L’INTERAZIONE SOCIALE: IL SIGNIFICATO NELLA PSICOLOGIA. Vivere in società vuol dire appartenere. Apparteniamo ad essa anche e soprattutto perché la nostra vita al suo interno è mediata da strutture quali status, norme e ruoli che contribuiscono alla costruzione e al mantenimento dell’identità: distinguiamo quindi fra identità personale, ovvero il modo in cui gli individui si descrivono sulla base di caratteristiche personali, e identità sociale, che si riferisce a tutti quegli aspetti di sé che sono legati alla consapevolezza di appartenere a un gruppo e al sentimento che deriva da questa appartenenza. Tenere bene a mente questa differenza aiuta a definire meglio, come suggerisce Tajfel, l’interazione sociale sulla base di un continuum interpersonale-gruppo, una dimensione continua in cui si colloca il comportamento e sociale e che aiuta a distinguere fra le azioni compiute in quanto persone e quelle compiute in quanto appartenenti a un gruppo sociale. Le variabili con cui un’azione si colloca in uno specifico punto del continuum interpersonale-gruppo riguardano la precisione con cui è possibile evidenziare le diverse categorie sociali che entrano in gioco nel comportamento da analizzare, il grado in cui il comportamento e gli atteggiamenti di ogni gruppo risultano essere variabili o uniformi, e la misura in cui il comportamento mostra uniformità e prevedibilità rispetto alla possibilità che sia da riferirsi a caratteristiche idiosincratiche della persona specifica.
INTERAZIONE SOCIALE: COS’E’ UN GRUPPO. Ma che cos’è un gruppo? E come arriviamo a sentircene parte? Un gruppo è in sostanza un insieme di due o più persone la cui interdipendenza porta ad avere un destino comune e l’altrettanto comune percezione di appartenere a uno stesso aggregato sociale. E’ importante però che il suddetto aggregato sia anche riconosciuto socialmente, accettato da altri.
Dal punto di vista cognitivo, è attraverso il processo di autocategorizzazione che arriviamo a concepire la nostra appartenza, mentre, da un punto di vista cronologico, il processo di appartenenza a un gruppo segue delle tappe ben precise, come evidenziato da Moreland e Levine: c’è inizialmente una fase di esplorazione, in cui i gruppi e i membri potenziali sono alla ricerca gli uni di ulteriori mezzi per raggiungere i propri obiettivi mentre gli altri di un aggregato sociale in grado di soddisfare i loro bisogni , poi una fase di socializzazione, in cui ambo le parti si impegnano per soddisfare le reciproche esigenze attraverso la diffusione delle norme e aspettative vigenti nel gruppo ( è la fase in cui si diventa membri marginali o a pieno titolo), una fase di mantenimento, con la creazione di ruoli specializzati al fine di massimizzare le possibilità di raggiungimento degli obiettivi di gruppo, una fase di risocializzazione, in cui il gruppo e il membro ormai consolidatosi come tale “ricontrattano” i loro bisogni e aspettative sulla base delle esperienza comune ( è il momento in cui il membro a pieno titolo manterrà la sua posizione o tornerà ad essere marginale), e il ricordo, quando un membro marginale diventa ex membro. Tenere a mente queste tappe aiuta, quando si considerano i processi decisionali di un singolo individuo, a comprendere la tenacia e la forma con cui questi processi vengono influenzati dal sistema di appartenenze; lo stesso vale anche per i comportamenti. Sappiamo, ad esempio, che l’appartenenza a un gruppo può concretizzarsi in una situazione in cui le persone si comportano e definiscono solo in funzione delle norme e dell’identità del gruppo a cui appartengono (è il caso della deindividuazione), o in un processo decisionale che risulta compromesso dal fatto che i componenti del gruppo possono essere motivati a raggiungere un consenso indipendentemente da come questo venga ottenuto (è il caso del groupthink).
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