Introduzione alla filosofia del 1600. - Studentville

Introduzione alla filosofia del 1600.

Introduzione alla filosofia del 1600.

Tra Cinquecento e Seicento si assiste in Europa a un rapido progresso delle scienze, che investe non soltanto l’acquisizione di singole conoscenze, ma soprattutto il metodo scientifico adottato. Da una scienza fortemente asservita alla tradizione filosofica aristotelico – scolastica si passa alla formazione della scienza moderna, la quale progressivamente afferma la propria autonomia dalla filosofia e dalla teologia ed elabora procedure metodologiche che la caratterizzano in maniera specifica. A questa grande trasformazione, principiata essenzialmente nel campo dell’ astrologia, si suole dare il nome di rivoluzione scientifica. Si tratta comunque di un’ epoca della storia del pensiero in cui è complesso distinguere la dimensione scientifica da quella filosofica: il rapporto filosofia – scienza predominante in questo periodo si intreccia in una duplice maniera; da un lato alcune modificazioni apportate alla concezione del mondo saranno a tal punto radicali da coinvolgere l’ immagine globale del mondo e non solo quella degli scienziati: già  in Bruno l’ accettazione e l’ ampliamento della dottrina copernicana avevano un significato che andava ben oltre lo scientifico e arrivavano ad interessare da vicino l’ ambito filosofico. L’ altra maniera in cui in questo periodo filosofia e scienza si intrecciano è epistemologica: la scienza moderna è novità  non solo per i contenuti che propone, ma anche per il modo in cui arriva ad elaborarli. Il problema fondamentale allora diventa essenzialmente metodologico, e parlando di metodologia scavalchiamo l’ ambito scientifico per entrare in quello filosofico. La filosofia della scienza non è la scienza ( infatti non è necessario essere filosofi per essere scienziati ), ma la riflessione sul valore della scienza non è certo ambito scientifico, bensì filosofico: quando uno scienziato esamina il metodo scientifico ecco che allora in quel momento non è più scienziato, ma è filosofo. Per esempio, non rientrano tanto nel campo di interesse filosofico i contributi scientifici di Galileo Galilei, quanto piuttosto la sua riflessione sul metodo scientifico da lui coscientemente applicato nell’ elaborare le teorie. L’ epistemologia è quindi quella branca della filosofia che si occupa delle riflessioni sui metodi scientifici. Soffermiamoci ora sul concetto di rivoluzione scientifica: perchò ad un certo punto della storia si tira in ballo un concetto così forte, che implica certamente l’ idea di un cambiamento radicale? Il concetto di ” rivoluzione scientifica ” è stato elaborato soprattutto da uno studioso di origini ungheresi di nome Thomas Kuhn; egli nel 1960 circa scrisse un libro in cui prendeva in esame le rivoluzioni scientifiche studiando anche quella del 1500 – 1600. Kuhn vivendo nel 1900 vive in un’ epoca che ha già  alle spalle una tradizione scientifica e che la concepisce in termini cumulativi, ossia gradualmente, come se le conoscenze scientifiche crescessero a poco a poco grazie ad aggiunte e a ritocchi in itinere; ogni scienziato è come se elaborasse un pezzetto, un tassello da aggiungere alla scienza: dà  cioò il suo contributo alle conoscenze già  presenti, magari effettuando qualche correzione; si procede quindi in termini cumulativi. Quello che Kuhn ha individuato è che la scienza procede in fasi ” normali “, ossia cumulative, dove ciascun scienziato dà  il suo contributo aggiungendo un tassello alle conoscenze già  presenti, ma anche in fasi ” rivoluzionarie “, ossia quando certe nuove scoperte che si vanno accumulando risultano incompatibili con quello che Kuhn chiama paradigma scientifico di una determinata epoca. Il paradigma scientifico di un’ epoca è la struttura generalissima della concezione del mondo dell’ epoca stessa ed esso ” salta ” quando vengono apportate novità  inconciliabili con il paradigma stesso e si hanno allora le fasi rivoluzionarie, nelle quali troviamo chi si schiera in difesa del vecchio paradigma e chi in difesa del nuovo. Quella del 1500 – 1600 non è l’ unica rivoluzione scientifica: un’ altra è maturata all’ inizio del 1900 che ha segnato il passaggio dalla fisica classica ( galileiana ) a quella contemporanea ( quantistica e relativistica ), che diventa un ” quadro ” più ampio nel quale trova tuttavia spazio anche la fisica classica. La rivoluzione scientifica del 1500 – 1600 inizia con la rivoluzione astronomica e con Copernico, che ha effettuato un radicale cambiamento di punto di vista, sostenendo l’ eliocentrismo a svantaggio del geocentrismo, proprio perchò le cose viste dal Sole trovavano spiegazioni più soddisfacenti; ma l’ aspetto più importante di questa rivoluzione astronomica è dato dalle conseguenze che essa ha avuto sul pensiero della gente, impaurita oltremodo da queste novità : certo non si poteva rimanere indifferenti di fronte a tali innovazioni, che portavano alla perdita di ogni punto di riferimento; la Terra che era sempre stata ritenuta al centro dell’ universo, viene ora proclamata uno dei tanti pianeti ( probabilmente neanche il più importante ) e l’ uomo non è più al centro del creato; già  la scoperta dell’ America aveva messo in crisi da un certo punto di vista l’ Europa, che veniva a contatto con civiltà  diverse e antiche di cui ignorava l’ esistenza: ecco che l’ Europa stessa non era più il centro della Terra, ma comunque la Terra era pur sempre il centro dell’ universo; nel 1600 viene a cadere anche questa certezza e vi è davvero una perdita di ogni punto di riferimento; il cristianesimo stesso non era più un punto di riferimento e si era sfasciato con la rivoluzione intrapresa da Lutero. Ma ciò che soprattutto distingue la scienza moderna dall’attività  scientifica esercitata nell’Antichità  e nel Medioevo ò il carattere quantitativo. La precedente tradizione scientifica, infatti, in accordo con la filosofia aristotelica di cui era mancipia, si proponeva la ricerca della ” forma ” essenziale dei fenomeni, e si esauriva pertanto in un’analisi meramente qualitativa, anche perchò non possedeva gli strumenti idonei per effettuare misurazioni precise e in fin dei conti dire che una cosa era calda o fredda ( in modo qualitativo ) era più efficace che non scervellarsi in misurazioni che non potevano essere corrette; l’ intuizione che la quantificazione della realtà  fisica fosse fondamentale l’ avevano già  avuta i pitagorici e Platone stesso, ma non avevano avuto successo proprio perchò privi di un armamentario strumentale portante: è inutile dire che la realtà  è fatta di quantità  se non sono in grado di quantificare, perchò finirò per fare come i Pitagorici, che, non potendo fare della matematica un uso effettivo, finirono per provare a cogliere delle somiglianze tra le caratteristiche dei numeri e quelle della realtà  ( per esempio per loro il numero due corrispondeva al genere femminile, il tre al maschile, il cinque al matrimonio perchò 3 + 2 = 5 ); nella migliore delle ipotesi arriverò ad un uso analogico come quello di Platone o di Cusano, dove mi servirò della matematica non in senso scientifico, ma come primo passo per cogliere realtà  metafisiche ( Cusano usava la matematica per dimostrare l’ inattingibilità  di Dio, per esempio ). Con il metodo scientifico vero e proprio oltre a dire che la realtà  è misurabile e fatta di quantità  arrivo proprio a misurarla quantitativamente e supero così il sistema qualitativo aristotelico, che tuttavia in assenza di strumenti per misurare era migliore: pensiamo a quando Aristotele diceva che tutta la realtà  derivava dal caldo, dal freddo, dal secco e dall’ umido o quando invece Platone, in modo molto raffinato e piacevole, diceva invece che tutto derivava dai solidi regolari ( ed Epicuro stesso lo criticava ); era ovviamente più efficace l’ interpretazione di Aristotele. Il nuovo metodo scientifico poggia quindi sul presupposto che l’essenza delle cose ò inattingibile o comunque esula dalle finalità  della scienza, la quale deve invece indagare i rapporti tra le cose ed esprimerli attraverso una misurazione oggettiva e universalmente comunicabile. Per questo nella nuova scienza diventa indispensabile l’uso della matematica. Il riconoscimento dell’importanza della matematica non ò certamente una novità  dell’età  moderna. Ma nel mondo antico e medioevale questa disciplina era stata studiata prevalentemente come scienza astratta, che per sua natura non poteva essere applicata all’analisi dei fenomeni naturali. La sua utilizzazione era per lo più limitata a quegli ambiti nei quali si faceva riferimento a rapporti puramente ideali (come nella musica) o a una sostanza per definizione incorruttibile e dotata di movimenti uniformi (come nella astronomia aristotelica ). Quando veniva applicata alla natura – come nelle scuole pitagorica ( proprio i Pitagorici avevano per primi sostenuto che ” il numero è il principio di tutte le cose ” e avevano ravvisato come caratteristica comune a tutti gli enti la misurabilità  ) e platonica – essa aveva la funzione di evidenziare una struttura metafisica soprasensibile, quindi qualcosa che andava al di là  del fenomeno naturale. Nella scienza moderna la matematica – anche grazie agli sviluppi dell’algebra – diventa invece uno strumento metodologico per quantificare i fenomeni naturali come oggetti specifici della ricerca scientifica (anche se nei suoi primi esponenti, in Galilei e soprattutto in Keplero, l’uso strumentale della matematica si associa ancora a residui di impostazione pitagorico – platonica ). La matematica nel 1500 – 1600 invece ha essenzialmente due funzioni: da un lato viene usata come strumento di indagine della realtà , dall’ altro essa diventa modello metodologico anche per cose non strettamente quantificabili: una cosa è dire ” affermo che il mondo fisico è fatto di quantità  e lo indago servendomi della matematica ” ( ed è quello che fanno tutti gli scienziati ), un’ altra cosa ( più strettamente filosofica ) è dire ” se il metodo di ragionamento della matematica funziona così bene in ambiti matematici, perchò non provare ad usarlo anche fuori dagli ambiti matematici ( per esempio in ambiti politici, metafisici, ecc. )? “. Nel 1500 – 1600 si afferma il meccanicismo, che ò l’immediata conseguenza della quantificazione della scienza: la connessione necessaria con cui in matematica le diverse proporzioni geometriche o le diverse operazioni aritmetiche e algebriche discendono le une dalle altre diventa in fisica la necessità  con cui la causa ò connessa con l’effetto. Solo in questa maniera posso arrivare a leggi fisiche. In altri termini il meccanicismo, come dice Cartesio, consiste nel ridurre tutto ad estensione e movimento, eliminando dal modo di indagare la realtà  ogni riferimento agli aspetti qualitativi e badando solo a quelli quantitativi, riducibili a quantità , perchò gli altri o non esistono o preferisco non prenderli in considerazione. Misurabile è quindi l’ estensione, il movimento; non potrò indagare le qualità  ( i colori, i sapori, gli odori, ecc. ). L’ immagine che meglio descrive il mondo visto in chiave meccanicistica è quella del tavolo da biliardo che ben spiega come la causalità  venga ridotta a urti tra corpi ( il mondo è un insieme di enti materiali che si urtano ), facendo così venir meno il complesso apparato delle quattro cause di Aristotele; in paricolare nella tradizione aristotelica l’analisi qualitativa della natura era strettamente connessa con la prospettiva finalistica. Però non scompaiono tutte e 4 le cause aristoteliche perchò parlando di urti tra corpi è evidente che si parla anche di causa efficiente ( l’ urto ) e causa materiale ( ciò che si urta è pur sempre un corpo ). Non vengono invece più prese in considerazione la causa formale, che era quella che esaminava soprattutto le qualità  ( le forme ), e soprattutto quella finale ( gli urti non avvengono certo in vista di un fine ) perchò non possono essere oggetto di un’ indagine quantitativa. Anzichè in termini di ” cause finali “, la nuova scienza interpreterà  quindi le connessioni tra i fenomeni come ” cause efficienti ” e meccaniche. Nella scienza moderna, la connessione tra la causa e l’effetto non viene tuttavia determinata soltanto dallo strumento matematico, ma sottoposta anche a verifica empirica. C’ è chi dice che Galileo, a differenza di Aristotele, osserva la natura: quest’ affermazione è sbagliatissima perchò forse è Aristotele ad osservare ancora più di Galileo la natura, ma la vera differenza tra i due sta nel fatto che Aristotele si appoggia sull’ esperienza di più di Galileo; quello che Aristotele non fa è l’ esperimento, ossia un’ esperienza fatta in una situazione controllata e quindi misurabile; se vedo cadere delle cose l’ esperienza di tipo aristotelico mi dice che ci sono oggetti che tendono al loro luogo naturale, al limite può dirmi che tendono ad aumentare di velocità  man mano che precipitano; ma quest’ esperienza non mi dice di quanto aumenta la velocità  in un determinato tempo. Ma perchò quindi Aristotele si basa solo sull’ esperienza, mentre Galileo anche sull’ esperimento, ossia l’ esperienza controllata? Ad Aristotele interessano i dati qualitativi – i corpi pesanti vanno verso il basso; al limite può interessargli sapere che ci sono corpi che vanno più velocemente, altri più lentamente – ma non gli interessano dati quantitativi ( quanto ci mette a cadere un oggetto, per esempio ) proprio perchò non ha i mezzi per misurare; invece Galileo può misurare con l’ esperimento, può quantificare; Aristotele non ha i mezzi perchò non gli interessa, ma è anche vero il contrario, ossia non gli interessa perchò non ha i mezzi. Accanto alla matematica, la sperimentazione ò il secondo mezzo a cui i nuovi scienziati fanno metodicamente ricorso. L’esperimento, inoltre, il quale ( come detto ) consiste nella riproduzione artificiale di processi naturali in condizioni di massima osservabilità , deve servirsi di strumenti di indagine e di misurazione sempre più raffinati (ad es. orologi, cannocchiali, telescopi, barometri). Si stabilisce quindi una stretta connessione tra scienza e tecnica, sia nel senso che il progresso della scienza dipende sempre più dal progresso tecnologico che appronta gli strumenti necessari alla ricerca, sia nel senso che, all’inverso, si afferma la consapevolezza delle potenzialità  pratiche del sapere scientifico, destinato a consentire un sempre più ampio dominio sulla natura: è un rapporto biunivoco nel senso che un maggiore sviluppo tecnologico permette alla scienza di conseguire risultati più apprezzabili, ma un maggiore sviluppo scientifico consente la creazione di strumenti sempre più precisi; lo si può vedere bene in Galileo: è solo grazie al telescopio che dimostra certe verità  astronomiche, ma è solo grazie ad alcune conoscenze di ottica geometrica che riesce a costruire ( non ad inventare ) telescopi particolarmente raffinati. Ma a caratterizzare il 1600, più di ogni altra cosa, sono la matematica e la profonda fiducia nella ragione umana: a Galileo sorge il dubbio che in realtà  il mondo sia fatto solo di quantità  e che le qualità  siano solo delle manifestazioni soggettive delle quantità  sui nostri organi di senso; tuttavia quello di Galileo è solo un sospetto: a lui non interessa più di tanto risolvere la questione e poi non ha prove razionali per farlo: egli è comunque certo che anche ammettendo l’ esistenza delle qualità , si debbano esclusivamente esaminare le quantità  in quanto misurabili rigorosamente ( con la matematica ). Ma tutti i pensatori del 1600 prenderanno il sospetto di Galileo per trasformarlo in realtà : esistono solo le quantità  e il mondo è come una tavola da biliardo, ossia un insieme di urti casuali. Si tratta tuttavia di un passaggio non del tutto legittimo e logico quello dal sospetto galileiano alla certezza. Se ci addentriamo maggiormente nel 1600, il secolo della matematica, scopriamo che le più importanti tematiche dibattute sono tre: 1) rapporto tra res cogitans e res extensa: Cartesio arriva alla certezza di esistere dal cogito ergo sum: se nutro dei dubbi vuol dire che penso e se penso vuol dire che esisto; egli però conclude di esiste esclusivamente come sostanza pensante, come pensiero: arrivato alla conclusione di esistere proprio perchò dotato di pensiero, egli fa un passo avanti dicendo di esistere solo come pensiero; la realtà  pensante e spirituale ( res cogitans ) risulta quindi radicalmente separata dalla materia ( res extensa ), riconducibile ad estensione e movimento; se però sono due realtà  incompatibili e nettamente diverse, come dice appunto Cartesio, come mai quando decido con il pensiero di muovere un braccio esso si muove effettivamente in termini fisici? Cio deve essere un rapporto tra res extensa e res cogitans e le spiegazioni fornite da Cartesio, più che risolvere il problema, tendono ad ampliarlo ulteriormente. 2 ) Innatismo ed empirismo, una questione gnoseologica: l’ innatismo consiste nel dire che la conoscenza, almeno in parte, non si fonda sull’ esperienza, ma è qualcosa di innato, di cui disponiamo già  quando nasciamo; di questo parere era stato Platone stesso e nel 1600 si fa portavoce di queste teorie, ad esempio, il tedesco Leibniz; l’ empirismo consiste invece nel ricondurre ogni conoscenza all’ esperienza, secondo la tradizionale formula nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu; secondo gli empiristi quando nasciamo la nostra mente è una tabula rasa, priva di conoscenze, che va riempita con le esperienze di ogni giorno; Aristotele la pensava esattamente così e nel 1600, ad esempio, l’ inglese Locke si farà  portavoce di questa teoria. 3 )Dibattito politico: tante sono le posizioni e tanti gli esponenti, influenzati dal contesto storico in cui vivono: vi sarà  chi sosterrà  tesi liberali, come Locke, chi propugnerà  tesi monarchiche, come Hobbes, e così via.

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