De Brevitate Vitae, 18 - Studentville

De Brevitate Vitae, 18

Seneca, De Brevitate Vitae, 18: testo originale in latino

Excerpe itaque te vulgo, Pauline carissime, et in tranquilliorem portum non pro

aetatis spatio iactatus tandem recede. Cogita quot fluctus subieris, quot tempestates partim privatas sustinueris, partim

publicas in te converteris; satis iam per laboriosa et inquieta documenta exhibita virtus est; experire quid in otio faciat.

Maior pars aetatis, certe melior rei publicae datast: aliquid temporis tui sume etiam tibi. 2 Nec te ad segnem aut inertem

quietem voco, non ut somno et caris turbae voluptatibus quicquid est in te indolis vividae mergas; non est istud adquiescere:

invenies maiora omnibus adhuc strenue tractatis operibus, quae repositus et securus agites. 3 Tu quidem orbis terrarum rationes

administras tam abstinenter quam alienas, tam diligenter quam tuas, tam religiose quam publicas. In officio amorem consequeris,

in quo odium vitare difficile est; sed tamen, mihi crede, satius est vitae suae rationem quam frumenti publici nosse. 4 Istum

animi vigorem rerum maximarum capacissimum a ministerio honorifico quidem sed parum ad beatam vitam apto revoca, et cogita non

id egisse te ab aetate prima omni cultu studiorum liberalium ut tibi multa milia frumenti bene committerentur; maius quiddam et

altius de te promiseras. Non derunt et frugalitatis exactae homines et laboriosae operae; tanto aptiora [ex]portandis oneribus

tarda iumenta sunt quam nobiles equi, quorum generosam pernicitatem quis umquam gravi sarcina pressit? Cogita praeterea quantum

sollicitudinis sit ad tantam te molem obicere: cum ventre tibi humano negotium est; nec rationem patitur nec aequitate

mitigatur nec ulla prece flectitur populus esuriens. Modo modo intra paucos illos dies quibus C. Caesar periit (si quis inferis

sensus est) hoc gravissime ferens quod decedebat populo Romano superstite, septem aut octo certe dierum cibaria superesse! Dum

ille pontes navibus iungit et viribus imperi ludit, aderat ultimum malorum obsessis quoque, alimentorum egestas; exitio paene

ac fame constitit et, quae famem sequitur, rerum omnium ruina furiosi et externi et infeliciter superbi regis imitatio. 6 Quem

tunc animum habuerunt illi quibus erat mandata frumenti publici cura, saxa, ferrum, ignes, Gaium excepturi? Summa

dissimulatione tantum inter viscera latentis mali tegebant, cum ratione scilicet: quaedam enim ignorantibus aegris curanda

sunt, causa multis moriendi fuit morbum suum nosse.

 

Seneca, De Brevitate Vitae, 18: traduzione

Allontànati dunque dalla folla, carissimo Paolino,

e ritirati alfine in un porto più tranquillo, spintovi non a causa della durata della vita. Pensa quanti flutti hai affrontato,

quante tempeste private hai sopportato, quante (tempeste) pubbliche ti sei attirato; già abbastanza il tuo valore è stato

dimostrato attraverso faticosi e pesanti esempi: sperimenta cosa (il tuo valore) può fare senza impegni. La maggior parte della

vita, di certo la migliore, sia pur stata dedicata alla cosa pubblica: prenditi un pò di tempo pure per te. E non sto ad

invitarti ad una pigra ed inerte inattività, non perché tu immerga quanto c’è in te di vigorosa indole nel torpore e nei

piaceri cari al volgo: questo non è riposare; troverai attività più importanti di tutte quelle finora valorosamente trattate,

che portai compiere appartato e tranquillo. Tu di certo amministrerai gli affari del mondo tanto disinteressatamente come (di)

altri, tanto scrupolosamente come tuoi, con tanto zelo come pubblici. Ti guadagni la stima in un incarico in cui non è facile

evitare il malvolere: ma tuttavia, credimi, è meglio conoscere il calcolo della propria vita che (quello) del grano statale.

Allontana questa vigoria dell’animo, capacissima delle cose più grandi, da un ufficio sì onorifico ma poco adatto ad una

vita serena e pensa che non ti sei occupato, fin dalla tenera età, di ogni cura degli studi liberali perché ti fossero

felicemente affidate molte migliaia (di moggi) di grano: avevi aspirato per te a qualcosa di più grande e di più elevato. Non

mancheranno uomini di perfetta sobrietà e di industriosa attività: tanto più adatte a portar pesi sono lente giumente che

nobili cavalli, la cui generosa agilità chi mai ha oppresso con una gravosa soma? Pensa poi quanto affanno sia il sottoporti ad

un onere così grande: ti occupi del ventre umano; il popolo affamato non sente ragioni, non è placato dalla giustizia né

piegato dalla preghiera. Or ora, entro quei pochi giorni in cui morì Caio Cesare [Caligola] – se vi è una qualche sensibilità

nell’aldilà, sostenendo ciò con animo molto grato, perché calcolava che al popolo Romano superstite rimanessero certamente

cibarie per sette o otto giorni -, mentre egli congiunge ponti di navi [Caligola fece costruire un ponte di navi da Baia a

Pozzuoli, come ci tramanda Svetonio] e gioca con le risorse dell’impero, si avvicinava il peggiore dei mali anche per gli

assediati, la mancanza di viveri; consistette quasi nella morte e nella fame e, conseguenza della fame, la rovina di ogni cosa

e l’imitazione di un re dissennato e straniero e tristemente orgoglioso [il re Serse, che costruì un porto sullo stretto dei

Dardanelli per la sfortunata spedizione in Grecia]. Che animo ebbero allora quelli a cui era stata affidata la cura del grano

pubblico, soggetti alle pietre, al ferro, alle fiamme, a Gaio? Con enorme dissimulazione coprivano un male così grande nascosto

tra le viscere e a ragion veduta; infatti alcuni mali vanno curati all’insaputa degli ammalati: per molti causa di morte è

stato il conoscere il proprio male.

 

Vedi anche:

 

  • Latino
  • De Brevitate Vitae
  • Seneca

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