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Opere

Riassunto delle opere.

Il concetto d’amore in Agostino (1929): Hannah Arendt mette qui in campo tutta la ricchezza e la complessità  dell’opera di Agostino, pensatore in bilico tra due mondi, quello greco e quello cristiano, pensatore sommo e originale, impegnato in uno “sforzo tremendo”, di cui sono segno le linee interrotte del suo pensiero, credente per il quale non si trattò di ” abbandonare le incertezze della filosofia a favore di una verità  rivelata, ma di scoprire le implicazioni filosofiche della sua nuova fede. Le origini del totalitarismo: Per quattro anni di intensa fatica, nel libro scritto tra il 1946 e il 1950, vibra un trasalimento, un Ach! di dolore profondo davanti all’infamia che l’autrice analizza. Arendt si considerava una scopritrice di problemi attuali, ma i tre elementi (antisemitismo, imperialismo e razzismo) in cui condensava la sua analisi, erano ciascuno espressione di un problema, o di un insieme di problemi, per i quali era stato il nazismo ad offrire, quando essi si erano “cristallizzati”, una “soluzione” tremenda. Il futuro alle spalle: L’obiettivo di Arendt ò di sottrarre l’opera dei poeti al mestiere degli specialisti per restituirla al libero gioco della comprensione. Poesia e letteratura, infatti, riguardano tutti, aiutano a vivere, sono cose troppo serie per essere lasciate ai soli critici di professione. La maliziosa ironia di Heinrich Heine, la lotta esistenziale di Franz Kafka contro le idee della vecchia Europa si ricompongono lungo la corrente della “tradizione nascosta”, quella della coscienza ebraica, della esclusione che non rinnega la propria storia, in cui il futuro ò precluso al passato. Vita Activa. La condizione umana (1958): Le tre condizioni dell’esistenza, fondamentali per capire la “antropologia” di Arendt, corrispondono all’ambiente naturale degli individui, la Terra, e quindi l’attività  del lavoro, rappresentata dall’ “animal laborans”; la seconda condizione ò l’insieme di artefatti di cui l’uomo si circonda per vivere e operare nel mondo, cui corrisponde l’ “homo faber”; la terza condizione ò lo spazio pubblico in cui gli individui interagiscono mediante il discorso, l’attività  corrispondente ò l’agire. Le tre attività  compongono la “vita activa”. Rahel Varnaghen (1959): Scrivendo la biografia di Rahel Varnhagen (1771 – 1833), intellettuale ebrea protagonista dei salotti romantici, Madame de Stael berlinese, Arendt osserva: ” la realtà  non può portare niente di nuovo, la riflessione ha già  anticipato tutto “. In Arendt l’indomabile istinto intellettuale si univa ad una segreta, a volte ironica malinconia che non si rivelava. E a proposito di Rahel: ” Essere Schlemihl, sfortunata, quale Rahel si riteneva, non ò mai schlimm mazzel, solo passiva malasorte “. Il sole non c’ò solo per coloro che al sole voltano costantemente le spalle. E così nella signorina Rahel la battaglia contro i fatti, soprattutto contro il fatto di essere nata ebrea, diventa una battaglia contro se stessa. Tra passato e futuro (1961): Arendt sottolinea che il tesoro della libertà  dell’agire ò impossibile da trasmettere in un mondo che non attribuisce senso all’agire in pubblico. E ciò ò tanto più sconcertante quanti più individui si disposero alla lotta e all’agire per riappropriarsi di uno spazio pubblico che il nazismo e l’occupazione, e prima ancora la pseudo-democrazia repubblicana, avevano cancellato nella società  francese. I saggi qui raccolti sono variazioni sul tema della frattura che si apre nell’esistenza e nella cultura quando l’essere umano non può aprirsi al mondo e quindi al presente. I vari tipi di crisi, dell’autorità , della libertà , dell’istruzione, persino del pensiero, sono riportati alla fondamentale lacuna dell’agire. Questa assume l’aspetto decisivo di una interruzione della tradizione. La banalità  del male. Eichmann a Gerusalemme (1963): L’opera più discussa e controversa dell’autrice pone interrogativi profondi sulla natura umana, sugli ideali di giustizia e sulla memoria del passato. Eichmann non era un mostro, era soltanto un uomo mediocre, banale, cui erano stati preposti idoli mediocri in cui credere e per cui battersi. Il male di cui si ò macchiato non era radicale, quindi impunibile, incomprensibile, imperdonabile, ma banale, non il male, ma la persona che lo commise era incapace di giudicare, di discernere il bene dal male, di comprendere quello che stava facendo. Sulla rivoluzione (1963): In questa opera la Arendt, attraverso il confronto tra le due suddette rivoluzioni, mette in luce come esse rappresentino due diversi modelli di fenomeni rivoluzionari, manifestando al contempo la sua concezione della politica, con la chiara adesione ai princìpi che hanno ispirato la rivoluzione americana. ” In una situazione internazionale che contrappone la minaccia di totale distruzione attraverso la guerra alla speranza di emancipazione di tutta l’umanità  attraverso la rivoluzione, non resta altra causa se non la più antica di tutte, la causa della libertà  contro la tirannide “. La lingua materna (1964): In questo saggio di Hannah Arendt, che ò corredato da un’intervista concessa dall’autrice alla televisione tedesca nel 1964, vengono esaminate le questioni dell’esilio, dell’identità  di un popolo e delle trasformazioni che nel corso dell’età  contemporanea hanno sconvolto l’assetto dell’Europa e del mondo intero. La condizione umana ò soggetta a continui mutamenti, spesso tragici, e l’unica possibilità  inventiva, per l’autrice, consiste nella capacità  di provare stupore, porre domande in un atto di solidarietà  tra esseri umani. Ebraismo e Modernità  (1978): Radicalità  e solitudine ò il binomio della meditazione cui Hannah Arendt ritorna costantemente in questi scritti che coprono l’arco di più di vent’anni fino al suo scambio epistolare con il grande storico della mistica ebraica Gershom Scholem che, a proposito del suo libro su Eichmann, la accusa di non amare il popolo ebraico. ” Io non amo gli ebrei ” gli risponde Arendt, ” sono semplicemente una di loro “. La vita della mente (1978): E’ l’ultimo libro di Arendt, rimasto incompiuto, l’ultima sua opera, il coronamento della sua “vita activa”. Divisa in tre parti (Pensare, Volere, Giudicare), Arendt si chiede nella prima parte dove si trovi l’io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo. Alla libertà  ò dedicata la seconda parte del volume, e cioò il problema del cristianesimo di come poter conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio. Il pescatore di perle. Walter Benjamin (1993): Arendt ci offre un ritratto tra i più intensi e significativi di Walter Benjamin, un intellettuale sui generis che secondo l’autrice riesce a rischiarare, a illuminare anche i periodi più oscuri che viviamo. Ciò che fin dall’inizio affascinò Benjamin non fu mai un’idea ma sempre un fenomeno, ” ciò che appare paradossale di ogni cosa che viene semplicemente definita bella ò il fatto che appaia “. Verità  e politica. La conquista dello spazio e la statura dell’uomo (1995): La menzogna va combattuta, oltre che per la sua immoralità , per il suo potenziale impatto distruttivo sullo spazio della politica. Dietro le imprese spaziali che proiettano l’uomo fuori della terra e dietro le ricerche scientifiche volte a creare la vita in provetta e a prolungare l’esistenza umana, l’autrice vede appunto profilarsi il desiderio di sfuggire alla mortalità  e più in generale ai limiti inerenti alla condizione umana. Che cos’ò la politica? (1995): E’ una raccolta di frammenti scritti da Arendt intorno al tema della politica e all’idea di scrivere un’ “Introduzione alla politica”, cioò a quello che realmente ò politica e ai presupposti fondamentali dell’esistenza umana con i quali il politico ha a che fare. I brani pubblicati forniscono indicazioni fondamentali sulla filosofia politica, sulla visione del mondo, sull’autonomia e originalità  di Hannah Arendt. In un’epoca di miseria politica, Arendt ha ricercato le origini di una politica intesa come vita appagata e libera insieme agli altri dei quali si riconosce la diversità . Ritorno in Germania (1996): Un saggio intenso e profondo raccoglie le impressioni, le esperienze e le conoscenze di un viaggio di ritorno nella Germania nazista del 1949-1950. Questo testo commosso e puntuale ò il tentativo di una donna sensibile di superare con la forza dell’intelligenza il dolore, l’amarezza personale e il risentimento nei confronti del proprio Paese dopo la tragica esperienza del nazionalsocialismo, della seconda guerra mondiale e della Shoah. L’immagine dell’inferno (2001): I tre saggi compresi in questo libro costituiscono passaggi cruciali di quella riflessione sull’Olocausto che porterà  Arendt alla stesura di “Le origini del totalitarismo”. Di fronte ad un evento che sfidava le capacità  di comprensione, Arendt seppe formulare, per la prima volta, con un rigore ineguagliato, le domande che ancora oggi ci inquietano: come ò potuto succedere? Quali meccanismi di disumanizzazione sono stati messi in atto per poter rendere “normale” lo stermino di massa? I campi di concentramento appaiono a Arendt come l’esito più estremo, ma anche più conseguente, del totalitarismo come forma inedita di governo, intesa a sperimentare la cancellazione della spontaneità  e della pluralità  umane e capace di creare nei suoi sudditi un’obbedienza e una mentalità  conformistica disposte ad accettare qualsiasi orrore. La disobbedienza civile e altri saggi (1985): I temi a cui il saggio rimanda sono quelli dell’obbligo politico e della partecipazione, visti nella loro connessione col problema della libertà . Sulla scia di un nuovo kantismo delineato dalla “Critica del Giudizio”, Arendt formula un’analisi dell’azione innovativa e sempre rivoluzionaria, nei termini del principio della libertà  pubblica, dello spirito pubblico e della pubblica felicità .

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