De Brevitate Vitae, 17 - Studentville

De Brevitate Vitae, 17

Seneca, De Brevitate Vitae, 17: testo originale in latino

Ipsae voluptates eorum trepidae et variis

terroribus inquietae sunt subitque cum maxime exsultantis sollicita cogitatio: “Haec quam diu?” Ab hoc affectu reges suam

flevere potentiam, nec illos magnitudo fortunae suae delectavit, sed venturus aliquando finis exterruit. 2 Cum per magna

camporum spatia porrigeret exercitum nec numerum eius sed mensuram comprenderet Persarum rex insolentissimus, lacrimas

profudit, quod intra centum annos nemo ex tanta iuventute superfuturus esset; at illis admoturus erat fatum ipse qui flebat

perditurusque alios in mari alios in terra, alios proelio alios fuga, et intra exiguum tempus consumpturus illos quibus

centesimum annum timebat. 3 Quid quod gaudia quoque eorum trepida sunt? Non enim solidis causis innituntur, sed eadem qua

oriuntur vanitate turbantur. Qualia autem putas esse tempora etiam ipsorum confessione misera, cum haec quoque quibus se

attollunt et super hominem efferunt parum sincera sint? 4 Maxima quaeque bona sollicita sunt nec ulli fortunae minus bene quam

optimae creditur; alia felicitate ad tuendam felicitatem opus est et pro ipsis quae successere votis vota facienda sunt. Omne

enim quod fortuito obvenit instabile est: quod altius surrexerit, opportunius est in occasum. Neminem porro casura delectant;

miserrimam ergo necesse est, non tantum brevissimam vitam esse eorum qui magno parant labore quod maiore possideant. 5 Operose

assequuntur quae volunt, anxii tenent quae assecuti sunt; nulla interim numquam amplius redituri temporis ratio est: novae

occupationes veteribus substituuntur, spes spem excitat, ambitionem ambitio. Miseriarum non finis quaeritur, sed materia

mutatur. Nostri nos honores torserunt? plus temporis alieni auferunt; candidati laborare desiimus? suffragatores incipimus;

accusandi deposuimus molestiam? iudicandi nanciscimur; iudex desiit esse? quaesitor est; alienorum bonorum mercennaria

procuratione consenuit? suis opibus distinetur. 6 Marium caliga dimisit? consulatus exercet; Quintius dictaturam properat

pervadere? ab aratro revocabitur. Ibit in Poenos nondum tantae maturus rei Scipio; victor Hannibalis victor Antiochi, sui

consulatus decus fraterni sponsor, ni per ipsum mora esset, cum Iove reponeretur: civiles servatorem agitabunt seditiones et

post fastiditos a iuvene diis aequos honores iam senem contumacis exilii delectabit ambitio. Numquam derunt vel felices vel

miserae sollicitudinis causae; per occupationes vita trudetur; otium numquam agetur, semper optabitur.

 

Seneca, De Brevitate Vitae, 17: traduzione

Gli stessi loro piaceri sono

ansiosi ed inquieti per vari timori e subentra l’angosciosa domanda di chi è al massimo del piacere (lett.: di chi

massimamente gioisce): “Fino a quando ciò (durerà)?”. Da questo stato d’animo dei re piansero la propria potenza, né li

consolò la grandezza della propria fortuna, ma li atterrì la fine imminente. Avendo dispiegato l’esercito attraverso enormi

spazi di territori e non abbracciandone il numero ma la dimensione, l’orgogliosissimo re dei Persiani [Serse] versò lacrime,

perché di lì a cento anni nessuno di tanta gioventù sarebbe sopravvissuto: ma ad essi stava per affrettare il destino proprio

lui che (li) piangeva e che ne avrebbe perduti altri in mare, altri in terra, altri in battaglia, altri in fuga ed in breve

tempo avrebbe portato alla rovina quelli per i quali temeva il centesimo anno. E pure le loro gioie non sono forse ansiose? Non

appoggiano infatti su solide basi, ma sono turbate dalla stessa nullità dalla quale traggono origine. Quali perciò credi che

siano i periodi tristi per loro stessa ammissione, quando anche questi (periodi), nei quali si inorgogliscono e si pongono al

di sopra dell’umanità, sono poco veritieri? Tutti i beni più grandi sono ansiogeni e non bisogna fidarsi di nessuna fortuna

meno che di quella più favorevole: è necessaria nuova felicità per preservare la felicità e si devono fare voti proprio per i

voti che si sono esauditi. Infatti tutto quel che avviene per caso è instabile; ciò che assurgerà più in alto, più facilmente

(cadrà) in basso. Certamente le cose caduche non fanno piacere a nessuno: è dunque inevitabile che sia penosissima e non solo

brevissima la vita di coloro che si procacciano con grande fatica cose da possedere con fatica maggiore. Faticosamente

ottengono ciò che vogliono, ansiosamente gestiscono ciò che hanno ottenuto; mentre nessun calcolo si fa del tempo che non

tornerà mai più: nuove occupazioni subentrano a quelle vecchie, una speranza risveglia la speranza, un’ambizione

l’ambizione. Non si cerca la fine delle sofferenze, ma si cambia la materia. Le nostre cariche ci hanno tormentato: ci

tolgono più tempo quelle altrui; abbiamo smesso di penare come candidati: ricominciamo come elettori; abbiamo rinunziato al

fastidio dell’accusare: cadiamo (in quello) del giudicare; ha cessato di essere giudice: diventa inquisitore; è invecchiato

nell’amministrazione a pagamento dei beni altrui: è tenuto occupato dai propri averi. Il servizio militare ha congedato

Mario: (lo) affatica il consolato. Quinzio [Cincinnato] si affanna ad evitare la carica di dittatore (lett.: la dittatura):

sarà richiamato dall’aratro. Scipione marcerà contro i Cartaginesi non ancora maturo per tanta impresa; vincitore di

Annibale [a Zama, nel 202 a.C.], vincitore di Antioco [re di Siria, a Magnesia nel 190 a.C.], orgoglio del proprio consolato,

garante di quello fraterno [Lucio], se non vi fosse stata opposizione da parte sua, sarebbe collocato accanto a Giove [Scipione

rifiutò che la sua statua fosse posta nel tempio di Giove Capitolino]: sommosse civili coinvolgeranno (lui) salvatore dei

cittadini e dopo gli onori pari agli dei, rifiutati da giovane, ormai vecchio (lo) compiacerà l’ostentazione di un

orgoglioso esilio. Non mancheranno mai motivi lieti o tristi di preoccupazione; la vita si trascinerà attraverso le

occupazioni: giammai si vivrà il tempo libero, sempre verrà desiderato.

 

Vedi anche:

  • Latino
  • De Brevitate Vitae
  • Seneca

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