La sostanza unica, infinita ed eterna di cui parla Spinoza non è altro che Dio stesso. La dimostrazione dell’ esistenza di Dio coincide con quella della sostanza. Egli infatti non è altro che la realtà stessa considerata nella sua totalità , con tutte le sue infinite espressioni e manifestazioni. Gli attributi e i modi della sostanza sono gli attributi e i modi di Dio. Le cose particolari non sono altro se non affezioni degli attributi di Dio, ossia modi mediante i quali gli attributi di Dio sono espressi in maniera certa e determinata. Dio è la causa necessaria e necessitante di tutte le cose. Non esiste nulla di contingente. Tutto deriva necessariamente da Dio e tutto avviene necessariamente secondo il modo in cui si determinano gli attributi della sostanza. Dio soltanto è causa libera: non tanto nel senso che egli possa liberamente scegliere se una cosa sia o non sia, quanto piuttosto nel senso che egli non è necessitato da null’ altro che dalla propria natura. In Dio quindi coincidono libertà e necessità . Oltre che causa incausata, Dio è causa immanente dell’ intera realtà . Dal momento che la sostanza è unica, Dio e le cose che da lui necessariamente derivano sono la stessa realtà , anche se considerata sotto due diversi aspetti. Dio e la natura coincidono, ma quest’ ultima può anche essere vista sotto due diverse determinazioni. La natura naturante è la realtà esaminata come sostanza infinita, come somma totale degli attributi, come causa di sò e di tutte le cose, ossia come Dio in quanto fondamento causale di tutto ciò che esiste. La natura naturata, invece, è la realtà esaminata come insieme delle cose particolari e finite, ossia dei modi che derivano dagli attributi di Dio, e che pertanto senza Dio non possono nò essere nò essere concepiti. Questa causalità necessaria va intesa sia in senso reale, dal momento che Dio è causa dell’ effettiva esistenza delle cose singole, sia in senso logico-matematico, dato che i modi derivano dalla sostanza divina così come nella geometria le proposizioni ultime derivano dai primi princìpi. I modi sono perciò legati tra di loro secondo un ordine necessario, che è nello stesso tempo ordine reale ( ossia una struttura ontologica della realtà ) e un ordine geometrico ( cioò un’ articolazione logico-matematica ). Accennavamo che la forma letteraria in cui è scritto il trattato dell’ Etica dimostrata secondo l’ ordine geometrico non è un semplice omaggio a una esigenza di rigore metodologico. Ecco che adesso possiamo capire meglio quest’ affermazione: Spinoza compone un trattato geometrico di filosofia perchò la realtà stessa ha una struttura geometrica. I modi sono legati tra loro da rapporti causali necessari, così come in un trattato geometrico le proposizioni sono congiunte tra loro da rapporti necessari di antecedenza e conseguenza. Il ricorso al modello matematico, che non deve stupirci se teniamo conto che Spinoza vive nel 1600, il secolo della matematica, non ha quindi un valore puramente analogico: la geometria è l’ unico linguaggio che possa esprimere una conoscenza adeguata della realtà , proprio perchò la realtà è in termini geometrici ( il libro della natura, diceva Galileo ). Questa concezione della realtà , per la quale Dio è causa incausata e necessaria di tutto quanto comporta in Spinoza una radicale e serrata critica al finalismo, tanto nell’ uomo quanto nella natura. Gli uomini, proprio perchò non hanno coscienza delle cause necessarie che li determinano, ma soltanto dell’ utile in vista del quale agiscono, conferiscono a torto a quest’ ultimo il carattere di fine e, in modo ancora più sbagliato, proiettano questo loro modo di pensare sulla natura, arrivando a pensare che anch’ essa agisca in vista di fini. Questo pregiudizio, sostiene Spinoza, è rafforzato dal fatto che gli uomini ravvisano nella natura cose che sono loro utili: per esempio gli occhi per vedere, le mani per impugnare oggetti, i denti per masticare, le orecchie per sentire, gli ortaggi e gli animali per mangiare, i torrenti per bere e così via ) e, sapendo che queste cose non sono state prodotte da loro, congetturano che esse siano state create per loro da Dio. Ma quando incorrono in cose nocive e non utili, quali le malattie e le calamità naturali, le interpretano poi come punizioni divine, sostenendo che la volontà di Dio è imperscrutabile e quindi evitando perfino di trovare una spiegazione ragionevole. Ecco che gli uomini cercano di spiegare le cose facendo appello all’ ignoranza, ma, cosa ancora peggiore, si costruiscono un’ immagine falsa di Dio dato che, attribuendogli fini da conseguire nell’ uomo e nella natura, lo considerano manchevole di qualcosa e quindi imperfetto. Nel passato avevano abbracciato posizioni finalistiche, tanto per citarne qualcuno, Platone e Aristotele; quest’ ultimo, è bene ricordarlo, sosteneva che l’ uomo avesse la mano perchò è il più intelligente degli animali e non che l’ uomo fosse il più intelligente degli animali proprio perchò ha la mano, come diceva invece Anassagora ( con cui Spinoza si sarebbe schierato ). Ma posizioni finalistiche serpeggiano anche nel 1600: pensiamo a Leibniz, contemporaneo di Spinoza ( i due ebbero pure modo di incontrarsi ).
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