Luigi Pirandello: vita, opere e poetica - StudentVille

Luigi Pirandello

Vita, opere e poetica di Luigi Pirandello.

Cenni biografici su Luigi Pirandello

Luigi Pirandello nacque ad Agrigento nel 1867 da una famiglia appartenente alla borghesia commerciale e fu uno dei più importanti esponenti del Decadentismo Italiano. Gli anni dell’infanzia e della giovinezza furono importanti non solo per i primi interessi verso la letteratura e la poesia ma anche per le prime esperienze umane e sociali, compiute in un ambiente caratterizzato da confusione politica e morale che seguì all’unità d’Italia. Studiò prima nell’Università di Roma e in seguito, su suggerimento di Ernesto Monaci, suo maestro e uno dei più grandi filologi del tempo, si trasferì a Bonn, dove si laureò nel 1891. Nella città tedesca Pirandello risiedette per due anni, facendo letture (Goethe, Heine, Tieck, Chamisso) che lo influenzarono in modo probabilmente decisivo. Tornato a Roma tentò di inserirsi nella vivace società letteraria dominata dalla figura di D’Annunzio. Ciò nonostante furono poche le influenze del dannunzianesimo sulla poetica pirandelliana.

Pirandello scoprì e definì la propria vocazione di narratore in seguito all’incontro con Luigi Capuana, il teorico del verismo italiano: si deve a questo incontro la temporanea adesione di Pirandello ai canoni veristici. Nel 1893 portò a termine il primo romanzo, “L’Esclusa” e nel ’94 pubblicò il primo volume di racconti: “Amori senza amore”.

Nel 1903 il dissesto economico della famiglia paterna segna una data importante. Lo scrittore siciliano aveva sposato nel 1894 Maria Antonietta Portulano la cui dote fu investita in miniere di zolfo e venne persa nel 1903 a causa di un allagamento. Questo ebbe dure conseguenze negative: da un lato la perdita della dote influisce in maniera determinante sulla psicologia già di M.A.Portulano, minandone per sempre l’equilibrio mentale; dall’altro, Pirandello dovette impegnarsi a mantenere una famiglia numerosa tenendo lezioni private e collaborazioni giornalistiche di cui pretendette il pagamento.

Intanto si succedevano via via i romanzi (“Il fu Mattia Pascal”,1904; “I vecchi e i giovani”,1909 ; “Giustino Roncella, nato a Baggiolo”,1911 ; “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”, “Uno, nessuno e centomila”, 1925-’26) e numerose novelle (raccolte poi nella raccolta “Novelle per un anno”).
Durante la guerra e il primo dopoguerra si accentuò sempre di più il suo interesse per il teatro, fino a dedicarsi completamente ad esso. Dal 1926 al 1934 Pirandello formò una compagnia con la quale lo scrittore portò sui diversi palcoscenici in Italia e all’estero il proprio teatro, ricevendo sia consensi entusiastici, sia violente polemiche. Morì nel 1936.

La poetica pirandelliana:
superamento del verismo, relativismo e umorismo.

Una fondamentale esperienza nell’itinerario culturale ed artistico di Pirandello è l’incontro con il verismo, anche se egli, pur assimilandone alcuni insegnamenti e caratteri, lo supera decisamente.
Il rifiuto, o almeno la limitazione, della validità della lezione veristica si accompagna nella coscienza letteraria di Pirandello al rifiuto del positivismo. Pirandello, come ho già fatto notare, avverte con estrema lucidità la condizione disperata dell’uomo contemporaneo, il quale, persa la fiducia nei valori oggettivi positivistici, aveva smarrito ogni possibilità di recuperare una verità assoluta. Nel saggio “Arte e coscienza d’oggi” (già citato), Pirandello dichiara esplicitamente la sua concezione relativistica della realtà, dovuta proprio al crollo dei valori positivi dell’ottocento. Il verismo è quindi superato proprio perché non esiste più la realtà oggettiva che doveva essere studiata dallo scrittore verista, avvalendosi di un rigore scientifico. Pirandello non rifiuta solamente il criterio della verità oggettiva, garantita dalla scienza ma anche l’idea della verità soggettiva, (tipica del Romanticismo) e la capacità del soggetto di dare forma e senso al mondo. Dunque entrano in crisi tanto l’oggettività quanto la soggettività: da un lato la verità cessa di esistere sul fronte oggettivo perché cade l’illusione positivista di poterla fondare su basi misurabili e quantificabili scientificamente; dall’altro la verità non può neppure essere basata sul fronte soggettivo, in quanto il soggetto non appare più in grado di conoscerla ed è visto non più come unicità e organicità, ma come contraddizione, divisione e scissione. L’umorismo, oltre ad essere una poetica, è anche l’espressione coerente di tale concezione relativistica.

L’elaborazione della poetica avviene tra il 1904 e il 1908. Del 1904 sono le due “Premesse” iniziali corrispondenti ai primi due capitoli del “Fu Mattia Pascal”, che gettano le basi della nuova poetica la quale sarà poi analizzata anche nel volume “L’umorismo” uscito nel 1908.Pirandello parla di due “fondazioni” dell’umorismo: una fondazione ontologica (espressa nell’ “Umorismo”) e una fondazione storica (espressa nelle due “Premesse”).Secondo la concezione espressa nell’ “Umorismo”, l’uomo, che da sempre vive in un mondo privo di senso, cerca di dare significato all’esistenza creandosi una serie di autoinganni e illusioni: in questa prospettiva, l’umorismo sarebbe la tendenza eterna dell’arte a svelare tale contraddizione. Secondo ciò che viene affermato nelle due “Premesse”, la caduta dell’antropocentrismo tolemaico (che considerava l’uomo e la Terra in una posizione privilegiata nell’Universo) avrebbe provocato la nascita di quel malessere, tipico della modernità, che induce alla percezione della relatività di ogni fede e di ogni ideologia.
Lo scopo principale dell’arte umoristica è quello di evidenziare il contrasto tra forma e vita e tra personaggio (o maschera) e persona. La forma è costituita da tutti gli autoinganni che l’uomo si crea per dare un senso alla propria vita; la forma blocca la spinta delle funzioni vitali, la tendenza a vivere senza alcuno scopo ideale e quindi paralizza la vita.

Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona, ma si riduce ad una maschera (o personaggio) che recita un ruolo impostogli dalla società e, allo stesso tempo, dai suoi valori morali. Secondo Pirandello tutti gli uomini sono maschere perché tutti recitano una parte. Il personaggio ha davanti a sé due strade: scegliere l’adeguamento passivo alle forme oppure vivere con la consapevolezza amara della scissione tra forma e vita. Nel primo caso è solo una maschera, nel secondo diventa una maschera nuda che, nonostante abbia la consapevolezza degli autoinganni non può risolvere la contraddizione che pure individua.

L’antieroismo dell’ “Ulysses” e la tecnica della scomposizione dell’umorismo.

Nel sesto capitolo della seconda parte del saggio “L’umorismo”, Pirandello contrappone « l’arte in genere » all’arte umoristica: la prima idealizza la realtà, la seconda ne mostra le contraddizioni. Per argomentare la sua posizione, lo scrittore fa l’esempio dell’arte tragica e di quella epica: entrambe tendono alla « composizione », creano, cioè, miti ed eroi coerenti e compatti. Invece, secondo l’umorista, non esistono personaggi solidi ed organici e quindi l’arte umorista mira alla «scomposizione », demistifica i miti e le leggende, ponendo in primo piano, con atteggiamento critico, l’aspetto negativo di ciascun uomo.

Questo aspetto della poetica pirandelliana è ravvisabile nel romanzo “Ulysses” scritto da James Joyce e pubblicato per la prima volta in Francia nel 1922.Utilizzando la tecnica narrativa del flusso di coscienza, Joyce crea un parallelo parodico tra i personaggi del suo romanzo e quelli di un poema epico di Omero: l’ “Odissea”. Così, per esempio, Leopold Bloom dell’ “Ulysses” rappresenta l’Ulisse dell’Odissea, mostrando però, caratteristiche antieroiche e del tutto opposte a quelle del personaggio omerico.

Sia Joyce che Pirandello, attraverso le loro opere, intendevano quindi, mettere in luce gli aspetti più negativi dell’uomo moderno che, a causa dell’assenza dei valori ed ideologie certi, prova un senso di angoscia accresciuto dalla consapevolezza del suo stato e dall’impossibilità di una soluzione positiva. Facendosi portavoce di tale stato di malessere, Pirandello e Joyce (insieme ad altri letterati come Kafka, Svevo, Musil) hanno contribuito alla nascita di una nuova letteratura novecentesca. La caratteristica principale della letteratura moderna è proprio il senso di angoscia e ansia, dovuto anche alle nuove teorie fisiche (come la relatività di Einstein) e psicologiche (la psicoanalisi di Freud).
Non a caso il XX secolo è stato definito come “il secolo dell’angoscia”.

Differenza tra comicità ed umorismo: l’esempio della “vecchia imbellettata”.

Per chiarire la differenza tra comicità ed umorismo, Pirandello porta un esempio che mette in evidenza molto bene la distinzione fra i due concetti: lo scrittore prende in considerazione una vecchia signora « coi capelli ritinti … e poi tutta imbellettata e parata d’abiti giovanili »; inizialmente questa anziana signora, che cerca di apparire più giovane, può provocare del riso: si ha così, quello che Pirandello chiama « un avvertimento del contrario » tipico della comicità.
Se si riflette con più attenzione sulle ragioni che spingono una vecchia a vestirsi e truccarsi per sembrare più giovane, si arriva alla conclusione che la signora non prova nessun piacere a “mascherarsi” in quel modo, e magari lo fa solo per apparire ancora bella al marito, di cui teme la perdita dell’amore. Si ha così il « sentimento del contrario » tipico dell’umorismo.

Mattia Pascal e Vitangelo Mascarda:
due vittime del dissidio tra forma e vita.

I protagonisti dell’ “Ulysses” di Joyce (ma anche i personaggi dei “Dubliners”) rispecchiano fedelmente quelle che sono le caratteristiche dell’uomo moderno in crisi a causa della mancanza di punti di riferimento e certezze fissi e assoluti. Anche Pirandello è perfettamente consapevole della crisi che investe l’uomo del ‘900: è per questo che i protagonisti dei suoi romanzi umoristici più conosciuti sono degli inetti, i quali mostrano palesemente la contraddizione tra forma e vita teorizzata dallo scrittore catalano; tra questi “inetti” vi sono Mattia Pascal e Vitangelo Mascarda, protagonisti, rispettivamente, del “Fu Mattia Pascal” e “Uno, nessuno e centomila”. Mattia, sfruttando un malinteso, per il quale tutti lo credono morto, si allontana dal suo ambiente e dalla sua famiglia per tentare di costruirsi una nuova esistenza libera da convenzioni sociali. Ma anche nella nuova realtà nella quale si inserisce, egli a poco a poco è invischiato da mille nuovi legami, limitazioni e incomprensioni. Così Pascal si accorge di aver inutilmente “duplicato” se stesso: vivendo nei panni del suo alter-ego Adriano Meis, pur essendo fuori dalle convenzioni sociali, non è riuscito a sanare quella eterna contraddizione tra vita e forma, tra il modo di vivere che vorrebbe avere un uomo qualunque e il ruolo che invece gli assegna la società.

Vitangelo Moscarda ha molte caratteristiche in comune con Mattia Pascal: come lui è un inetto e come lui conduce una ribellione (contro il padre e la sua figura sostitutiva, l’amministratore).
A differenza di Pascal, il quale cerca una propria identità in modo passivo e quasi inconsapevole, Vitangelo si fa protagonista attivo della propria liberazione riuscendo alla fine a scoprire la vita e rifiutare la forma. E’ un banale fatto quotidiano che avvia in Vitangelo un processo di riflessione che si conclude in maniera imprevedibile. La moglie, infatti, un giorno gli fa notare, mentre egli si guarda allo specchio, che il suo naso pende a destra. Vitangelo non si era mai accorto della cosa e ne trae motivo per riflettere sui contrastanti modi coi quali viene percepita la realtà da ognuno di noi appare agli altri (uno, nessuno, centomila, appunto).

Vitangelo quindi, spinto da queste inquietanti riflessioni, va contro la logica corrente e compie atti che misurati secondo quella appaiono assurdi e contraddittori (chiude la banca che gestisce) attirandosi l’ostilità della moglie e dei soci che pensano di farlo interdire. Accettando il consiglio del vescovo, devolve i suoi beni in carità, ma questo e altri gesti che lo portano ad una vita di solitudine, sono da lui vissuti come ragionata rinuncia ai doveri che la vita associata impone, come la rinuncia ad un’identità. Ecco che dopo aver corso il rischio di diventare « uno », di acquisire una maschera che ne farebbe il riflesso di «centomila» è diventato «nessuno», in quanto privo di identità individuale.

Da “Novelle per un anno”: “Il treno ha fischiato…”.
Pirandello nichilista o relativista?

Nel 1922 Pirandello decise di riorganizzare tutta la sua produzione novellistica e di elaborare un nuovo progetto artistico che avrebbe riunito tutti i racconti (sia quelli già pubblicati sia quelli in fase di elaborazione) sotto il titolo “Novelle per un anno”. La raccolta avrebbe dovuto essere composta da ventiquattro volumi contenenti quindici novelle ciascuno, per un totale di trecentosessanta, all’incirca una novella per ogni giorno dell’anno. La morte impedì a Pirandello di completare l’opera che attualmente comprende duecentoventicinque racconti; in più ci sono altre ventisei novelle rimaste estranee al progetto: in totale, dunque, la produzione novellistica Pirandelliana ammonta a duecentocinquantuno racconti.

La struttura narrativa della raccolta è caratterizzata da un preciso ordine, segnalato da leggi numeriche e norme costanti (una novella al giorno, quindici novelle a volume, tante novelle quanti sono i giorni dell’anno). Se però si considera la disposizione delle novelle, si nota subito che non esiste né un ordine cronologico, né un ordine tematico, come se i racconti fossero stati disposti casualmente. L’opera appare così un’allegoria della varietà della vita e del suo carattere frantumato e insensato. La concezione negativa dell’esistenza umana da parte di Pirandello arriva a sfiorare il nichilismo in una novella intitolata “Il treno ha fischiato…”. Si narra di un impiegato modello, Bellucca, che si ribella al capo-ufficio e viene portato in manicomio. La ribellione viene provocata dall’intuizione di un’altra vita, diversa rispetto a quella monotona e caratterizzata dalla routine di ogni giorno. Il titolo del racconto è dato dal fatto che proprio il fischio di un treno spinge l’impiegato alla fuga dal mondo reale, scatenando un processo d’immaginazione che lo porta in una nuova realtà fantastica. Nella novella sono presenti due diversi punti di vista: quello del capo-ufficio e dei medici (che rappresenta l’opinione comune) e quella della voce narrante (che coincide con l’opinione di Bellucca). Stando al primo, Bellucca rientra in un caso di «alienazione mentale», stando al secondo, Bellucca rientra in un «naturalissimo caso». Insomma ogni verità è relativa. Non si può parlare di vero e proprio nichilismo in quanto, a mano a mano che il racconto procede, il punto di vista della voce narrante appare più convincente, anche se la verità che espone è indubbiamente parziale. Nonostante l’opinione espressa dal narratore sia comunque relativa, essa descrive in maniera più appropriata il comportamento di Bellucca di quanto non facciano i giudizi convenzionali del capo-ufficio, dei colleghi e dei medici.

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