono a dubitare oggi della validità  storica di questa affermazione: il passaggio di Kant al criticismo fu probabilmente determinato da influenze e mediazioni più complesse e anche più vicine al suo ambiente culturale. Ma anche se Hume non fu il primo a svegliare Kant dal sonno dogmatico, sicuramente egli costituisce un interlocutore essenziale per lui. Le obiezioni humiane alla causalità  necessaria riguardavano un concetto di cui anche Kant, come abbiamo visto, sentiva la problematicità . Esse inoltre avevano fortemente ridimensionato, ancora una volta in sintonia con le esigenze kantiane, le pretese della metafisica. Tuttavia l’ esito scettico di Hume aveva coinvolto, oltre ai tradizionali oggetti della metafisica, anche i fondamenti della scienza moderna ( newtoniana ), dei quali Kant non ebbe mai a dubitare. Indipendentemente dalla funzione storicamente svolta da Hume nella nascita del criticismo kantiano, ò certo che il pensiero dello scozzese esercitò uno stimolo importantissimo, anche in piena fase critica, circa la ricerca di un fondamento della conoscenza che, se da un lato mostrava l’ illusorietà  della metafisica, dall’ altro salvaguardava la validità  del sapere scientifico. La critica alla validità  necessaria della scienza era stata imperniata da Hune sulla nozione della causalità . Egli aveva mostrato, e Kant accoglie questa critica, come l’ esperienza non fornisca mai la necessità  della connessione causale, ma soltanto una successione temporale e una contiguità  spaziale dei fenomeni. Nella terminologia kantiana ciò si esprime dicendo che la necessità  causale non può essere data da alcun giudizio a posteriori (d’ esperienza). Nello stesso tempo anche Hume, come Kant, sapeva bene che la causalità  necessaria non può essere dimostrata in base al principio di identità , poichò l’ effetto non ò identico con la sua causa. In termini Kantiani la causalità  non ò data da alcun giudizio analitico (fondato sul principio d’ identità ). Se si vuol salvare la validità  oggettiva della causalità , e con essa quella di tutti i concetti intellettuali di cui la scienza si serve per dare leggi alla natura, il problema diventa allora quello di ritrovare una forma di connessione (nella fattispecie tra causa ed effetto, ma in generale tra le rappresentazioni che devono essere connesse necessariamente), la quale da un lato non si fondi sull’ esperienza (poichò questa, essendo sempre particolare, non può dare conoscenze universali), e dall’ altro non si riduca all’ applicazione del principio di identità  (che ò inadeguato a spigare la connessione di cose irriducibili l’ una all’ altra). In altri termini si tratta di indagare la possibilità  di un giudizio che per un verso non sia a posteriori, ma a priori, e per l’ altro non sia analitico, ma sintetico: si tratta cioò di vedere se, e come, siano possibili giudizi sintetici a priori. La Introduzione alla Critca della ragion pura contiene infatti una rigorosa distinzione tra tre tipi di giudizio. Il giudizio analitico a priori ò quello in cui il concetto del predicato ò già  contenuto nel concetto del soggetto, essendo sostanzialmente identico ad esso: ad esempio, “il tutto ò maggiore della parte”. La funzione di questo giudizio ò semplicemente quella di esplicitare ciò che ò già  implicitamente dato. Di conseguenza esso ha il vantaggio di essere universale (in quanto a priori) e lo svantaggio di essere sterile, di non produrre nuova conoscenza (in quanto analitico). Il giudizio sintetico a posteriori consiste invece nell’ unione di due concetti diversi sulla base dell’ esperienza: ad esempio, “l’ erba ò verde”. Esso presenta il vantaggio di essere fecondo producendo nuova conoscenza (in quanto sintetico): il predicato “verde” non ò già  contenuto nel soggetto “erba”, ma vi à  aggiunto sinteticamente; viceversa, ha lo svantaggio di essere particolare (in quanto a posteriori) e di non avere quindi validità  scientifica. Se questi due tipi di giudizi sono entrambi deficitari, in quanto sono o particolari o sterili, la garanzia di una conoscenza che sia nel contempo universale e feconda può venire soltanto da un terzo tipo di giudizi (rimasti ignoti a Hume): i giudizi sintetici a priori, nei quali la sintesi tra soggetto e predicato si fonda su un principio a priori, interno al soggetto conoscente. Come si ò detto, dai giudizi sintetici a priori dipende la validità  universale e necessaria, oltrechò nel concetto di causa, anche negli altri concetti intellettuali che istituiscono connessioni necessarie relative al mondo della natura. Da essi dipende quindi la possibilità  della fisica come scienza razionale pura. Lo stesso discorso, inoltre vale per la matematica pura, poichò Kant osserva ancora una volta in opposizione alla tradizione leibniziana, come questa disciplina si componga di giudizi non già  analitici, bensì sintetici. Nell’ operazione 7 + 5 = 12, infatti il concetto del 12 non ò già  implicitamente contenuto in quello della somma 7 + 5, ma risulta dalla sintesi progressiva che il soggetto opera intuitivamente, aggiungendo al numero 7a una a una le unità  che compongono il numero 5. Anche la metafisica, infine se vuol far valere la pretesa di essere una scienza (assimilabile quindi, per quanto concerne la sua validità , alla matematica e alla fisica), deve dimostrare di essere fondata su princìpi sintetici a priori. Le tre domande che esauriscono l’ ambito di indagine della Critica – come sono possibili una matematica pura, una fisica pura, una metafisica come scienza – sono pertanto riconducibili all’ unica domanda fondamentale: come sono possibili giudizi sintetici a priori? Le connessioni necessarie che costituiscono il carattere universale della conoscenza non provengono dunque dall’ oggetto, che di quelle connessioni è di per sò privo, ma dal soggetto stesso, il quale, nell’ atto del conoscere, proietta sull’ oggetto la propria capacità  sintetica. Questo ribaltamento di prospettiva, che sposta dall’ oggetto al soggetto il fondamento della conoscenza, è paragonato da Kant alla rivoluzione copernicana, che ha spostato il centro dell’ universo dalla Terra al Sole. Questa rivoluzione è stata realizzata nella matematica quando Talete capì che per dimostrare le proprietà  del triangolo isoscele non era sufficiente studiarne la figura oggettiva, ma occorreva costruirlo secondo criteri posti dal soggetto stesso. Qualcosa di analogo avvenne in fisica quando Galilei e Torricelli fecero i loro esperimenti sul piano inclinato o sulla pressione atmosferica: essi ritrovarono nella natura, cioò nell’ oggetto, soltanto ciò che la loro ragione, in quanto soggetto, vi aveva preliminarmente introdotto. La medesima rivoluzione deve essere ora compiuta, sostiene Kant, anche dalla filosofia, la quale deve occuparsi non più degli oggetti in se stessi, bensì degli elementi a priori che nel soggetto rendono possibile la costituzione e la conoscenza di quegli oggetti. Una simile filosofia è una filosofia trascendentale.

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