Versione tradotta del De Amicitia di Cicerone: paragrafo 23
Cumque plurimas et maximas
commoditates amicitia contineat, tum illa nimirum praestat omnibus, quod bonam spem praelucet in posterum nec debilitari animos
aut cadere patitur. Verum enim amicum qui intuetur, tamquam exemplar aliquod intuetur sui. Quocirca et absentes adsunt et
egentes abundant et imbecilli valent et, quod difficilius dictu est, mortui vivunt; tantus eos honos, memoria, desiderium
prosequitur amicorum. Ex quo illorum beata mors videtur, horum vita laudabilis. Quod si exemeris ex rerum natura benevolentiae
coniunctionem, nec domus ulla nec urbs stare poterit, ne agri quidem cultus permanebit. Id si minus intellegitur, quanta vis
amicitiae concordiaeque sit, ex dissensionibus atque ex discordiis percipi potest. Quae enim domus tam stabilis, quae tam firma
civitas est, quae non odiis et discidiis funditus possit everti? Ex quo quantum boni sit in amicitia iudicari potest.
Versione tradotta
E pur contenendo altri moltissimi e grandissimi beni, essa è certo superiore a tutte le
cose umane, per il fatto che ci fa splendere innanzi la buona speranza sull’avvenire e non lascia che l’anima
s’indebolisca e prostri. Chi rimira infatti un vero amico, rimira come una immagine di se stesso. Perciò e gli assenti sono
presenti e i bisognosi sono ricchi e i deboli sono validi e, cosa più difficile a dirsi, i morti vivono: tanto li accompagna
l’onore, il ricordo, il rimpianto degli amici.
Di quelli par dunque felice la morte; di questi degna di lode la vita.
Che se toglierai alla natura il vincolo dell’affetto, né una casa potrà reggersi, né una città, e nemmeno l’agricoltura
durare. E se questo non si capisce, quanta cioè sia la forza dell’amicizia e della concordia, lo si può vedere dai dissidi e
dalle discordie. Quale casa, infatti, è così salda, quale città così forte, che odii e disordini non possano rovesciarla dalle
fondamenta? Da questo si può giudicare quanto di buono vi sia nell’amicizia.
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