Il Seicento attraverso i Promessi Sposi - StudentVille

Il Seicento attraverso i Promessi Sposi

Il Seicento attraverso i Promessi Sposi: tema svolto in cui sono analizzati gli elementi della cornice storica che emergono all'interno del testo.

LE CARATTERISTICHE DEL SEICENTO ATTRAVERSO I PROMESSI SPOSI DI ALESSANDRO MANZONI

I promessi sposi di Alessandro Manzoni ha come sfondo storico il Seicento: vediamo quali caratteristiche emergono attraverso ideali, personaggi, economia e cultura. In questo approfondimento troverai tutte le tematiche e i caratteri del Seicento che emergono dalla lettura del romanzo I promessi sposi.

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IL SEICENTO NEI PROMESSI SPOSI: LA GIUSTIZIA

La giustizia è una delle tematiche centrali dei Promessi Sposi, presentata sotto diversi aspetti e descritta in modi differenti. Per prima cosa emerge la violazione del diritto proprio nell’impedimento del matrimonio di Renzo e Lucia. Nel primo capitolo inoltre, nell’incontro tra Don Abbondio e i bravi, il commento alle “gride” rende certo il lettore che l’impunità del delitto era la norma. Nei Promessi sposi il diritto violato non viene ristabilito mai: né don Rodrigo, né l’innominato, né quanti sono stati loro complici o sicari vengono processati o puniti per i delitti commessi. Nella vicenda vengono coinvolti molti personaggi e, naturalmente, c’è chi agisce a favore e chi contro. Dalla parte di Renzo e Lucia abbiamo Agnese e Fra Cristoforo, contro invece abbiamo Don Rodrigo con il suo seguito di Bravi e il Dottor Azzeccagarbugli. La società del ‘600 emerge fin dall’inizio del romanzo, con i signorotti locali che governano secondo le loro leggi, dette gride, e protetti dai Bravi, personaggi al di fuori della legge ma posti al di sopra di essa. Ci ritroviamo una società aristocratico-feudale che non conosce l’applicazione del diritto né la figura del cittadino, ma solo quella del suddito, e non riesce a far funzionare il sistema della giustizia. Si tratta di una società priva di leggi, in cui i governanti sono impotenti, mentre i ricchi opprimono gli umili: un esempio eclatante è don Rodrigo, che sostituisce la legge con un suo capriccio. Don Rodrigo è un nobile del Seicento che, invaghitosi di Lucia, pensa di poter impedire le nozze con Renzo. A causa della sua prepotenza è temuto da tutti: di fronte a lui cambia l’atteggiamento del Dottor Azzeccagarbugli, sfrutta i deboli e segue solo la legge del più forte.  Persino gli stessi intellettuali sono costretti ad accettare le regole del più forte, diventando così strumenti del potere. Con queste condizioni si perde la concezione di uomo come essere vivente con una propria personalità, facendolo diventare così un oggetto da usare a proprio piacimento. Dalla parte di Renzo e Lucia c’è Agnese, una donna pratica che non si scoraggia e cerca in tutti i modi di aiutare la figlia: non si affida però alla giustizia. Prima scrive una lettera al Cardinale, poi preferisce rivolgersi all’Azzeccagarbugli, scegliendo così gli inganni alla giustizia vera e propria. Egli è un altro personaggio molto importante: dal suo comportamento una precisa descrizione della giustizia nel ‘600. fa capire che le gride valevano solo per chi era senza protettore, mentre i signorotti e gli uomini al loro servizio riuscivano a scamparle con il terrore o con l’aiuto di uomini corrotti, come nel caso del Dottor Azzeccagarbugli. Renzo e Lucia reagiscono in due modi completamente diversi: mentre Renzo si fa trascinare dal suo temperamento impetuoso e si scaglia con rabbia contro il suo rivale, Don Rodrigo, Lucia è consapevole dei suoi doveri di donna e di cristiana, non si abbandona mai alla disperazione totale e anche nei momenti più difficili ritrova l’equilibrio nella preghiera. Più che nella giustizia terrena, Lucia crede in quella divina. In questo frangente abbiamo la figura di Fra Cristoforo, che non si limita a dare consigli per far trionfare la giustizia, ma agisce: affronta Don Rodrigo e protegge Lucia. In tutto il romanzo, infine, non viene nominata la legge come tale, ma solo, per esempio, la legge di Don Rodrigo o la legge divina. Ciò ci fa capire che in quel secolo la giustizia non ha un ruolo importante: ricordiamo, a tal proposito, il Papato che porta avanti le persecuzioni e l’Inquisizione chiama davanti al suo tribunale chi crede colpevole d’eresia e lascia intanto che i malfattori siano ricoverati nei conventi e sfuggano alla giustizia civile.

PROMESSI SPOSI DI MANZONI: L’ECONOMIA DEL SEICENTO

Riguardo all’economia, il Seicento in Italia non è un periodo roseo e, in generale, l’Europa è divisa in paesi in crescita e altri in declino: l’Italia appartiene purtroppo all’ultimo caso e Manzoni, con occhio critico e pessimista sul Seicento, ce lo dimostra raccontando cosa succede a Milano durante il periodo di crisi. L’autore analizza a fondo, in particolare nel capito XII, i meccanismi che hanno provocato la carestia che attanaglia la Lombardia: mettendo da parte le condizioni climatiche avverse, egli critica fortemente la guerra e le tasse troppo alte per i contadini, cause di una situazione economica difficilissima per il Milanese. I contadini assistono alle legioni straniere che distruggono i raccolti e, come se non bastasse, le tasse troppo alte sul raccolto impediscono di coltivare. La plebe urbana non se la passa meglio: non essendoci raccolto sufficiente, la domanda dei beni di prima necessità supera l’offerta. Si alzano i prezzi e chi non può permetterselo non ha la possibilità di comprare il pane. Il potere politico si interessa marginalmente al problema: Antonio Ferrer, gran cancelliere reggente del potere a Milano in assenza del governatore, propone di dimezzare per legge il prezzo del pane e di venderlo al prezzo giusto, facendo anche arrestare il vicario di provvisione. Chiaramente queste mosse sono dettate maggiormente dal tentativo di farsi benvolere dalla popolazione più che dal tentativo di risolvere il problema. Come pensare che funzioni una legge del genere, in cui i fornai sono costretti a produrre il pane rimettendoci del denaro? Ferrer è rappresentato dal Manzoni in modo ambiguo: egli parla infatti in italiano con il popolo, in spagnolo (per non farsi capire) con il vicario di provvisione e i funzionari. Sempre nel capitolo XII Manzoni ci presenta una precisa descrizione della folla: “La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò a Milano, le strade e le piazze brulicavano d’uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l’intesa quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendio”. I poveri di Milano, quelli che con l’aumento dei prezzi si sono ritrovati senza più nulla, camminano per la città, incontrandosi e formando gruppetti, spinti da sentimenti irrazionali. Chiunque improvvisa discorsi esaltato dalla folla eccitata: si tratta di persone disperate attorno a cui si uniscono i provocatori, che vogliono approfittarne del situazione in cui si trova la folla. Questi sono gli artefici degli atti di violenza criticati dall’autore. I ricchi ricevono il pane in casa mentre il popolo non ha il denaro per mangiare: è normale allora che questo sia spinto dall’irrazionalità. Manzoni critica i comportamenti della folla, ma solo a quelli che incitano a saccheggiare i forni o a linciare il vicario. Tutto ciò avviene perché le masse sono abbandonate a se stesse e di conseguenza prevalgono sentimenti irrazionali che sfociano nella violenza. L’autore giudica positivi i movimenti popolari, ma secondo lui dovrebbero essere guidati dalla borghesia, capace di interpretare le esigenze e indirizzare il popolo verso obiettivi giusti: la borghesia dovrebbe allearsi con i ceti più poveri per rivendicare dei diritti dai ceti più alti, come la nobiltà e il clero, i quali sono ingiustamente privilegiati nel sistema fiscale e non solo.

PROMESSI SPOSI: LA CULTURA DEL SEICENTO

Nel romanzo di Manzoni emerge anche la cultura del Seicento: il collasso delle istituzioni civili provoca anche il ritardo della cultura e la funzione degli intellettuali. Don Abbondio, Azzeccagarbugli e Don Ferrante sono descritti  con una luce negativa, e l’unica eccezione è il Cardinale Federigo. Egli promuove la cultura con la biblioteca ambrosiana, segue i suoi ideali cristiani e sostiene la popolazione. Al contrario di Don Ferrante, egli ha grandi risorse di intelligenza e volontà ed è disposto a lottare per i suoi principi, dedicando tutta la sua vita allo studio e alla carità. Don Ferrante invece rappresenta l’uomo di cultura che Manzoni condanna: uomo di libri povero di spirito, un erudito che non sa fare nient’altro. Può permettersi questo stile di vita poiché è ricco. Il suo è un sapere enciclopedico, arido e individuale, un sapere meccanico simbolo della degenerazione culturale. Un utilizzo sbagliato della cultura lo vediamo anche in Don Abbondio: egli sa avvale del suo “latinorum” per prendere in giro Renzo: non dobbiamo però stupirci, in quanto è il carattere timoroso di Don Abbondio a spingerlo a comportarsi così. Egli non ha scelto la Chiesa per vocazione, ma per necessità. Chi invece non ha scelto la Chiesa per vocazione, ma è stata costretta, è Gertrude: la sua educazione non si basa sui valori cristiani, ma sull’orgoglio, invidia e vendetta. Ignorante è invece Ferrer, che causa i tumulti a Milano involontariamente e non sa come gestirli. Egli è il rappresentante di una cultura arretrata, ancorata ancora all’astrologia e alla magia. La cultura pratica inoltre era vista come uno strumento di Stato e la Chiesa stessa, durante la Controriforma, chiede agli artisti di esaltare il sentimento religioso e di favorire gli effetti spettacolari proprio per combattere l’eresia protestante.

I PROMESSI SPOSI DI MANZONI: LA PESTE

La peste arriva a Milano e viene annunciata da Ludovico Settala, che rischia di essere linciato a causa di questa notizia. Infatti non gli crede nessuno e le istituzioni milanesi non sanno come gestire la situazione iniziale. Ci sono allora le prime morti e i casi di febbre altissima, ma alcuni medici sono convinti che non si tratti di peste. Il governatore di Milano allora non prende provvedimenti, anzi promuove anche i festeggiamenti per la nascita del primogenito a Filippo IV. A questo punto il contagio si espande e in città prevale la follia: i cittadini di Milano compiono atti inspiegabili, tra cui la propagazione volontaria del contagio. Scoppia dunque l’epidemia, ma le istituzioni e la politica non sono in grado di gestire la situazione. Vengono emanati editti contro il contagio, ma sono ormai tardivi e non servono a nulla, e alcuni medici non sono ancora convinti che si tratti di peste. Padre Felice Casati viene messo a capo della cura del lazzaretto, in cui i cappuccini si impegnano in questa situazione drammatica. Proprio lo stesso Felice Casati viene descritto da Manzoni con i connotati di un condottiero che ricordano quelli usati per l’Innominato. Padre Cristoforo è il cappuccino che rappresenta maggiormente gli aspetti positivi della chiesa durante la peste: incurante delle possibilità di contagio è sempre in prima fila per aiutare i bisognosi, come del resto si era comportato con Renzo e Lucia. Fra Cristoforo in passato era stato un violento, ma ora sarà vittima del suo stesso spirito caritatevole. Egli pensa che la peste sia nello stesso tempo castigo e misericordia: è una punizione inflitta da Dio, ma è anche un’occasione per pentirsi e convertirsi al bene. Don Abbondio al contrario pensa che la peste è solo un castigo, inflitto da Dio per punire i malvagi come don Rodrigo, che fino ad ora hanno ignorato le leggi divine.  Un’idea simile sulla peste ce l’ha anche Renzo, nonostante egli non abbia molto a che vedere, caratterialmente, con Don Abbondio. Anch’egli, infatti, giudica la peste esclusivamente come mezzo di “giustizia” (XXXV capitolo). Questa giustizia segnerà il destino di Don Rodrigo, che alla fine ritroverà una coscienza fino ad allora assopita, cosa che invece non avviene nel suo servitore, che alla fine lo tradirà. Il popolo ha invece un’idea confusa sulla peste, così come i più dotti e i sapienti. I medici non cercano di studiare la situazione attuale, ma cercano di trovare in testi antichi eventuali collegamenti con la situazione attuale. La folla è inoltre spinta da sentimenti irrazionali in cui prevale la superstizione, che spinge addirittura a non pronunciare il nome della malattia. Inoltre il popolo si muove per punire i responsabili di questa calamità. Seconda Manzoni la colpa è delle istituzioni, incapaci di tenere a bada la folla. Storicamente la peste colpisce la penisola italiana nella prima metà del XVII secolo, prima il Settentrione e successivamente, verso la metà del secolo, il Meridione. La peste segna la fine dell’incremento demografico e colpisce tutta l’economia della penisola che stenterà a risollevarsi.

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