L'attività pratica - Studentville

L'attività pratica

La praticità in Croce.

Fin dall’estetica, Croce ha distinto l’attività  dello spirito in teoretica e pratica : l’attività  pratica dello spirito ò la volontà  come produttrice di azioni. La volizione, infatti si traduce in azione, proprio come l’intuizione ò sempre necessariamente anche espressione, cosicchò non esiste propriamente una volizione senza azione. Con l’attività  teoretica l’uomo comprende le cose, mentre con quella pratica le muta, ma per mutarle egli si fonda sulla conoscenza. Tra attività  pratica e attività  teoretica esiste, dunque, lo stesso rapporto che sussiste tra logica ed estetica: la prima presuppone la seconda. Secondo Croce, infatti, la volontà  cieca non ò propriamente volontà , in quanto nessuna azione ò possibile se non ò preceduta da una conoscenza, intuitiva o logica, ossia storica. Il che non significa che la conoscenza teoretica indichi che una determinata cosa, o uno scopo, ò buona o cattiva, utile o dannosa: la conoscenza, infatti, ha a che fare con quel che ò vero. L’errore, invece, secondo Croce, ha un’origine pratica, in quanto il pensiero, in quanto tale, pensa sempre il vero: l’errore non consiste nella non-adeguatezza fra il pensiero e il suo oggetto, ma nasce quando motivi pratici, passioni o interessi, interferiscono con l’attività  teoretica. Due sono le forme dell’attività  pratica: l’ economia e l’ etica . L’attività  economica ò la volontà  che ha per oggetto l’individuale, ossia l’utile. L’utile non deve essere confuso con l’egoistico, perchò questo rientra nell’ambito dell morale, mentre la sfera economica ò autonoma e non soggetta a giudizi morali: ò possibile, infatti, perseguire coerentemente un fine economico, che sul piano etico ò giudicato immorale. E’ la morale, invece, che presuppone l’economia; in opposizione a ogni concezione ascetica della vita morale, Croce sostiene che non c’ò moralità , se non s’incorpora e cala nell’utile: ‘ Volere economicamente ò volere un fine; volere moralmente ò volere il fine razionale ‘ , ossia il bene. Ma questo non sarebbe possibile se il fine universale, il bene, non fosse anche voluto come fine particolare; se questo non avvenisse, l’azione sarebbe moralmente indifferente per l’individuo che la compie, ma la morale non ò disinteressata, essa travalica l’interesse meramente individuale, ma per connetterlo alla volontà  universale del bene. In questo senso Croce critica le etiche formalistiche, che scindono il bene dall’utile, ma anche quelle materiali, che identificano il bene con l’utile. Fra economia e morale, fra il momento dell’utile e quello del bene, egli ritrova lo stesso rapporto che intercorre fra estetica e logica: la seconda presuppone la prima, ma non viceversa. Secondo Croce, non esistono altre forme dello spirito, al di là  delle quattro che egli ha individuato. Egli riconduce le scienze empiriche e matematiche alla sfera dell’attività  pratica. Così ò anche per la religione : nella misura in cui contiene elementi morali, essa ò riconducibile all’attività  morale, in quanto contiene, invece, elementi mitici, e quindi afferma l’universale come mera rappresentazione attraverso l’immagine di Dio, rientra nell’estetica. Analogamente il diritto ò riconducibile alla sfera pratica: la legge, infatti, ò una classificazione di azioni e di sanzioni e, assolve, dunque, ad una funzione corrispondente a quella degli pseudoconcetti. Si tratta, cioò, di schemi comodi per agire e utili per mantenerne l’ordine sociale, ma sono schemi astratti, perchò la volontà  si esprime sempre in azioni concrete, individuali. Anche la politica , a cui Croce dedica vari saggi, in particolare gli Elementi di politica (1925), non ò una sfera autonoma dell’attività  dello spirito: essa rientra nell’economia, ossia nella volontà  che persegue l’utile cosicchò gli atti politici in quanto tali non sono nò morali nò immorali. Su questo punto, Croce ritiene di riallacciarsi al pensiero di Machiavelli, scopritore dell’autonomia dell’attività  politica, caratterizzata da proprie leggi e propri fini. Per un altro verso, Marx gli aveva insegnato quanto fossero determinanti gli interessi economici, la forza e la lotta nella stessa vita politica. L’utile per Croce ò individuale, cosicchò alla base della politica vi sono le azioni utilitarie degli individui: contrariamente a quanto pensano Hegel e Gentile, nella politica il primato spetta agli individui, non allo Stato, che non esiste come entità  superiore agli individui stessi, nò lo Stato può pretendere di assorbire in se stesso la vita etica. Per questo aspetto, Croce tiene dunque fermo uno dei presupposti del liberalismo e scorge nella libertà  la via per promuovere non la democrazia ma l’aristocrazia dello spirito. Lo Stato ò tale soltanto quando si attua nell’atto concreto del governo ed ha come suoi momenti costitutivi la forza e il consenso. Al di sopra della sfera economica e politica si colloca poi, per Croce, la coscienza morale che comanda alla forza per redimerla: alle forme di estetismo, di utilitarismo e di ascetismo, egli oppone un’etica del lavoro, che si traduce in opere.

  • Filosofia del 1900

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