Le piante vascolari (Tracheofite) e Pteridofite - Studentville

Le piante vascolari (Tracheofite) e Pteridofite

Caratteristiche e modalità di riproduzione di piante vascolari (tracheofite) e pteridofite.

LE PIANTE VASCOLARI O TRACHEOFITE

Sono piante terrestri dotate di tessuti conduttori e di sostegno con pareti lignificate. La generazione dominante come dimensioni e durata di vita è lo sporofito. Nel corpo vegetativo delle tracheofite attuali sono in genere riconoscibili tre organi diversi per forma, struttura e funzione: la radice, il fusto e la foglia, che nel loro insieme formano il cormo. Le superfici fotosintetizzanti a contatto dell’aria sono protette dalla cuticola, strato impermeabile formato da cutina. Gli scambi gassosi avvengono attraverso stomi con apertura regolata. Si ritiene che le tracheofite non derivino da piante simili alle briofite, ma da un comune antenato del tipo delle alghe verdi e che siano comparse circa 420 milioni di anni fa. Le tracheofite rappresentano la linea evolutiva delle piante terrestri che ha privilegiato lo sporofito rispetto al gametofito. Sono considerate generalmente un gruppo monofiletico.

Seguendo il filo dell’evoluzione – 3: la comparsa dei tessuti vascolari e del cormo.

I tessuti di conduzione. In ambiente acquatico, gli elementi necessari alla crescita degli organismi autotrofi – acqua, luce, CO2, sali minerali – si trovano tutti uniformemente diffusi nel mezzo liquido. Non c’è quindi necessità per gli organismi di evolvere porzioni differenziate per le due diverse funzioni di assorbimento dell’acqua e di svolgimento della fotosintesi. Anche nelle alghe a organizzazione più complessa non c’è una parte di organismo la cui funzione sia specificatamente l’assorbimento dell’acqua, come avviene per le radici delle piante vascolari: tutt’al più c’è una porzione basale con funzione di ancoraggio, ma l’assorbimento avviene attraverso tutta la superficie del tallo. In ambiente subaereo, invece, acqua e soluti, che si trovano all’interno del terreno, devono essere portati fino alle cellule delle foglie che effettuano la fotosintesi e che si trovano a contatto con l’aria, là dove sono presenti luce e CO2.

Nelle briofite, organismi di piccole dimensioni legati a ambienti umidi, il problema è stato risolto in maniera non particolarmente complessa: il compito dell’assorbimento è svolto in parte dai rizoidi, in parte da tutta la superficie della pianta; il trasporto dell’acqua e dei fotosintati avviene in parte per capillarità, in parte in strutture di conduzione molto semplici (idroidi e leptoidi), prive di ispessimenti di lignina.

Il cormo. Con l’elevarsi in altezza dello sporofito, sorge l’esigenza di strutture più specializzate. La comparsa della lignina, sostanza probabilmente assente nelle briofite, consente l’evoluzione dei tessuti conduttori. Questi sono organizzati in un cilindro centrale secondo diversi schemi di disposizione a costituire vari tipi di stele. Si ritiene che le prime forme di piante vascolari fossero costituite semplicemente da piccoli fusti erbacei a ramificazione dicotomica alti pochi centimetri, con un’epidermide protettiva, un parenchima corticale con strato esterno verde fotosintetizzante e un cilindro centrale di tessuto conduttore a struttura molto semplice, con xilema centrale circondato da floema (protostele). Lo xilema era formato da cellule allungate che svolgevano insieme funzione di sostegno e di conduzione. Alcuni telomi fertili avrebbero portato all’apice gli sporangi. Secondo la teoria telomica di Zimmermann, dalle ramificazioni terminali (telomi) di questi fusti delle primitive tracheofite sarebbero derivati tutti gli altri organi.

La spinta evolutiva verso una maggiore altezza nello sporofito ha portato necessariamente con sé per motivi di stabilità anche l’aumento di diametro del fusto. In tal modo, però, presto il parenchima clorofilliano degli strati esterni della corteccia è diventato insufficiente per svolgere la fotosintesi necessaria al mantenimento di tutto l’organismo. Da qui l’esigenza di una struttura fotosintetica con maggior rapporto superficie/volume: la foglia. Nelle piante vascolari sono presenti due tipi di foglia, che hanno avuto probabilmente origine diversa. La microfilla, presente nelle Psilotophyta, nelle Lycopodiophyta e nelle Equisetophyta, oltre che in molte altre pteridofite conosciute allo stato fossile, ha forma aciculare-squamiforme, presenta una o al massimo due nervature (a volte nessuna) e secondo alcuni è derivata da una semplice estroflessione del tessuto parenchimatico corticale in cui in seguito si sarebbe inserita la nervatura (teoria dell’enazione o della foglia-emergenza). La macrofilla (o megafilla), che è la foglia delle Polypodiophyta e delle piante a seme, ha forma varia e nervature ramificate che formano una lacuna fogliare nel punto in cui si distaccano dai tessuti vascolari del fusto. Si ritiene che la macrofilla si sia originata a partire da processi di crescita differenziata delle originarie ramificazioni telomiche, sopravanzamento di un teloma rispetto all’altro che cresceva più lentamente, disposizione dei telomi su un unico piano, fusione di telomi. C’è tuttavia chi ritiene che anche la microfilla abbia avuto un’origine telomica, ma a differenza della macrofilla si sia originata a partire da un solo teloma o al massimo da due.
Naturalmente, aumentando con la comparsa della foglia l’intensità del processo fotosintetico, aumentava anche la necessità del rifornimento di acqua alle strutture fotosintetizzanti. Presto non furono più sufficienti semplici fusti plagiotropi o sotterranei con superficie esterna assorbente, ma comparve un organo la cui funzione specifica era l’assorbimento: la radice. È possibile che un ruolo importante nel facilitare l’assorbimento dell’acqua da parte delle radici delle piante vascolari sia stato svolto fin dall’inizio da simbiosi micorriziche con organismi fungini.

A partire dal fusto erbaceo molto semplice a ramificazione dicotomica delle prime piante terrestri (teloma), si arriva così alla comparsa del cormo, cioè di un’organizzazione dell’individuo basata sui tre organi fondamentali: radice, fusto, foglia, ognuno con funzioni e morfologia diversa. Le attuali piante vascolari (o tracheofite) sono tutte piante a cormo, da cui il vecchio nome di cormofite con cui venivano chiamate, in contrapposizione alle tallofite, a organizzazione tallosa e prive di vere radici, veri fusti e vere foglie.

Ciascun organo del cormo si è in seguito evoluto, sviluppando forme adatte alle diverse situazioni ambientali. L’ambiente sotterraneo, in cui si è evoluta la radice, è molto più omogeneo di quello subaereo: questo è uno dei motivi per cui gli apparati radicali nelle piante vascolari sono molto meno diversificati rispetto agli altri due organi (fusto e foglie).

Perché compare la struttura secondaria.

Sotto la spinta evolutiva che tendeva da un lato al raggiungimento di altezze maggiori per portare in alto gli sporangi e rendere più efficace la dispersione delle spore, e dall’altro a sottrarsi al reciproco ombreggiamento, le piante terrestri raggiunsero rapidamente altezze – e conseguentemente proporzionali diametri dei fusti – così elevati che non furono più sufficienti il sostegno e la conduzione assicurati dai tessuti primari. È così che fa la sua comparsa la crescita secondaria, con la comparsa di un cambio che probabilmente all’inizio produceva solo xilema, ma che presto diventò ad attività dipleurica (xilema all’interno, floema all’esterno), come quello delle piante legnose attuali. Forme arboree si ritrovano in tutti i gruppi fossili di pteridofite e raggiunsero la massima diffusione nel Carbonifero. I resti fossili di queste pteridofite arboree sono una delle principali componenti del carbone fossile.

Una nuova sostanza, una nuova struttura.

La comparsa di strutture innovative, che rappresentano una nuova tappa nell’evoluzione è stata spesso preceduta dalla “scoperta” da parte delle piante di una nuova sostanza, che ne ha reso possibile lo sviluppo. La sintesi della cutina ha consentito ad un gruppo di alghe verdi di uscire dall’ambiente acquatico senza rischiare il disseccamento, grazie all’impermeabilizzazione della superficie dei tessuti vegetativi (cutinizzazione). La sporopollenina, comparsa già nella parete degli zigoti resistenti di alcune  alghe verdi (Charophyceae), ha permesso la comparsa di una parete spessa e impermeabile intorno alle meiospore, che hanno potuto venire disperse nell’aria lontano dalla pianta madre funzionando da organi di diffusione e di resistenza per le prime piante terrestri. Così, la comparsa dei tessuti di conduzione e lo sviluppo in altezza che caratterizzano le tracheofite sono state possibili grazie alla precedente sintesi della lignina. E la crescita secondaria è stata accompagnata dalla comparsa di un nuovo tessuto di protezione specializzato (il sughero), grazie alla sintesi della suberina.

LE PTERIDOFITE

Sotto il nome collettivo di pteridofite o crittogame vascolari vengono riunite le tracheofite prive di semi, che si diffondono per mezzo di spore e hanno nella quasi totalità un gametofito autonomo rispetto allo sporofito, anche se di piccole dimensioni. Si ritiene che i diversi gruppi di pteridofite si siano originati indipendentemente e non siano legati fra loro da rapporti filogenetici diretti; per questo attualmente vengono in genere trattati come divisioni indipendenti. Tuttavia, per semplicità si usa ancora collettivamente il nome di pteridofite, vista la somiglianza di alcune caratteristiche sia degli apparati vegetativi che di quelli riproduttivi dei diversi gruppi. Tutte le pteridofite si riproducono per mezzo di spore (meiospore), prodotte in gran numero entro sporangi: è stato calcolato che una felce arborea tropicale può produrre nel corso della sua vita migliaia di miliardi di spore diverse. Questi vengono portati da foglie fertili (sporofilli), che possono essere più o meno diverse dalle normali foglie assimilatrici (trofofilli).

Sistematica. Attualmente tra le cosiddette pteridofite vengono per lo più riconosciute le seguenti divisioni:

Le riniofite (Rhyniophyta), che comprendono solo piccole piante fossili estinte organizzate in telomi, prive di radici. Hanno un interesse esclusivamente filogenetico. Alcuni autori raggruppano le tracheofite ancestrali conosciute solo allo stato fossile in più divisioni (o phyla) e non solo nelle Rhyniophyta. Si ritiene che le prime piante vascolari siano apparse sulla terra nel Siluriano (Paleozoico), circa 420 milioni di anni fa.

Le psilotofite (Psilotophyta), poche specie viventi di aspetto simile ad alcune riniofite, prive di radici, con gametofiti micorrizati. Hanno un interesse esclusivamente filogenetico.

I licopodi, le selaginelle e gli isoeti (Lycopodiophyta o Lycophyta). Circa 1200 specie. Attualmente comprendono solo piante erbacee di aspetto vagamente simile a grossi muschi, di poco o nessun interesse economico, a parte qualche specie utilizzata a scopo ornamentale. Sono caratterizzati da piccoli fusti ramificati dicotomicamente, che portano foglie piccole, lineari o squamiformi, con singola nervatura mediana (microfille). Le radici sono in massima parte avventizie e si originano dai fusti o da rizofori, organi di aspetto intermedio tra radici e fusti.

I licopodi (Lycopodiales) sono piante erbacee con fusti rizomatosi striscianti che portano ramificazione erette alte fino a poche decine di centimetri con foglie strette, uninervate, alterne. Gli sporofilli, simili a normali foglie vegetative, possono essere sparsi tra microfille sterili o riuniti in strutture a forma di spiga (coni o strobili) all’apice dei fusti. Ogni sporofillo porta uno sporangio ascellare. I licopodi sono isosporei (o omosporei): le spore sono tutte di aspetto simile e danno origine a gametofiti piccolissimi, in genere almeno in parte sotterranei, che si nutrono grazie a simbiosi micorriziche. I gametofiti vivono in genere più anni e portano sia anteridi che archegoni. Le spore di alcuni licopodi, sotto il nome di “polvere di licopodio”, venivano usati a scopo medicinale, come emostatici e disinfettanti delle ferite. In passato, sono state utilizzate anche come materiale infiammabile per provocare i flash delle vecchie attrezzature fotografiche.

Le selaginelle (Selaginellales) hanno aspetto simile a quello dei licopodi. Nello xilema di alcune selaginelle (e di qualche rappresentante di altre divisioni di pteridofite) sono presenti elementi conduttori più efficienti con pareti completamente aperte (trachee), simili a quelli che si trovano nelle angiosperme. Gli sporofilli riuniti in coni apicali simili a quelli dei licopodi ascellano sporangi di aspetto diverso: macrosporangi che contengono da 1 a 4 macrospore femminili e microsporangi con un centinaio di microspore maschili. Le microspore germinano già entro il microsporangio e producono un gametofito ridottissimo privo di clorofilla, costituito in pratica solo da un anteridio. Questo resta contenuto entro la parete della microspora, da cui usciranno infine gli spermi (gameti maschili) biflagellati. Le macrospore vengono di regola liberate dal macrosporangio, ma anche il gametofito femminile si sviluppa all’interno della parete della macrospora. Questa racchiude il macrogametofito per tutto il suo sviluppo e solo al termine si aprirà in parte, esponendo gli archegoni, in modo che possano essere raggiunti dagli spermi mobili. Entrambi i gametofiti dipendono per il loro nutrimento dalle riserve contenute nelle spore, anche se il gametofito femminile è parzialmente verde e in grado di svolgere poca fotosintesi. Ci sono specie in cui la macrospora non viene liberata e germina all’interno del macrosporangio. L'ordine comprende il solo genere Selaginella. S. lepidophylla (pianta della resurrezione o resurrection plant) è coltivata come ornamentale e studiata per la sua capacità di passare in stato dormiente lumghi periodi di aridità (durante i quali l'intera pianta può essere trasportata dal vento a notevoli distanze) e riprendere l'attività vegetativa in seguito a imbibizione.

Gli isoeti (Isoetales) hanno un piccolo fusto semisotterraneo a tubero che porta poche foglie di aspetto lineare, le più interne delle quali ascellano gli sporangi. Anche gli isoeti sono eterosporei.Molte specie di ambienti aridi hanno una fotosintesi di tipo CAM.

I lepidodendri o licopodi arborei (Lepidodendrales) sono organismi fossili a portamento arboreo che raggiunsero altezze fino a una trentina di metri. Conobbero la massima diffusione per decine di milioni di anni nel Carbonifero e nei periodi vicini (345-290 milioni di anni fa), scomparendo circa 250 milioni di anni fa. In queste forme comparvero i meristemi secondari del cambio cribro-vascolare e del fellogeno.

– Gli equiseti (Equisetophyta ). Comprendono attualmente un solo genere (Equisetum), con meno di venti specie erbacee prive di accrescimento secondario, ma si conoscono numerose forme arboree fossili del Carbonifero. I fusti principali comprendono porzioni sotterranee perenni a portamento rizomatoso strisciante e porzioni aeree erette, verdi e fotosintetizzanti, di altezza di regola non superiore al metro, spesso a durata annuale. Nello xilema di alcuni equiseti possono essere presenti trachee. Sono caratteristicamente articolati, con nodi ingrossati evidenti e internodi cavi all’interno a maturità. Al di sopra di ogni nodo è presente un meristema intercalare che consente l’allungamento longitudinale dell’internodo. I rami, quando presenti, sono portati in verticilli ai nodi. Le foglie, del tipo delle microfille, sono piccole, squamiformi e di solito non fotosintetiche. Si presentano quasi interamente saldate a formare una guaina circolare a forma di collaretto, che contribuisce a dare rigidità ai nodi, fragili per la presenza dei meristemi. Gli sporangi sono portati in gruppi al di sotto di sporofilli (chiamati anche sporangiofori perché ritenuti più simili a fusti che a foglie) peltati, cioè a forma di ombrello piatto con manico centrale. Gli sporangiofori sono riuniti in coni all’apice di fusti fertili, che possono essere di aspetto diverso dai normali fusti: nella comune coda di cavallo (Equisetum arvese) i fusti che portano gli sporofilli non sono verdi, sono privi di ramificazioni, compaiono prima dei fusti vegetativi ed hanno breve durata. Le spore, dotate di strutture che ne facilitano la diffusione (elateri), sono tutte simili fra loro e danno di regola gametofiti verdi e fotosintetici omotallici; in particolari condizioni ambientali possono però produrre gametofiti unisessuali. Le cellule dell’epidermide degli organi vegetativi sono impregnati di silice, che conferisce una certa solidità e ruvidità ai fusti, tanto che in passato venivano impiegati per pulire le stoviglie o per levigature di fino; attualmente, per il loro alto contenuto di minerali, vengono utilizzate in fitoterapia come rafforzanti del sistema scheletrico. Gli equiseti vivono di regola in luoghi molto umidi o addirittura paludosi. Alcune specie si comportano come infestanti delle colture e dei pascoli e a causa degli invadenti rizomi sono di difficile eliminazione. Molti equiseti possono risultare tossici per il bestiame, a causa della presenza di silice nelle cellule epidermiche, che può causare lesioni al tratto digerente.

– Le felci (Polypodiophyta ) comprendono  circa 12.000 specie, per la maggior parte a distribuzione tropicale. La maggior parte delle felci attuali ha portamento erbaceo, con un fusto sotterraneo (rizoma) da cui nascono foglie portate in rosetta basale. Solo specie di ambiente tropicale, oltre ai fossili, hanno portamento arboreo. In qualche rara specie sono presenti nello xilema del fusto vasi privi di pareti trasversali (trachee). Le radici sono avventizie e si originano dal fusto. Le foglie, riconducibili al tipo delle macrofille, sono in genere grandi, composte e picciolate, caratteristicamente arrotolate all’apice nelle prime fasi di sviluppo (circinnate). Sono percorse da nervature ramificate e hanno una struttura interna abbastanza complessa, simile a quella delle foglie dorso-ventrali delle angiosperme.

Gli sporangi, portati in genere sulla pagina inferiore di foglie normali o più di rado di foglie modificate, sono solitamente raggruppati in sori, protetti o meno da una membrana (indusio) o da una ripiegatura della foglia. Le felci vengono comunemente divise in leptosporangiate (con sporangi che si originano da una sola cellula iniziale e hanno parete unistratificata) e eusporangiate (origine da un gruppo di cellule e parete pluristratificata). Nelle felci leptosporangiate, che comprendono la grande maggioranza delle specie attuali, gli sporangi si aprono a maturità grazie ad un anello di cellule ispessite con lignina (annulus) con meccanismo igroscopico: quando l’atmosfera è secca le cellule dell’annulus si contraggono, provocando l’apertura dello sporangio e la liberazione delle spore nell’aria. Le felci eusporangiate, che comprendono circa 400 specie, presentano relazioni filogenetiche non chiare con le altre felci e sono da alcuni autori escluse dalle Polypodiophyta e inserite piuttosto in una delle altre divisioni di pteridofite viventi, tutte con sporangi del tipo eusporangiato.

Tra le forme viventi, solo poche specie di felci acquatiche, tutte leptosporangiate, sono eterosporee: le altre Polypodiophyta attuali producono spore di un solo tipo. I gametofiti, che possono ricordare nell’aspetto delle piccole epatiche, sono piccoli, tallosi e solitamente fotosintetici; portano anteridi e archegoni nelle felci isosporee e gametangi di un solo sesso in quelle eterosporee. Come in tutte le pteridofite, la gamia avviene entro l’archegonio, dove l’oosfera immobile viene raggiunta dagli spermi flagellati.

Le spermatofite (gimnosperme e angiosperme) sono tutte eusporangiate e si ritiene che rappresentino l’evoluzione di felci eusporangiate eterosporee ancestrali.

Le felci hanno scarsa importanza economica, se si escludono quelle coltivate a scopo ornamentale. Numerose specie sono importanti costituenti del sottobosco, soprattutto in ambienti umidi. Alcune sono indicatrici di substrati acidi, come la felce aquilina (Pteridium aquilinum), colonizzatrice delle radure boschive nei boschi acidofili e infestante delle colture. Azolla, una felce acquatica che ospita cianobatteri fissatori d’azoto (Anabaena), viene talvolta impiegata nelle rotazioni delle risaie, per assicurare l’apporto di azoto al cereale. Poche specie trovano impiego in fitoterapia.

Riproduzione e ciclo. Come nelle briofite, anche in tutte le cosiddette pteridofite la diffusione è affidata alle spore (meiospore). La maggior parte delle felci (Polypodiophyta), gli equiseti (Equisetophyta) e i licopodi (Lycopodiales) sono isosporei, producono cioè meiospore tutte uguali, da cui si originano in genere gametofiti ermafroditi o omotallici (con anteridi e archegoni sullo stesso individuo). Solo negli equiseti i gametofiti possono anche essere unisessuali o eterotallici, cioè portare gametangi di un solo sesso. Alcune felci acquatiche, le selaginelle (Selaginellalles) e gli isoeti (Isoetales) sono invece eterosporei, cioè producono spore di due tipi diversi: microspore, generalmente più piccole, e macrospore (o megaspore), generalmente di dimensioni maggiori. Da queste si originano due diversi gametofiti unisessuali: dalle macrospore, gametofiti femminili o macrogametofiti con soli archegoni; dalle microspore, gametofiti maschili o microgametofiti con soli anteridi. Entrambi i gametofiti sono di dimensioni molto ridotte rispetto agli sporofiti e si sviluppano all'interno della parete della spora. Si ritiene che l'eterosporia sia comparsa più volte indipendentemente nei diversi gruppi di pteridofite.

I gametofiti o protalli  delle pteridofite sono tutti di piccole dimensioni, ma di aspetto molto diverso nei vari gruppi. Nella maggior parte dei casi hanno vita breve, spesso non più che annuale. Questo ha come conseguenza che ogni anno (o comunque nel giro di periodi brevi di tempo) vengono prodotti gameti da gametofiti diversi e quindi con genotipi diversi, diversamente da quanto accadeva nelle briofite, dove gametofiti perennanti producevano ogni anno per lungo tempo gameti sempre geneticamente identici. Si tratta di un passo evolutivo importante, che porta ad un enorme aumento della variabilità genetica degli individui diploidi che si origineranno dalla gamia e quindi in definitiva all'incremento delle possibilità di insorgenza di nuovi caratteri da sottoporre al vaglio della selezione naturale. Quanto alle modalità di incontro dei gameti, nelle pteridofite sono simili a quelle che si ritrovano nelle briofite: anche qui gli spermi flagellati raggiungono gli archegoni muovendosi su un velo di umidità. La presenza di acqua è necessaria per consentire questo percorso e per permettere l’apertura degli archegoni e limita la possibilità di crescita dei gametofiti delle pteridofite ad ambienti umidi, almeno nel periodo della riproduzione. Dopo la gamia (o fecondazione), l’embrione si forma all’interno dell’archegonio, ma in breve tempo si affranca da questo, sviluppando apparati fotosintetici e organi assorbenti che lo rendono del tutto indipendente da un punto di vista trofico. Tuttavia lo sporofito adulto si sviluppa là dove era l’archegonio da cui si è originato, cioè nello stesso ambiente umido in cui era cresciuto il gametofito. In questo modo le esigenze del gametofito condizionano anche l’ambiente di diffusione dello sporofito. Poche felci hanno gametofiti perenni che si propagano vegetativamente e sono prive di fase sporofitica.

Lo sporofito porta le strutture riproduttive (sporangi), all’interno delle quali si trova un tessuto sporigeno o archesporio da cui si origineranno le spore ed un tapetum con funzione di nutrimento. All’interno degli sporangi avviene la meiosi, con produzione delle spore. Gli sporangi sono portati su foglie fertili (sporofilli) uguali alle foglie normali oppure no, e di aspetto diverso nei vari gruppi.
Nelle pteridofite si assiste alla comparsa di due importanti innovazioni evolutive, sorte più volte e indipendentemente in gruppi diversi:

1 – Compare l’eterosporia, cioè la produzione di meiospore di due tipi diversi: macrospore femminili di solito più grandi, da cui nascono gametofiti che portano archegoni; e microspore maschili che originano gametofiti con anteridi. Il fenomeno, presente in maniera sporadica già in qualche gruppo di alghe, sarà la regola nelle piante a seme (spermatofite). Le maggiori dimensioni della macrospora portano come conseguenza una sua minore mobilità, rendendola meno adatta come mezzo di diffusione.

2 – Nelle pteridofite eterosporee il gametofito si forma già all’interno della parete della spora e in qualche caso la macrospora rimane per un certo tempo dentro lo sporangio dopo la formazione del gametofito. Indizi della germinazione della macrospora ancora all'interno del macrosporangio si ritrovano in varie pteridofite estinte; in tutte quelle viventi la macrospora viene comunque prima o dopo liberata all'esterno.

Questi due passaggi evolutivi sono la premessa necessaria per l’evoluzione dell’ovulo – e quindi del seme – delle spermatofite. Tuttavia, nelle pteridofite, anche nei casi in cui la spora germini già entro lo sporangio, non esistono rapporti trofici tra lo sporangio (organo dello sporofito genitore) e la spora, che a maturità è sempre rivestita da una spessa parete impermeabile.

Nonostante la comparsa dei tessuti vascolari, le pteridofite non sono in grado di emanciparsi completamente dall’ambiente umido e di colonizzare ambienti aridi a causa di alcune caratteristiche del loro ciclo riproduttivo che le accomunano alle briofite:

– l’acqua, per quanto in piccola quantità, è ancora necessaria per l’incontro dei gameti, dal momento che gli spermi si muovono grazie ai flagelli per raggiungere gli archegoni;

– l’organo di diffusione, cioè l’elemento che si distacca dalla pianta madre per colonizzare nuovi ambienti, è la meiospora. Dal momento che germinando produrrà un gametofito, la spora germina necessariamente solo là dove sono presenti condizioni idonee alla vita del gametofito, legato agli ambienti umidi per la mancanza di tessuti vascolari e la necessità di proteggere i gameti dal disseccamento. Come già osservato, lo sporofito, che si origina dallo zigote contenuto nell’archegonio ed è inizialmente nutrito dal gametofito, sarà costretto a svilupparsi nello stesso ambiente umido del gametofito.

Propagazione vegetativa. Molte pteridofite si moltiplicano per frammentazione dei fusti sotterranei (rizomi), tanto che alcune sono temibili infestanti, soprattutto per le colture in luoghi umidi. Tra queste la coda di cavallo (Equisetum arvense) e la felce aquilina (Pteridium aquilinum). La diffusione di queste piante viene favorita dalle normali lavorazioni del terreno.

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