TEMA DI LETTERATURA - Petrarca e la vanità delle cose terrene - Studentville

TEMA DI LETTERATURA - Petrarca e la vanità delle cose terrene

Saggio di letteratura su Petrarca e la vanità delle cose terrene.

La vanità delle cose terrene è un tema ricorrente in molte opere di Petrarca. Il grande intellettuale è afflitto da un dissidio interiore, che resterà senza soluzione: Petrarca è affascinato dai piaceri terreni, dalla vita mondana ma è anche cosciente che quanto piace al mondo è breve sogno. Il poeta desiderava la gloria, fece di tutto per poter essere incoronato a Roma, amava la vita di corte (infatti è con Petrarca che nasce la figura del letterato cortigiano), nel suo cuore arde un impulso amoroso, l’amore è contemporaneamente uno strumento di elevazione dell’anima e un peccato, un feroce desiderio che spinge l’uomo ai piaceri della carne e lo allontana dai beni celesti e da Dio. È significativo, infatti, la sentenza di S. Agostino nel Secretum: la mente è accecata dai lieti successi, dalla gloria rivestita da falsi allettamenti e non si accorge dell’incalzare della morte, non si preoccupa di essere destinato a morire. San Agostino ribadisce il concetto della vanità della gloria, definendola un volubile venticello, e da buon confessore, cerca di spronare Petrarca, di ricondurlo sulla retta via. Ma per il poeta, al contrario degli stilnovisti, non c’è conciliazione tra l’uomo mondano e l’uomo di chiesa. Tra l’amore per Laura inteso come strumento di elevazione e di salvezza (negli stilnovisti la donna – angelo ha una funzione salvifica, ovvero purifica l’anima, mobilita il cuor gentil) e l’amore inteso come passione carnale, come desiderio peccaminoso. Le molteplici contraddizioni sono collocate nel fluire del tempo e la vita, spera nella ricerca della gloria e dei vani piaceri del mondo, finirà con la morte che ci insegna quale sia il posto di tutte le nostre cose.  Il tema della vanità riemerge nell’ascesa al Monte Ventoso: alle ricchezze ed alle esperienze terrene, Petrarca contrappone l’esaltazione dell’anima ed il disprezzo delle realtà terrene. Tuttavia, il poeta non riuscirà a rinunciare alla bellezza della vita di corte, alle ricchezze ed alla continua ricerca della gloria: sarà proprio ciò a causargli una profonda crisi spirituale. Tra i vari eventi che portano a questa crisi, vi è, appunto, la monacazione del fratello Gherardo in seguito all’ascesa al Monte Ventoso. Un’ulteriore citazione al tema della futilità delle cose terrene è presente in due sonetti del Canzoniere: “Voi ch’a ascoltate in rime sparse” e “Padre del ciel dopo i perduti giorni”; nei due sonetti, il tema è espresso dal verbo vaneggiare. Infatti, nel primo, Petrarca scrive che “del mio vaneggiar vergogna è il frutto, è il pentirsi”: il poeta si pente e si vergogna di aver speso “vaneggiando” il suo tempo, perché è cosciente che tutto ciò che ha fatto sarà vanificato dalla morte. Nel secondo sonetto, Petrarca chiede perdono a Dio per aver speso un’intera vita nella ricerca della gloria terrena, anziché condurre una vita ascetica, dedita alla preghiera ed alla meditazione. Il poeta si pente, quindi, di aver perso notti e giorni in vane ricerche ed in feroci desideri. Da grande intellettuale, Petrarca ha allargato i suoi orizzonti, ampliando i suoi concetti dell’interno del suo io all’Italia stessa, come vediamo nella canzone Italia Mia. Confrontando la canzone con il sonetto La vita fugge, si deduce che il tema della fugacità del tempo ritorna con un significato più ampio, che si riscontra nel passo “Signò, mirate come il tempo vola, et si come la vita fugge, et la morte si è sopra le spalle”.
Petrarca, dal punto di vista storico, è a cavallo tra l’età comunale e l’età signorile, è immerso in una realtà diversa da quella di Dante, nonostante tra i due intercorrano pochi anni. Il periodo in cui vive Petrarca è il tempo delle lotte civili che dilaniano l’Italia, è il tempo in cui i signori d’Italia spendono il loro denaro per assoldare mercenari, tralasciando il proprio nazionalismo, dimenticandosi del popolo italiano e pensando solo ai propri interessi. Petrarca spera, dunque, che i signori si ravvedono, che antepongono le virtù alla violenza, gli interessi di tutti agli interessi personali (virtù contro furore). Il poeta dedito all’Otium (in senso latino) ed agli studi classici è anche il poeta che celebra il suo amore per la donna amata, Laura. L’importanza, per Petrarca, dell’amore per Laura è esplicitata in moltissimi sonetti, tra cui “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” e la canzone “Chiare fresche e dolci acque”. Laura non è una donna – angelo come per gli stilnovisti, ma è una donna soggetta al tempo, alle intemperie e alla morte. Petrarca stesso afferma che gli occhi di Laura erano dei fari nella notte che gli indicavano la via. Tuttavia, parlare di Laura è un pretesto per esprimere i propri ideali, per parlare di amore.
L’ipotesi più accreditata è che Laura sia una dama sposata, secondo gli schemi dell’amor cortese, ma l’amore di Petrarca è stato un amore orientato su un piano intellettuale, un amore impossibile, che si nutre di lontananza ed anche un amore non corrisposto. Non è casuale, inoltre, l’assonanza “Laura – Lauro” , un altro simbolo che indica il desiderio di Petrarca di essere glorificato solennemente. Riuscì ad ottenere, infatti, diversi riconoscimenti poetici, che culminarono con l’incoronazione a Roma per iniziativa del re di Napoli. Ma né l’incoronazione né gli elogi dei chierici o dei nobili placarono il suo conflitto interiore. Petrarca ammirò la scelta esistenziale del fratello Gherardo, ovvero la sua monacazione: Gherardo riuscì a condurre la vita ascetica che Petrarca aveva sempre desiderato. D’altra parte, tale evento, con il passare del tempo, divenne un altro motivo per  commiserarsi. Petrarca soffre si una malattia che oggi viene definita “depressione” ed è appunto uno stato d’animo conflittuale, un contrapporsi tra il desiderio ad una vita sublime, che disprezza la realtà terrena e i vari piaceri, ed il piacere, la vita mondana. Petrarca si sente solo e, quindi, individuo. Forse è proprio per questo che viene definito moderno, è proprio per questa sua caratteristica e per il suo amore per la letteratura classica che viene definito il padre dell’umanesimo. Infine, è proprio nell’ascesa al Monte Ventoso che, leggendo le Confessioni di Sant’Agostino, ritrova uno specchio della sua anima: “e gli uomini se ne vanno ad ammirare gli alti monti e i grandi flutti del mare, i laghi letti dei fiumi e l’immensità dell’oceano e il corso delle stelle”; “e trascurano se stessi”.

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