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Leibniz: la materia

La concezione leibniziana di materia.

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La materia La teoria delle monadi trova importanti applicazioni e specificazioni anche nel campo fisico, al quale Leibniz dedicò molta attenzione. Un primo ambito di problemi riguarda il cosiddetto « labirinto del continuo », così chiamato per l’evidente difficoltà che ne presenta lo studio, nel quale è facile per la mente umana smarrirsi. Il punto di partenza può essere considerato il fatto che la materia ci si presenta come divisibile. Ma divisibile fin dove? Ammettere che la divisione debba ad un certo punto fermarsi significherebbe ammettere degli atomi, cioè delle parti ultime, estesi. Ma ciò contraddice la teoria della sostanza, secondo cui i costituenti ultimi della realtà devono essere assolutamente semplici, cioè privi di parti e dunque di estensione. Del resto, anche ammettere che la divisione può andare all’infinito non risolve il problema, perché significa ammettere che non esistano parti semplici: ma senza il semplice non può esistere il complesso. Per Leibniz c’è un’unica soluzione: malgrado i paradossi che ciò comporta ( messi in evidenza fin da Aristotele ), è necessario ammettere l’esistenza dell’infinito attuale, e non solo potenziale: Ciascuna porzione della materia non è soltanto divisibile all’infinito, come hanno riconosciuto gli antichi, ma anche suddivisa attualmente senza fine, ciascuna parte in parti di cui ciascuna ha qualche movimento proprio . (Monadologia, 65) Ciò che a noi appare come materia continua è in realtà dunque l’aggregato di infinite monadi di dimensioni infinitesime (ancora una volta è una posizione chiaramente ispirata dalla scoperta del calcolo infinitesimale). In questo modo dunque viene anche cancellata l’assoluta distinzione che Cartesio poneva tra spirito e materia. La teoria della sostanza, e più precisamente il principio di ragion sufficiente e il principio di identità degli indiscernibili, offre a Leibniz anche la possibilità di confutare l’opinione di Newton secondo la quale spazio e tempo sono enti in sé, autonomi dalle cose che vi sono poste: Lo spazio è qualcosa di assolutamente uniforme; e, senza le cose che vi si trovano, un punto dello spazio non differisce assolutamente in nessun aspetto da un altro punto dello spazio. Ora di qui segue (supponendo che lo spazio sia in sé stesso qualcosa, oltre l’ordine dei corpi tra loro), che non può esservi una ragione perché Dio, conservando le stesse posizioni dei corpi tra loro, abbia situato i corpi nello spazio in un certo modo e non altrimenti; perché tutto non sia stato invece posto a rovescio, per esempio scambiando l’oriente con l’occidente. Ma se lo spazio non è altro che quell’ordine o rapporto, e non è nulla affatto senza i corpi … allora quei due stati, l’uno come è ora, l’altro supposto completamente al rovescio, non differiscono affatto tra loro. La loro differenza non si trova dunque che nella nostra supposizione chimerica della realtà dello spazio in sé stesso. … È la stessa cosa rispetto al tempo. … Lo stesso argomento prova che gli istanti, considerati fuori delle cose, non sono assolutamente nulla, e che essi non consistono in altro che nell’ordine successivo delle cose (G/V 363). Queste premesse rendono impossibile a Leibniz indicare — come aveva fatto Descartes — nell’estensione l’essenza della materia. Bisogna piuttosto secondo lui riconoscere due caratteristiche essenziali, entrambe le quali sono di carattere dinamico e non semplicemente geometrico. La prima è l’inerzia, ed è la tendenza a perseverare nello stato di quiete o di moto finché non intervenga una causa esterna (in questo senso si parla di materia prima); la seconda è la forza viva, che è la causa del movimento (in questo senso si parla di materia seconda). Entrambe queste caratteristiche infatti rispettano una norma che la teoria della sostanza ha dimostrato essenziale: esse si conservano (segue nel file da scaricare)

  • Filosofia

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