Versione Tradotta dell'Eneide, Libro 4, vv. 584-629 - Studentville

Versione Tradotta dell'Eneide, Libro 4, vv. 584-629

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo originale, Libro 4, vv. 584-629

Et iam prima novo spargebat lumine terras
Tithoni

croceum linquens Aurora cubile.
regina e speculis ut primam albescere lucem
vidit et aequatis classem procedere velis,

litoraque et vacuos sensit sine remige portus,
terque quaterque manu pectus percussa decorum
flaventisque abscissa

comas ‘pro Iuppiter. ibit
hic,’ ait ‘et nostris inluserit advena regnis?
non arma expedient totaque ex urbe

sequentur,
diripientque rates alii navalibus? ite,
ferte citi flammas, date tela, impellite remos.
quid loquor? aut

ubi sum? quae mentem insania mutat?
infelix Dido, nunc te facta impia tangunt?
tum decuit, cum sceptra dabas. en

dextra fidesque,
quem secum patrios aiunt portare penatis,
quem subiisse umeris confectum aetate parentem.
non

potui abreptum divellere corpus et undis
spargere? non socios, non ipsum absumere ferro
Ascanium patriisque epulandum

ponere mensis?
verum anceps pugnae fuerat fortuna. fuisset:
quem metui moritura? faces in castra tulissem

implessemque foros flammis natumque patremque
cum genere exstinxem, memet super ipsa dedissem.
Sol, qui terrarum

flammis opera omnia lustras,
tuque harum interpres curarum et conscia Iuno,
nocturnisque Hecate triviis ululata per

urbes
et Dirae ultrices et di morientis Elissae,
accipite haec, meritumque malis advertite numen
et nostras audite

preces. si tangere portus
infandum caput ac terris adnare necesse est,
et sic fata Iovis poscunt, hic terminus haeret,

at bello audacis populi vexatus et armis,
finibus extorris, complexu avulsus Iuli
auxilium imploret videatque

indigna suorum
funera; nec, cum se sub leges pacis iniquae
tradiderit, regno aut optata luce fruatur,
sed cadat

ante diem mediaque inhumatus harena.
haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo.
tum vos, o Tyrii, stirpem et

genus omne futurum
exercete odiis, cinerique haec mittite nostro
munera. nullus amor populis nec foedera sunto.

exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor
qui face Dardanios ferroque sequare colonos,
nunc, olim, quocumque

dabunt se tempore vires.
litora litoribus contraria, fluctibus undas
imprecor, arma armis: pugnent

ipsique nepotesque.’

 

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo tradotto, Libro 4, vv. 584-629

E gia la prima Aurora lasciando giaciglio di croco
di Titone spruzzava le terre di nuova

luce.
La regina dalle vedette come vide biancheggiare la prima
luce e la flotta procedere a vele spiegate,
e

s’accorse dei lidi e dei porti vuoti senza un rematore,
percotendo il bel petto con la mano e tre e quattro volte
e

sciolta nelle biondeggianti chiome ” Oh Giove. Andrà
costui, dice, e lo straniero si befferà dei nostri regni?
Gli altri

non prenderanno le armi e inseguiranno da tutta la città
e strapperanno le barche dagli arsenali? Andate,
rapidi portate

fiamme, date armi, spingete i remi.
Che dico? O dove sono? Che pazzia cambia la mente?
Infelice Didone, ora fatti

sacrileghi ti colpiscono?
Allora andò bene, quando davi lo scettro. Ecco destra e lealtà,
quello che dicono portare con

sé i sacri penati,
che dicono aver sostenuto sulle spalle il padre logorato dall’età.
Non ho potuto strappare il

corpo maciullato e spargerlo
sulle onde? Non bramare i compagni, lo stesso Ascanio
con la spada e metterlo da

mangiare sulle mense paterne?
Davvero era dubbia la sorte della battaglia. Lo fosse stata:
chi temetti, destinata a

morire? Avrei portato le fiamme
nell’accampamento, riempito di fuochi le tolde, estinto
il figlio ed il padre con la

stirpe, e posto me stessa su quelli.
Sole, che illumini di raggi tutte le opere delle terre,
tu pure mediatrice e

consapevole di questi affanni,
Ecate ululata nelle città nei trivi notturni
e Dire vendicatrici e dei della morente

Elissa,
accettate questo, volgete ai malvagi la giusta vendetta
e ascoltate le nostre preghiere. Se è necessario che

l’infame
persona tocchi i porti e navighi su terre
e così chiedono i fati di Giove, questo traguardo è fisso,
però

oppresso dalla guerra d’un popolo fiero e dalle armi,
esule dai territori, strappato dall’abbraccio di Iulo
implori

aiuto e veda le indegne morti dei suoi;
né, consegnatosi sotto leggi di iniqua pace, goda
del regno o della luce

desiderata, ma cada
prima del tempo ed insepolto in mezzo alla sabbia.
Questo prego, verso questa ultima frase

col sangue.
Poi, voi, o Tirii, trattate con odio la stirpe e tutto
il popolo futuro, ed inviate alla nostra cenere

questi
regali. Per i popoli non ci siano alcun amore e patti.
Sorgi tu, un vendicatore, dalle nostre ossa
sì, insegui

i coloni Dardani col ferro e col fuoco,
ora, dopo, in qualunque tempo si daranno le forze.
Prego lidi opposti a lidi,

onde a flutti,
armi ad armi: combattano sia loro, sia i nipoti.”

 

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