Classicità, Romanità e Archeologia nel Fascismo - Studentville

Classicità, Romanità e Archeologia nel Fascismo

Classicità, romanità e archeologia durante il regima fascista in Italia.

Classicità, Romanità e Archeologia nel Fascismo

I caratteri del Classicismo nel Fascismo risalivano al nazionalismo di D’Annunzio a agli inizi di Mussolini fascista. Fu un indirizzo fondante strettamente legato alla “i31lianità”, alla esaltazione della più antica tradizione storica italiana. Una delle domande che a questo punto si potrebbe fare è: “Quali contenuti caratteristici del classicismo europeo siano confluiti come motivi non secondari nella ideologia fascista e possano considerarsi tra le ‘matrici’ di essa?”. La risposta a questa domanda potrebbe essere: “l’antidemocrazia, l’ipotesi di una “terza via”, l’idea ovvia di Roma, della “missione imperiale” e “il radicale antagonismo verso il mondo moderno””.

Il classicismo insomma finisce a polarizzare e perfino a inglobare, non solo l’intera “ideologia fascista”, ma pure in genere tutte le ideologie “reazionarie” europee. Diciamo che il tipo di società fascista aveva caratteristiche dell’età greca e romana che si prestavano particolarmente a quel periodo; tali caratteristiche fornivano i contenuti giusti per un sistema di valori basati su ideali del passato classico. Il regime fascista era visto inoltre come “terza via” tra capitalismo e bolscevismo, nella quale si inseriva la propaganda fascista nell’impero coloniale. Un impero che si proponeva come demografico e civilizzatore, doveva riconoscere come proprio modello la ‘continuità’ romano-italica, il ‘primato’ e soprattutto l’impero romano.

L’immagine data dell’impero romano seguiva la tradizione classicistica che era stata fatta propria dal regime e messa a disposizione degli imperialisti moderni. E’ in questo contesto che si diffonde l’idea-mito della “missione imperiale” di Roma, che il fascismo celebrava e diffondeva imponendola quasi come una “religione”.Quanto ai temi della romanità non c’è dubbio che fossero degradati, per strumentalità politico-retorica, a “cultura inferiore” su cui è facile ironizzare, nella ottica delle Scienze umanistiche, e che è inespressivo definire “reazionaria”.

Anche in Italia, il classicismo non fu una ‘invenzione’ arbitraria e folle. Oltre l’eredità tardo-ottocentesca, un “classicismo moderno” seguiva all’ampio movimento culturale di riflusso nell’”ordine” e nella “tradizione”, che ebbe sviluppo nel dopoguerra, e coinvolse la letteratura e le arti. Ma questo fu soltanto uno dei livelli politico-culturali del fascismo, coesistente col “modernismo”, essendo proprio un “richiamo classico” ma in proiezione moderna. Inoltre bisogna ricordare parole e gesti del DUCE-DUX, il nuovo Augusto principe romano, già “capoparte” e “rivoluzionario”, a sua volta mitizzato con attribuzione, oltre che di poteri “superiori”, pure di qualifiche “divine”, figure ora rievocate con ritualità e coreografie romane. Inoltre il mito sopraffatto  del DUCE e del suo verbo, e di una romanità improbabile come mito popolare moderno. Durante il periodo fascista inoltre fu istituita una vera e propria difesa del patrimonio artistico in caso di guerra, anche da parte dei combattenti. Poi bisogna segnalare la concezione di museo in quel tempo. Esso era un insieme di ‘documenti’ i quali rappresentavano l’”attuale valore della personalità storica nazionale, nella quale la tradizione è viva come una costitutiva premessa eternamene presente”.

Vi sono altri caratteri riconducibili alla sfera romana, ad esempio molto importante fu l’introduzione del saluto romano a braccio alzato in luogo della stretta di mano. Infatti all’inizio del 1938, oltre all’abolizione della stretta di mano sostituita dal saluto col braccio levato, Mussolini cercò di imitare la  cultura della Germania del tempo, molto vicini a quella della Roma di un tempo: nell’esercito fu introdotto il cosidetto “passo dell’oca”, ribattezzato “passo romano”, che Mussolini disse mutuato dalle antiche legioni romane, e soprattutto il Duce cominciò a pensare a introdurre anche in Italia una legislazione antisemita. Particolarmente impegnativo fu l’intervento di Mussolini per fare di Roma una capitale degna del nuovo regime, di tipo augusteo, non senza sventramenti che distrussero testimonianze e tesori del passato: tra di essi, la via dell’Impero, che riassunse il senso urbanistico e politico del suo programma romano. Ma le borgate periferiche furono lasciate in uno stato di abbandono e degrado.

Ma quanto del mito della romanità fosse farina del sacco di Mussolini? Dagli scritti e dalle testimonianze di coloro che hanno vissuto accanto alla figura di Mussolini, molti affermano che la maggiore influenza riguardo la romanità e tutto ciò che ne riguarda, gli fu trasmessa dalla Sarfatti, una persona così malata di romanità da influenzare anche la figura del Mussolini.

Che cosa é questo Fascismo …..(scrive Benito Mussolini)

23 Marzo 1921 – Dal diario della volontà

– .” Che cosa è questo Fascismo….”

“Che cosa é questo fascismo, contro il quale si accaniscono invano i nemici vecchi e nuovi? Che cosa é questo Fascismo le cui gesta riempiono le cronache italiane?

Sia concessso a noi, che abbiamo l’orgoglio di aver lanciato nel mondo questa superba creatura, piena di tutti gli impeti e gli ardori di una giovinezza traboccante di vita; sia concesso a noi di rispondere a queste domande.
Il Fascismo é una grande mobilitazione di forze materiali e morali. Che cosa si propone? Lo diciamo senza false modestie: governare la Nazione. Con quale programma? Col programma necessario ad assicurare la grandezza morale e materiale del popolo italiano.
Parliamo schietto: Non importa se il nostro programma concreto, non é antitetico ed é piuttosto convergente con quello dei socialisti, per tutto ciò che riguarda la riorganizzazione tecnica, amministrativa e politica del nostro Paese.
Noi agitiamo dei valori morali e tradizionali che il socialismo trascura o disprezza, ma soprattutto lo spirito fascista rifugge da tutto ciò che é ipoteca arbitraria sul misterioso futuro.

Oggi si compiono i due anni dal giorno in cui sorsero i Fasci italiani di Combattimento. Abbiamo appena il tempo di evocare la data. La battaglia infuria dovunque. Le cronache sono rosse o arrossate dal latin sangue gentile fascista. E poi, non abbiamo la stoffa dei commemoratori. Camminiamo avanti e guardando dinanzi a noi. E’ il nostro stile. Siamo giovani, nati ieri e non abbiamo storia. O ne abbiamo troppa. Ma non ci pesa. Non grava sulle nostre anime il passato, perché il tumultuoso presente c’incalza verso l’avvenire.

Non eravamo in molti, nella sala di Piazza San Sepolcro due anni fa, quando gettammo le prime basi della nostra costruzione ideale. Un centinaio forse. Io stesso non mi cullavo in illusioni eccessive. Mi contentavo di costituire, in prosieguo di tempo, un centinaio di Fasci nelle principali città d’Italia.

Il Fascismo non aveva molti numeri per conseguire un successo di adesioni e di popolarità. Si chiamava di “combattimento” e questa parola, dopo quaranta mesi di guerra, suonava ingrata alle orecchie di molta gente; partiva in lotta contro il rinunciatarismo, il che alienava al fascismo le simpatie di coloro che fanno dell'”imperialismo” per tutti i popoli, salvo che per quello italiano; rivendicava la necessità dell’intervento in guerra e la grandezza della vittoria, la qual cosa urtava i nervi di quelli che intendevano superate le storiche differenze di neutralismo e interventismo, finalmente scendeva in campo apertamente contro la demagogia socialista che consigliava tutti i malcontenti delle classi medie ed esasperava, nell’assurda aspettazione del paradiso russo, tutti i fanatismi politici e le miserie morali del proletariato.
Dopo due anni di lotte, varie e tempestose vicende, gettiamo uno sgurado sulla strada percorsa; il punto di partenza ci appare straordinariamente lontano. Il Fascismo dopo essersi affermato trionfalmente nelle grandi città, dilaga, straripa nei piccoli paesi e sin nelle più remote campagne..

Due anni! rapida successione di eventi! Tumulto e passare di uomini! Giornate grigie e giornate di sole. Giornate di lutto e giornate di trionfo. Sordo rintocco di campane funebri; squillore gioioso di fanfare all’attacco. Fra poco il Fascismo dominerà la situazione.

Nell’annuale della fondazione, inchiniamoci dinanzi ai morti e salutiamo in piedi i vivi che si raccolgono a fiumane attorno alle nostre bandiere. E’ la migliore gioventù d’Italia, la più sana, la più ardimentosa. Intanto, dietro le armature possenti, tutto il cantiere fascista é all’opera. Chi porta le pietre, chi le depone, chi dirige e traccia i piani.
Avanti, Fascisti! Tra poco saremo una cosa sola! Fascismo e Italia! ( Benito Mussolini, Diario della volontà, 23 marzo 1921 )”

Quando e come nacque il fascismo?

Il Fascismo nacque dopo la guerra mondiale, allorchè l’Italia non ebbe la pace che meritava, e i difensori furono amnistiati, e gli eroi furono scherniti, feriti e uccisi. Quando i comunisti potettero spadroneggiare prepotentemente e crudelmente sopra alcune regioni d’Italia, e i campi furono abbandonati, e le officine disertate, e gli scioperi aumentavano la miseria, Benito Mussolini gridò: – Basta! – e gli  italiani degni di questo nome si strinsero intorno a lui.

Anche il Fascismo sente l’orgoglio del passato?

Si, ma per il Fascismo esso non è un orgoglio di passività: bisogna essere degni di quella grandezza, non viverci sopra, non sfruttarla come figli degeneri.
Dire: “Noi siamo grandi perchè fummo grandi”, no!
Noi saremo grandi quando il passato sarà un impulso, un fermento di vita.

Ma quando finì il Fascismo?

Si può dire che in Italia il fascismo è crollato due volte: prima al proprio interno, il 25 luglio 1943, poi con la liberazione del 25 aprile 1945. In questa seconda fase, contrassegnata dalla guerra civile e dall’occupazione tedesca, Benito Mussolini tentò di rispolverare le idee di quand’era socialista, con qualche sirnbolica nazionalizzazione di fabbriche e altre misure di pura apparenza. Ma a comandare erano sempre gli invasori nazisti, con tanto maggiore durezza quanto più si avvicinava la loro definitiva sconfitta.

Grazie anche alla testimonianza dei gerarchi presenti, oltre che alle pazienti ricostruzioni giornalistiche, si sa ormai tutto della seduta in cui Mussolini fu posto in minoranza dai suoi stessi fedeli (e se la fedeltà si era attenuata nei vent’anni di regime, fino talvolta a scomparire, si trattava pur sempre di personaggi che dal Duce avevano ricevuto poteri e onori). Lo scontro a palazzo Venezia, nel centro di Roma, si protrasse dalle 17 di sabato 24 luglio fino alle due di notte, quando tutti andarono a dormire senza sapere che cosa riservasse l’indomani.

Il regime in crisi

Per capire il clima, bisogna premettere che i membri del Gran Consiglio del Fascismo, che era l’organo chiamato a deliberare, avevano costantemente subìto, senza porsi problemi, l’influsso e la personalità di Mussolini. Pure chi dissentiva nel proprio intimo non osava protestare apertamente. Un po’ tutti avevano perso fiducia sull’esito della guerra, specie dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, avvenuto da appena due settimane. Ma solo pochi – in testa Grandi, Bottai e Ciano, il quale ultimo aveva sposato la figlia del Duce – agivano secondo un piano preciso.

Ad aprire la riunione fu lo stesso Mussolini, chiedendo come si potesse risolvere il dilemma: guerra o pace, resa a discrezione o resisten­za fino all’ultimo? Ci fu qualche battibecco sulle responsabilità del disastro militare, dopo di che si alzò il vero capo della rivolta interna, Dino Grandi, già ministro e ambasciatore a Londra, ostile alla Germania. Attribuita a Mussolini la totale responsabilità di una guerra non sentita dal popolo italiano, Grandi propose un documento in cui si restituiva l’effettivo comando al re Vittorio Emanuele III. Era una sconfessione del Duce, praticamente invitato a dimettersi.

Gli fecero eco Giuseppe Bottai, anch’egli ex ministro e uomo che aveva mostrato varie aperture verso le forze antifasciste, e Galeazzo Ciano. Venuta la sera, Mussolini disse di sentirsi stanco, ma ancora Grandi si oppose a una sospensione del dibattito. A questo punto i pareri si divisero. La maggioranza firmò l’ordine del giorno preparato da Grandi, altri si rifiutarono. Il Duce tentò di reagire, assicurando che le sorti della guerra sarebbero cambiate, ma i più si mostrarono scettici. Bisognava ormai distinguere tra le sorti del fascismo e le sorti della patria: un regime poteva anche dissolversi, ma non l’Italia. Alla fine, quando ormai sembrava che la discussione girasse a vuoto, fu proprio Mussolini a chiedere che si passasse finalmente ai voti. Come risultato, 19 si schierarono con Grandi, solo 8 con il capo fascista. Mussolini si limitò a commentare: «Avete provocato la crisi del regime. La seduta è tolta».

L’arresto del Duce

Fra i 19, uno ritirò più tardi il voto, salvandosi così al processo intentato in seguito contro quelli che si definivano “i congiurati del 25 luglio”. Ciano invece, con altri, subì la fucilazione, mentre Grandi e Bottai si salvarono all’estero.

Si stava compiendo in ogni modo il destino di Mussolini, che in quella mattina di domenica andò come al solito a palazzo Venezia, ricevendo i fedelissimi ma anche qualcuno che gli aveva votato contro. Solo al pomeriggio si recò dal re. Il Duce si era convinto in quelle ore che il Gran Consiglio avesse espresso una semplice raccomandazione, non impegnativa: certo Vittorio Emanuele, con il quale aveva collaborato per oltre vent’anni, non gli avrebbe voltato le spalle. Ma anche il sovrano, nel frattempo, aveva operato le sue mosse, consultandosi sia con antifascisti sia con ex fascisti, come il maresciallo Pietro Badoglio. Quel giorno ricevette Mussolini, lo trattò senza asprezza ma, al termine del colloquio, lo fece arrestare. I carabinieri fecero entrare il Duce in un’ambulanza, con il pretesto che dovevano proteggerlo; poi lo spostarono in varie località. Badoglio divenne il primo ministro, la gente cominciò ad abbattere i simboli fascisti: ma dopo l’ 8 settembre Mussolini venne liberato dai tedeschi, sul Gran Sasso, e ricominciò la tragedia nazionale.

IL DITTATORE CHE GOVERNO’ L’ITALIA PER OLTRE VENT’ANNI

Nato nel 1883, fucilato il 28 aprile 1945 per ordine dei comandi partigiani, Benito Mussolini esordì in politica come socialista rivoluzionario e repubblicano. Dopo essere diventato direttore dell‘Avanti!, si schierò nel 1914 tra i fautori della guerra contro l’Austria e per questo venne espulso dal partito.

Fondò il partito fascista nel 1919, rivolgendosi soprattutto agli ex combattenti delusi dal trattato di pace e a quanti temevano l’avvento al potere delle sinistre. Grazie anche agli errori degli ex compagni, fra i quali assumevano crescente peso i comunisti, nati dalla scissione del Psi, riuscì a presentarsi come uomo d’ordine: le sue squadre picchiavano e uccidevano gli avversari (i quali non usavano tuttavia metodi diversi), ma le forze moderate del Paese pensavano di poterlo inizialmente utilizzare, salvo allontanarlo in un secondo tempo. Illusione. Ottenuta nel 1922 la guida del Governo e consolidata la sua popolarità dopo la vittoriosa guerra d’Abissinia, il Duce esercitò fi­no al 1943 una vera e propria dittatura personale, con metodi però non paragonabili a quelli spietati di Hitler e Stalin.

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